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Crypto-finanza, crolla anche BlockFi. Il futuro del settore

BlockFi

Il prestatore di criptovalute era legato a doppio filo a FTX, la piattaforma di scambio che ha appena lasciato un buco da dieci miliardi. Non si è verificato il temuto contagio della finanza tradizionale, mentre ci si interroga sul destino di quella decentralizzata

È caduto un altro caposaldo della cripto-finanza. Il prestatore di criptovalute BlockFi è l’ultima vittima del grande inverno delle crypto, che va peggiorando dal collasso di FTX. Del resto le due realtà erano collegate: la piattaforma di scambio aveva salvato BlockFi dal crac solo pochi mesi fa, quando ancora il suo fondatore Sam Bankman-Fried veniva equiparato al leggendario banchiere J. P. Morgan e al suo salvataggio del sistema monetario statunitense.

Fondata nel 2017, BlockFi era una decana del settore, almeno per i parametri del giovanissimo criptoverso. Secondo il Wall Street Journal i clienti vi avevano depositato tra i 14 e i 20 miliardi di dollari, e la società ne aveva prestati circa 7,5 miliardi. Nel mentre aveva raccolto un miliardo di dollari in finanziamenti da investitori come Dan Loeb, Tiger Global e Bain Capital Ventures, che vedevano in BlockFi un pioniere nel mondo della cosiddetta DeFi, o finanza decentralizzata.

Poi è arrivato l’inverno: la congiuntura macroeconomica in generale – pesantemente aggravata dall’invasione russa dell’Ucraina e dall’innalzamento dei tassi di interesse, con la fine del “denaro gratuito” e le brutali conseguenze su certe società – hanno colpito anche il criptoverso, flagellato a sua volta da una serie di fallimenti e hackeraggi di alto profilo. Nell’ultimo anno le crypto hanno perso più di due terzi del loro valore. Dunque aziende come BlockFi hanno chiesto aiuto a realtà come FTX, che a luglio gli ha concesso una linea di credito da 400 milioni – corredata di opzione di acquisto.

Quando è esploso il caso FTX, BlockFi ha sospeso velocemente le operazioni, bloccando i prelievi e chiedendo ai clienti di non effettuare altri depositi. Nel mentre dichiarava di avere “un’esposizione significativa” nei confronti di FTX e della sua consociata Alameda Research, che Bankman-Fried e soci usavano per investire i soldi dei clienti in operazioni speculative ad alto rischio. In effetti la stessa BlockFi aveva concesso prestiti ad Alameda, in parte garantiti dalla criptovaluta proprietaria di FTX. Finché non è stata costretta anche lei a presentare un’instanza di fallimento nelle Bahamas, cadendo ufficialmente nel cratere creato dal crollo del suo salvatore.

Se la notizia è pessima per il mondo delle criptovalute, in profondissima crisi, va registrato che tutte queste esplosioni non hanno contagiato in particolar modo la finanza tradizionale (TradFi in gergo). Nonostante i grandi nomi che giravano attorno a queste realtà – tra gli investitori di FTX c’era anche BlackRock –, Wall Street non era affatto sovraesposta alla grande bolla crypto, che un tempo sembrava capace di contagiare i mercati.

Nel mentre, Changpeng “CZ” Zhao – fondatore di Binance, la prima piattaforma di scambio al mondo – punta ad accreditarsi come il vero J.P. Morgan delle crypto dimostrando di possedere le valute e preparando un maxi-fondo di salvataggio, da uno a due miliardi di dollari, per aiutare le cripto-aziende in difficoltà. Un po’ come fece Bankman-Fried con FTX. E va ricordato che lo stesso CZ ha perlomeno accelerato il crollo della piattaforma rivale, che era arrivata ad essere la seconda al mondo.

Quello che non è chiaro, al momento, è che futuro attenda la cripto-finanza. C’è chi confida che il collasso di realtà-Ponzi, magari unito alla stretta regolatoria in arrivo, “ripulirà” un settore promettente. Alcuni cripto-puristi addirittura si rallegrano del crollo di realtà centralizzate come FTX e BlockFi, che nei fatti contraddicono la promessa racchiusa nella finanza decentralizzata. Solo che, come sottolineano gli analisti di J.P. Morgan (la banca, stavolta), i protocolli DeFi – banche e prestatori basati esclusivamente su algoritmi – si appoggiano ancora troppo alle infrastrutture delle piattaforme di scambio. Che al momento non hanno prospettive troppo rosee.

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