Dall’inizio della crisi ucraina l’approccio europeo è inevitabilmente passato in secondo piano in favore di un approccio muscolare voluto da altri e su questo si può far ben poco. Quello che invece risulta meno accettabile è che il fronte europeo venga indebolito dall’interno. L’opinione di Francesco Tufarelli e Cristiano Zagari, esperti di negoziato europeo ed internazionale e autori di “Negoziando. Cassetta degli attrezzi per classi dirigenti” (The Skill Press)
Pochi presupposti ma fondamentali. L’Ue non è una potenza militare e forse mai lo sarà. L’Ue ad oggi non è una potenza “civile” fondata sul rispetto dei diritti o perlomeno non lo è ancora. Cosa è allora l’Ue oggi?
È una potenza commerciale ma soprattutto una potenza regolatoria. Due presupposti inscindibili perché legati a doppio filo.
Tuttavia andiamo con ordine. Fino all’inizio della crisi ucraina il mercato europeo era considerato il mercato di riferimento a livello mondiale per due ordini di motivi:
– l’Ue è un mercato economicamente florido;
– l’Ue è un mercato declinato sulla migliori pratiche di regolazione mondiale;
Riguardo al secondo punto, senza andare troppo indietro nel passato, si pensi a come attraverso le cosiddette tassonomie sia Bruxelles ad occuparsi di regolamentare di fatto i due principali driver di sviluppo a livello mondiale ovvero le transizioni digitale ed ecologica.
Il binomio commercio-regolazione funziona però solo se tutti i paesi europei remano nella stessa direzione a tutela di quel mercato unico all’origine del diritto europeo.
Come ?
– all’interno dei confini Ue lavorando per rendere tale mercato sempre meno frammentato (ogni direttiva e regolamento europeo iniziano puntualmente con l’auspicio di ridurre la “frammentazione del mercato”);
– all’esterno dei confini Ue lavorando al consolidamento di una posizione negoziale volta a far pesare a pieno le proprie skill regolatorie e commerciali.
È tutto qui il principio alla base dell’Unione europea. Il processo di integrazione europea nasce ormai più di settant’anni fa dall’intuizione di sostituire al circolo vizioso della soluzione muscolare (che era costata fino ad allora alle nazioni europee conflittualità continua) il principio win-win dello stare insieme, del darsi delle regole comuni (così nascono le istituzioni europee) e del trasformare in punti di forza quelle che fino ad allora erano state le principali criticità (così nascono le politiche europee) un’intuizione di sei uomini “soli”, sicuramente non appoggiati dai loro cittadini, contrari a quella innaturale alleanza.
Dall’inizio della crisi ucraina l’approccio europeo è inevitabilmente passato in secondo piano in favore di un approccio muscolare voluto da altri (un esempio su tutti il Data Flows tra Stati Uniti ed Europa in risoluzione nei prossimi giorni) e su questo si può far ben poco.
Quello che invece risulta meno accettabile è che il fronte europeo venga indebolito dall’interno.
In tal senso la posizione tedesca unilaterale nei confronti della Russia in ambito di politica energetica può essere compresa dal punto di vista emotivo (dalla Seconda Guerra mondiale in poi infatti, i tedeschi mal si rapportano ai situazioni di conflitto all’interno dei confini geografici europei; si pensi al conflitto della ex-Yugoslavia) ma non può essere condivisa se si fa parte di una comunità di destino nata anche per esorcizzare e normalizzare proprio le paure di singoli Stati.
Allo stesso modo, chi oggi mette in dubbio i presupposti alla base del diritto europeo non coglie a pieno che così facendo mette a repentaglio non solo l’Unione europea ma soprattutto la rilevanza del singolo paese all’interno degli equilibri internazionali (per ulteriori informazioni a riguardo suonare al 10 di Downing Street).
In conclusione, le nazioni che oggi compongono l’Unione europea continueranno ad esistere unicamente intorno ad un comune tavolo negoziale, se così non dovesse essere l’unica alternativa sarebbe la solitaria irrilevanza internazionale.
L’Unione che nel 1957 era una scelta coraggiosa oggi è l’unica opzione possibile a condizione di non voler degradare al rango di “colonia”, rispetto alle grandi potenze, un destino che il nostro Paese storicamente ben conosce. L’unione e i suoi meccanismi sono sicuramente perfettibili ma la battaglia si conduce all’interno e i campi di contesa sono i tavoli negoziali di Bruxelles.