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Il freno di Breton sullo stop al motore termico

Di Otto Lanzavecchia e Federico Di Bisceglie
Auto elettrica

Sarebbe controproducente mettere al bando i motori endotermici nel 2035 senza le premesse (materie prime, infrastruttura…) e a spese di un’industria cruciale. Così il commissario Ue propone di rivedere l’orizzonte in corso d’opera e avanzare con “freddo realismo” tra rischio dumping (cinese) e mercati esteri

È passata solo una settimana dalla decisione europea di bandire le nuove auto con motore termico dal 2035, ma già si pensa a come limitarne l’impatto. Nello specifico, sta prendendo piede l’idea di fare una revisione al piano nel 2026, in modo da valutare l’impatto sull’economia europea e se necessario reagire. L’idea è del commissario al mercato interno Thierry Breton, che si sta facendo portavoce delle preoccupazioni di una delle industrie più importanti d’Europa.

In un’intervista a Politico Brussels Playbook, Breton ha parlato di uno “sconvolgimento gigantesco”. Non tanto per le grandi case automobilistiche, “che sicuramente ce la faranno”, ma per l’intero ecosistema che ruota attorno all’auto, più la produzione aggiuntiva di elettricità. Il processo comporterà la distruzione di circa 600.000 posti di lavoro nell’intera Unione: per il commissario, semplicemente, l’Ue non può permettersi di compromettere il passaggio dal motore a combustione a quello elettrico.

Ancora non c’è un dato certo riguardo all’impatto sull’industria italiana, ma le stime cumulative dei sindacati parlano di oltre centomila posti di lavoro. Una scure notevole per il settore automotive, che rappresenta una filiera d’eccellenza a livello internazionale. Già si sentono gli scossoni a livello locale. È di poco fa l’accordo tra sindacati e vertici di Stellantis in merito alla chiusura del comparto di produzione di motori diesel di VM, un’azienda della provincia di Ferrara. Il risultato è positivo – da trecento esuberi si è arrivati a 160 trasferimenti nello stabilimento modenese di Maserati – ma difficilmente replicabile su larga scala.

UNA TRANSIZIONE SOSTENIBILE

Considerando i possibili intoppi nel processo di transizione dell’industria, Bruxelles dovrà rivedere la data di eliminazione graduale. Questa l’idea alla base dell’intervento di Breton. “Tutte queste questioni devono essere studiate. Dunque sono felice che i co-legislatori abbiano seguito il mio suggerimento e [stiano considerando] una clausola di revisione” – da attivare nel 2026 per posticipare la data del bando ai motori termici del 2035, alla bisogna.

Viste le complessità, sembra facile dedurre che il bando al 2035, semplicemente, non sia realistico. Non è così per il commissario, che ha ribadito di volere che la transizione abbia successo ed essere “completamente d’accordo con l’ambizione.” Ma per avere successo, ha aggiunto, serve freddo realismo. Ciò significa abbandonare un po’ di idealismo e concentrarsi su indicatori di prestazione (Kpi), come l’introduzione delle stazioni di ricarica e l’aumento della produzione di materie prime. Questi indicatori, ha promesso Breton a Playbook, saranno sviluppati a stretto giro.

LA PORTATA DELLA SFIDA

Per produrre le auto elettriche che sostituiranno quelle tradizionali, ha sottolineato Breton, entro il 2030 servono quantità di litio superiori di 15 volte, cobalto e grafite per quattro, nichel per tre. Metalli critici che vanno estratti (cosa che l’Ue ancora non fa) o importati. Considerando che la Cina ha una presa saldissima sulle catene di produzione globali, e mettendo in conto o una dipendenza strategica (l’esperienza del gas russo insegna quanto possa essere pericoloso), o un doloroso ma necessario decoupling.

Andando avanti, “servono 150 gigawatt aggiuntivi di elettricità all’anno, un aumento del 20-25% rispetto a quella che produciamo oggi in Europa”, ha rimarcato Breton. E l’elettricità deve essere pulita: farla col carbone o col gas non ha senso. Infine, c’è il problema dell’infrastruttura: per il 30 milioni di veicoli elettrici che l’Ue punta ad avere sulle strade al 2030 servono circa 7 milioni di stazioni di ricarica; oggi ce ne sono solo 350.000, di cui il 70% in soli tre Paesi: Francia, Germania e Paesi Bassi.

IL RISCHIO DUMPING

Se convertire una filiera storica e imponente come quella dell’auto europea è complesso, creare da zero automaker giovani e agili – con le batterie nel dna – è ben più semplice. Specie nei Paesi che non badano a spese (sotto forma di sussidi statali) per dare una marcia in più alle proprie compagnie. È per questo che Herbert Diess, l’ex capo del Gruppo Volkswagen, una volta ha rivelato di temere i marchi cinesi come BYD e Great Wall più di ogni altro concorrente. A ragione: come scrivevamo su queste colonne, Transport & Environment stima che il 5% dei veicoli elettrici “puri” venduti in Ue nel 2022 siano cinesi, e la cifra potrebbe oscillare tra il 9 e il 18% nel 2025.

La risposta europea è di far pagare un dazio sui beni extraeuropei prodotti più economicamente ma con normative ambientali meno stringenti. Il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera, o carbon border adjustment mechanism (Cbam), serve per conservare la competitività delle industrie europee ed evitare che delocalizzino la produzione all’infuori dei confini dell’Ue. Non è ancora realtà ma è quasi scontato che verrà approvato; il contenzioso, oggi, è dove trovare le coperture per sostenerlo nella prima fase di esistenza, quando l’implementazione sarà troppo graduale da generare gettito fiscale.

IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

L’aspetto inverso da considerare: solo perché gli europei potranno acquistare solo auto elettriche da una certa data, “non significa che il resto del mondo, cioè 7 miliardi di persone, non continuerà a usare veicoli a combustione per molti decenni”, ha commentato Breton. Basti guardare all’Africa, dove molti Paesi hanno reti elettriche a malapena stabili, per non parlare dell’infrastruttura di generazione ed elettrificazione per alimentare le auto elettriche. Per il commissario, l’Ue non dovrebbe rinunciare a questi mercati; al contrario, in molti casi i motori a combustione europei saranno più puliti delle alternative, quindi le case automobilistiche dovrebbero continuare a esportarli nel mondo. “Incoraggio le aziende dell’Ue a continuare a produrre motori a combustione – quelle che lo desiderano”, ha detto Breton a Playbook.


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