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Troppa retorica sull’autonomia regionale. Il richiamo di Guzzetta

L’opzione zero del sabotaggio della Costituzione e della sua inattuazione non può essere la soluzione per nessuno. Tanto più che l’impostazione ideologica dello scontro finisce inevitabilmente per oscurare il dato che il Sud di questo Paese non è una palla al piede da sopportare in nome dell’unità, ma un’area nella quale i margini di crescita e le potenzialità di sviluppo sono un’opportunità enorme

Il tema dell’autonomia differenziata e dell’attuazione dell’art. 116 della Costituzione è tornato all’ordine del giorno dopo l’insediamento del nuovo governo. In realtà si tratta di un tema che non era mai uscito dall’agenda e che anche nella scorsa legislatura era stato oggetto di un’intensa attività dell’allora ministra Gelmini, la quale era giunta a elaborare un disegno di legge per una legge generale di attuazione di quell’articolo della Costituzione.

Anche nei confronti di quelle iniziative si era scatenato un dibattito molto acceso ma, a mio parere, altrettanto inquinato da posizioni ideologiche, per non dire demagogiche.

Un esempio delle distorsioni di una discussione che merita invece ben altra compostezza e serietà emerge dalla polemica del presidente De Luca con il ministro Calderoli, titolare del dicastero competente. De Luca, peraltro in buona compagnia con altri (non tutti) governatori di regioni del Sud, ritiene nelle proprie dichiarazioni che, intorno al tema dell’autonomia, si voglia consumare una spaccatura del paese a tutto vantaggio delle regioni del Nord, aumentando ulteriormente diseguaglianze purtroppo conclamate.

Il paradosso è che, se, invece, si abbandona il terreno della polemica e delle dichiarazioni, e si guarda ai fatti, si scopre che lo stesso De Luca, nel 2019, trasmetteva al governo, nella persona del Presidente Conte, una proposta di avvio di un negoziato per il conferimento di autonomia differenziata alla Campania. La notizia non è solo rilevante in sé, ma anche per il contenuto di quella proposta, soprattutto su due particolari profili intorno ai quali più accesa è la polemica. Il primo è quello delle materie da conferire. Nella proposta della Campania compaiono anche, ad esempio, istruzione e sanità, quelle su cui più accesi sono i toni dello scontro.

Il secondo profilo riguarda il tema della copertura finanziaria dei trasferimenti di competenza. Il discorso, molto tecnico, va, in questa sede necessariamente semplificato. In sostanza nella polemica pubblica ciò che più accende gli animi è il sospetto che tali coperture siano fatte sulla base della c.d. “spesa storica” che, a legislazione vigente, lo Stato attua per finanziare le funzioni che andrebbero, in prospettiva, trasferite alle Regioni. Il criterio della spesa storica, dice De Luca e con lui altri oppositori dell’autonomia differenziata, danneggerebbe le regioni del Sud a tutto vantaggio di quelle del Nord. Il punto è che nessuna proposta del governo, attuale o passato, ha mai ritenuto che, a regime, questo dovesse essere il criterio di calcolo, immaginando semmai un’applicazione in via transitoria in attesa dei nuovi criteri elaborati nell’ambito delle riforme del federalismo fiscale previsto dall’art. 119 Cost. (altro capitolo nel quale l’inattuazione della Costituzione dura ormai da decenni).

Ebbene, la notizia è che anche la proposta di intesa avanzata dalla Campania proponeva, per accelerare il processo, che, sempre in via transitoria, potesse applicarsi il criterio della spesa “a legislazione vigente”, cioè la spesa storica.

Insomma ci troviamo di fronte a un caso esemplare di come si sviluppano molti dibattiti politici in Italia. La retorica delle contrapposizioni e il frontismo ideologico non ha nulla a che vedere con le questioni reali di cui si dovrebbe discutere. Una democrazia delle parole, che danneggia spesso irrreparabilmente la democrazia delle decisioni.

Alimentare questo tipo di scontro, così distorsivo e ideologico, non è bene per la vita delle istituzioni e per la serenità dei cittadini. Genera allarme, accende gli animi e rischia di alimentare bolle di conflittuali sociali, prive di una vera sostanza, ma drammaticamente incendiarie.

E allora non si può che plaudire alle affermazioni del Presidente della Repubblica il quale, in occasione dell’assemblea dei Comuni d’Italia, ha voluto spendere parole rassicuranti, ribadendo che non vi è, né vi può essere, alcuna minaccia per la “la garanzia dei diritti dei cittadini, che al Nord come nel Mezzogiorno, nelle città come nei paesi, nelle metropoli come nelle aree interne, devono poter vivere la piena validità dei principi costituzionali”. Principi, tra i quali, ovviamente, c’è anche quello che sia consentito, nei limiti e alle condizioni previste dall’art. 116 – pur sempre un articolo della Costituzione – un processo di differenziazione tra regioni.

Cosa garantisce che tale processo non sarà disgregativo? La Costituzione stessa, sia prevedendo che comunque le intese debbano essere approvate dalla maggioranza assoluta del parlamento, sia prevedendo che lo Stato abbia comunque e sempre l’ultima parola sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (i diritti evocati dal Presidente della Repubblica), sia, assicurando sul piano finanziario, come prevede l’art. 119 della Costituzione misure perequative e “interventi speciali” per le regioni con minore capacità fiscale per abitante e per i territori per i quali sia necessario “lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali”. E si potrebbe continuare.

Quanto detto non significa ovviamente che le soluzioni siano semplici e che basti uno schioccar di dita per realizzare questo capitolo del nostro travagliato regionalismo. Ma l’opzione zero del sabotaggio della Costituzione e della sua inattuazione non può essere la soluzione per nessuno.

Tanto più che l’impostazione ideologica dello scontro finisce inevitabilmente per oscurare il dato che il Sud di questo paese non è una palla al piede da sopportare in nome dell’unità, ma un’area nella quale i margini di crescita e le potenzialità di sviluppo sono un’opportunità enorme, i cui margini di realizzazione sono direttamente proporzionali all’ampiezza del gap che la separa dal resto del paese.

Una politica autenticamente meridionalista non può mai attestarsi sulla difesa dello status quo. Anche perché lo status quo umilia già abbondantemente la condizione dei cittadini comuni che vivono e voglio continuare a vivere in quei territori.

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