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C’è poco da “riparare” tra Varsavia e Berlino

Di Giulia Gigante

Nessun governo della Terza Repubblica polacca ha mai osato tanto. L’alta tensione che scuote i rapporti tra Varsavia e Berlino rischia di provocare un black-out nelle relazioni bilaterali e in tutta Europa. Zbigniew Rau firma la nota diplomatica sulle riparazioni di guerra, mentre Berlino tenta di liquidare la questione con garbo e rispolverando la risoluzione del 1953…

Niemcy. È così che i polacchi chiamano la terra dei cugini tedeschi. Una curiosa assonanza con il termine “nemico”. Sarà un caso o una marachella satirica della storia. Fatto sta che il 3 ottobre il ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau, ha firmato la nota diplomatica sui risarcimenti di guerra che Varsavia pretende da Berlino. Fino ad oggi, nessun governo della Terza Repubblica polacca aveva mai osato tanto.

“La nota diplomatica che ho appena siglato sarà presentata al ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale di Germania” ha dichiarato lunedì Rau, e prosegue: “Le parti dovrebbero adottare misure immediate verso una soluzione permanente, globale e definitiva, giuridica e materiale in merito alle conseguenze dell’aggressione e dell’occupazione tedesca nel 1939-1945. Tale regolamento consentirà alle relazioni polacco-tedesche di basarsi sulla giustizia e sulla verità, porterà alla chiusura di capitoli dolorosi del passato e garantirà l’ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali nel pieno spirito cooperativo”.

Secondo il governo di Mateusz Morawiecki si tratta di ottenere un risarcimento per i danni inferti alle vittime dell’occupazione nazista e ai loro familiari, nonché una soluzione sistematica alla questione dei beni e degli archivi culturali polacchi saccheggiati.

Tuttavia, l’alta tensione che rischia di mandare in cortocircuito i rapporti di buon vicinato non è un fulmine a ciel sereno, bensì l’ossessione di due accampamenti nemici che non intendono sgomberare il campo di battaglia e siglare mediazioni senza aver prima regolato i conti. Impossibile rintracciare il casus belli originario o ripercorrere i conflitti che hanno diviso e fuso in un unico e incestuoso destino le due nazioni. Non inizieremo di certo con i vessilli dell’ordine teutonico che avanzano sulla distesa erbosa del villaggio di Grünfelde, nella battaglia di Tannenberg del 1410, o con le “campagne di pacificazione” adottate dai nazisti a scapito della classe dirigente polacca, ritenuta dall’ideologia razziale un’accozzaglia di “Untermenschen”. Sotto-uomini in quanto slavi.

Ma è utile effettuare un replay, riavvolgendo la cronologia degli eventi e ripartire dall’autunno dello scorso anno, soffermandoci sul 13 settembre 2021. L’ultima visita di Angela Merkel a Varsavia. Poi, nel mese di dicembre, la cancelliera verrà sostituita dal suo successore Olaf Scholz, e l’interlocuzione con il governo di Diritto e Giustizia diviene sempre più un tiro alla fune. Perché se Frau Merkel ha criticato raramente l’indirizzo politico dell’esecutivo polacco, soprattutto in materia di diritti civili, il nuovo governo tedesco ha subito mostrato i muscoli, come dimostrano anche le reazioni del neo-ambasciatore a Varsavia, Thomas Bagger.

Infatti, dopo aver fermato il Nord Stream 2, Jarosław Kaczyński risfodera la retorica anti-tedesca mentre, nel bel mezzo dell’invasione russa dell’Ucraina, Morawiecki vola a Berlino dal cancelliere Scholz “per scuotere la coscienza della Germania”. Ma l’interesse nazionale tedesco non combacia con quello polacco. Perciò la possibilità di una distensione nelle relazioni bilaterali assume l’immaterialità di un miraggio, e l’equilibrio precario tra i due Paesi viene sbilanciato dall’eccessiva cautela manifestata da Berlino sulle sanzioni e il riamo dell’Ucraina, mentre l’intransigenza e gli attacchi polacchi verso le ambizioni territoriali di Putin sfondano l’altro piatto della bilancia. Senza contare che poco dopo il disastro ecologico dell’Oder (un’ulteriore scintilla che ha innescato un ping-pong di accuse e illazioni tra i dicasteri dell’ambiente dei rispettivi Paesi), Il 29 agosto 2022, presso la Charles University di Praga, Scholz ha presentato la “sua” visione dell’UE stuzzicando la risposta dell’eurodeputato del PiS Zdzisław Krasnodębski, il quale a TV Republika ha dichiarato senza mezzi termini: “la minaccia alla nostra sovranità viene dall’Occidente più che dall’Oriente”.

Ed ecco che sentiamo il picchiettio dell’ultima goccia che fa traboccare il vaso: le riparazioni. Solo una settimana fa, a Opole, prima della nota diplomatica di Rau, Jarosław Kaczyński (poco devoto alle moine del galateo istituzionale) ha raccontato la storia di un gruppo di europarlamentari polacchi che viaggiavano in prima classe a bordo di un treno, quando un viaggiatore tedesco sarebbe andato a cercare il capotreno per buttare fuori i figli della Matka Polska. Questo per esortare i propri connazionali a disfarsi della subalternità che contraddistingue la Polonia nei rapporti con la controparte tedesca.

Quindi, se per certi versi è vero che il rapporto Mularczyk può rappresentare un pretesto per intascare il sostegno popolare, in vista della prossima tornata elettorale, contro un “nuovo nemico”; è anche vero che Varsavia, conscia del suo ruolo da playmaker sul fianco orientale, intende “contare” in Europa e non essere una proiezione della luce riflessa dalle vetrate del Bundeskanzleramt. E non importa se dalla pubblicazione del rapporto, che registra un importo totale 220 miliardi di złoty, emerge la mancanza di una preparazione sostanziale. Non importa se Scholz, ha ripescato il Trattato 2+4 del 1990 e la risoluzione del 1953 sulla rinuncia alle rivendicazioni o le sentenze dell’Aia, per respingere e strappare lo scontrino polacco. Il PiS, tramite la firma di Rau, è stato chiaro. E Kaczyński ancora di più. La Polonia vuole sedere al tavolo delle dominae europee, cestinando le buone maniere e gli inchini ancillari. Per farlo sbatte i pugni sul tavolo, mantiene le spade incrociate con Bruxelles, ricorda a Washington la posizione strategica che occupa ai confini del distretto di Kaliningrad, batte cassa, dice la sua in Europa su stato di diritto, green economy e sovranità delle norme statali, presenta un “casting per un nemico interno”, come scrive Zuzanna Dąbrowska, per adunare i polacchi attorno a una bandiera comune.

E a proposito di green, le riparazioni sventolate sotto il naso di Berlino sembrano un monito per mobilitare la coscienza nazionale verso un nuovo posto nel mondo. Perché come cantava la band di Berkeley: “Do you know your enemy? Well, gotta know the enemy, wah-hey”.

Un concetto inequivocabile, da cui dipenderà il rimescolamento delle carte in Europa o l’accentuazione dell’isolamento polacco. Per ora, quel Niemcy è più di un’assonanza.

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