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Un dopo Putin non sarebbe una tragedia. Il report dell’Atlantic Council

Gli scenari di successione del leader russo sono spesso apocalittici, tra ultranazionalisti di destra e guerre civili che farebbero collassare la Federazione. Un report dell’Atlantic Council sostiene il contrario, evidenziando la necessità di un ritorno alla normalità

La controffensiva ucraina ha ottenuto grandi successi, riconquistando gran parte dei territori occupati dall’avanzata delle truppe russe dall’invasione iniziata il 24 febbraio. In queste ultime settimane si è fatta largo nel dibattito pubblico occidentale una narrativa secondo cui una sconfitta russa porterebbe alla caduta del regime di Vladimir Putin. Gli scenari che si aprirebbero in quel caso sono abbastanza apocalittici e spaziano da successori ultra-nazionalisti a guerre civili e collassi della Federazione Russa. Da ciò deriva la necessità di non umiliare totalmente la Russia, concedendo pezzi di territorio ucraino, una convinzione che esiste anche nei circoli di vertice della Nato.

Il think tank statunitense Atlantic Council è di un altro parere. Un articolo di Richard Hooker Jrnonresident senior fellow e già dean del Nato Defense College di Roma, fa luce sui possibili scenari di successione al presidente russo. Prendendo per vero l’assunto secondo cui una sconfitta russa determinerebbe la caduta del dittatore, l’autore evidenzia come l’era che ne seguirà sarà caratterizzata da un generale clima di ritorno alla normalità, alla stabilità. Eventuali successori prenderebbero buona nota delle ragioni che hanno portato al crollo del regime, ovvero si creerebbe un discorso pubblico imperniato sull’insostenibilità del revanscismo putiniano.

Per quanto riguarda gli aspetti economici, la dinamica del conflitto in Ucraina ha definitivamente allontanato la Russia dal blocco europeo in termini di commercio di energia e materie prime, una tragedia per Mosca che sacrifica così l’oca dalle uova d’oro che aveva trainato la ripresa economica dopo il tracollo degli anni Novanta. Sarebbe inutile rivolgersi agli alleati centro-asiatici, all’Iran o alla Corea del Nord, dato che il loro peso economico è trascurabile e le tecnologie in ambito difesa sono indietro di almeno una generazione rispetto a quelle occidentali.

La Cina merita un discorso a parte. La guerra ha spinto il Cremlino ad abbracciare scambi e collaborazioni più strette con la Repubblica Popolare, ma è qualcosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Putin, e in generale la classe dirigente russa, sa perfettamente che i rapporti con Pechino sono estremamente sbilanciati a favore di quest’ultima. Sono almeno vent’anni che la Cina guarda con occhio di falco le enormi riserve energetiche e minerarie della Siberia, e Mosca è consapevole di quanto siano indifendibili gli sterminati confini orientali, di quanta sia la sproporzione demografica, di quanto Pechino negozi da una posizione di forza, di come l’appoggiarsi alle capacità militari cinesi condurrà a una graduale dominazione cinese.

La Federazione Russa è un Paese naturalmente orientato a ovest, il cui futuro economico sta nell’integrazione con l’Occidente, non nell’oriente cinese, né tantomeno nell’isolazionismo alla nordcoreana.

Nelle sfere del potere a Mosca, a San Pietroburgo, a Ekaterinburg, a Vladivostok, a Volgograd, a Novosibirsk, le élite economiche vorrebbero vedere la nascita di un nuovo ordine nel Paese, diverso dalla situazione attuale di continuo timore di essere imprigionati o uccisi. Lo spirito di autoconservazione degli oligarchi, dei generali, dei funzionari di alto livello sarà un elemento primario per spingere verso un nuovo paradigma politico.

Come accadde con la denuncia delle politiche staliniste da parte del Politburo nell’era successiva a Stalin, la classe politica russa potrebbe ritrovarsi ad abbracciare non una democrazia, ma quantomeno un sistema con elementi liberali di checks and balances, i tipici sistemi di pesi e contrappesi istituzionali che prevengono gli assolutismi tramite il controllo del governo da parte di ministeri, tribunali, parlamenti. I leader occidentali sarebbero ben felici di sviluppare rapporti con una Russia di questo tipo, che non ponga minacce ai propri confini. Il governo che verrà dovrà tenere conto di tutte queste dinamiche, e probabilmente ne sarà anche l’espressione.


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