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Il bilaterale “molto positivo” tra Biden e Meloni letto dal prof. Driessen

Il governo di Giorgia Meloni può cercare ottime cooperazioni con gli Stati Uniti, come in campo energetico, climatico o nel giocare un ruolo nel Mediterraneo. Si assiste a un generale  rinnovamento delle relazioni transatlantiche, secondo Michael Driessen, professore di International Affairs presso la John Cabot University di Roma

La presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha incontrato il presidente degli Stati Uniti Joe Biden in un bilaterale a margine del forum G20 di Bali. L’incontro non era scontato, viste le critiche della stampa statunitense alla premier,  nuovamente accusata di simpatie fasciste. Di questo, e di altri temi, abbiamo parlato con Michael Driessen, Associate Professor del dipartimento di Political Science and International Affairs della John Cabot University di Roma.

Che impressione le ha fatto l’incontro a prima vista?

Ho letto entrambi  i rapporti forniti dalla Casa Bianca e dal Quirinale e devo dire che mi ha colpito più la continuità che non le differenze in questo caso, soprattutto se si considera quanta distanza ci sia tra Giorgia Meloni e Joe Biden sulla scena internazionale. Quindi la continuità è stata più sorprendente ai miei occhi e credo sia molto importante.

Perché?

La mia prima impressione è che la presidente del Consiglio ha fatto bene, è stato un buon incontro. Meloni si è presentata come un’interlocutrice capace. Le è stata offerta l’opportunità di mostrarsi come una partner credibile degli Stati Uniti, in particolare per quanto riguarda l’Ucraina, che era chiaramente la questione principale per Biden con l’Italia.

L’amministrazione Biden non è stata particolarmente toccata dalle critiche che abbiamo visto sui giornali americani a proposito del neofascismo di Giorgia Meloni…

Sì, sono abbastanza sorpreso da quanto poco rilievo abbia avuto. Biden ha fatto un solo commento di sfuggita al riguardo, nel periodo che ha preceduto le elezioni di midterm negli Stati Uniti, quando ha presentato le sue preoccupazioni nel quadro più ampio del declino della democrazia, di paura di Donald Trump come figura anti-democratica. Allora aveva fatto un accenno indiretto a quanto accaduto in Italia, parlando di “ciò che accade in altre parti dell’Occidente”. Ma anche lì, non l’ha pienamente sviluppato, insomma, ha taciuto sull’argomento.

Quindi la discussione pubblica è stata molto limitata, la gente è stata disposta a concedere a Meloni il beneficio del dubbio sul fatto che lei sia effettivamente chi ha detto di essere, ovvero un partner europeo di fede transatlantica. Nel suo discorso del 20 settembre, questo è il modo in cui si è presentata. Non è stata un elemento di disruption, come Matteo Salvini o Luigi Di Maio hanno cercato di essere in alcune delle loro prime sortite nella politica internazionale, ma si è presentata come una persona con cui cooperare.

In continuità rispetto a Mario Draghi?

Ovviamente lei è molto diversa da Mario Draghi, ma è vero che dal punto di vista internazionale c’è una continuità. Questo è importante, soprattutto per il modo in cui gli Stati Uniti lavorano, per il modo in cui perseguono le loro alleanze e per il fatto che l’Italia stessa possa avere un ruolo preciso. Di sicuro c’è ancora molta strada davanti, vedremo se alle parole corrisponderanno i fatti, ma l’inizio è promettente.

Pensa che negli Stati Uniti ci sia ancora qualche preoccupazione riguardo a Salvini e Berlusconi e alle loro posizioni sulla Russia?

Sì, assolutamente. E penso che le preoccupazioni per la coalizione di governo riguardino soprattutto il cosa succederà nei prossimi mesi se i prezzi dell’energia dovessero aumentare troppo bruscamente, e se l’inverno fosse particolarmente freddo. Ci sono un sacco di incognite e penso che ci siano timori di questo genere. Detto questo, bisogna vedere cosa succederà, ma è probabile che anche Salvini e Berlusconi possano beneficiare del credito acquisito da Meloni. In qualche modo l’Italia sta emergendo come potenziale partner in una sorta di mediazione per il futuro dell’Ucraina. Voglio dire, all’interno della stessa amministrazione Biden esiste una parte che è interessata a una mediazione, sospinta dall’idea che l’Ucraina abbia fatto il possibile. Ma aspettiamo di vedere cosa succederà nei prossimi due mesi.

Inoltre, il rapporto di Meloni con il Vaticano si colloca in questa stessa ottica. Gli Stati Uniti vedono il Vaticano in questo momento come un importante mediatore sulla guerra, e in qualche modo, anche il rapporto di Meloni con la Santa Sede potrebbe avere un senso in questa direzione.

Su cosa possono cooperare gli Stati Uniti e l’Italia concretamente?

Beh, concretamente, penso che Meloni possa cercare di ottenere un qualche meccanismo che possa, se non compensare, tenere conto delle sanzioni. Le sanzioni richiedono un certo livello di sofferenza da parte italiana. La presidente del Consiglio potrebbe fare in modo che l’amministrazione Biden ne tenga conto. Naturalmente sono i Paesi dell’Europa Occidentale quelli più colpiti dalla crisi energetica. Perciò credo che questo sia fondamentale. Ci sono molte possibilità di cooperazione in materia di energia e, conseguentemente, di clima. Altra area di cooperazione è il Mediterraneo, a mio avviso.

In che modo?

Il Mar Mediterraneo ha un potenziale da sfruttare enorme e Meloni lo ha citato nel discorso con Biden, e anche il rapporto della Casa Bianca lo menziona. Io credo che gli Stati Uniti non abbiano al momento la voglia né le risorse di concentrarsi sul Mediterraneo come invece dovrebbero. Se l’Italia volesse occuparsene sarebbe un’ottima opportunità per entrambi. Anche qui, emerge la chiave energetica. Il modo in cui l’Italia ridisegna i flussi energetici all’interno del bacino sarà essenziale. In generale, mi sembra ci sia un risveglio dell’Italia riguardo i dossier internazionali e un conseguente rinnovamento delle relazioni tra Roma e Washington.



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