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La riconquista di Kherson esalta gli Ucraini e fa arrabbiare i nazionalisti russi

La ritirata russa da Kherson è una grande vittoria per gli Ucraini, sia simbolica sia tattica. I festeggiamenti nella piazza del capoluogo fanno da contraltare ai violenti attacchi dell’estrema destra russa all’establishment moscovita, accusato dal filosofo Aleksandr Dugin di avere tradito la missione di “salvare il proprio popolo”. Sullo sfondo un conflitto interno alle alte sfere militari russe

L’abbandono russo di Cherson è probabilmente uno dei più importanti momenti di questa guerra, sicuramente uno dei più significativi dal punto di vista simbolico. La città è il capoluogo dell’omonima regione, e la propaganda russa aveva fatto della sua tenuta una questione di vita o di morte.

Dal punto di vista strategico e tattico, Kherson è un punto nevralgico, che controlla l’accesso al Mar Nero tramite il fiume Dnepr. Era la possibile base russa per operazioni verso ovest, verso Mykolaiv. Ora potrebbe fungere da base per ipotetiche operazioni ucraine verso la Crimea, e ovviamente verso est, Melitopol, Mariupol, Donetsk.

In questi giorni si vedono uomini e donne che cantano e ballano per le strade, sventolano bandiere ucraine, i ragazzi si arrampicano per rimuovere i cartelloni pubblicitari russi, molti acclamano i soldati che entrano nel capoluogo. Nell’euforia generale, tuttavia, molte persone ancora cercano di ottenere notizie dei propri cari, scomparsi durante l’occupazione, rapiti, forse deportati, forse uccisi, forse ancora vivi in qualche prigione russa nell’est del Paese. E oltre a festeggiare, si contano i danni, materiali ma soprattutto umani.

La guerra non è finita. I corrispondenti del Washington Post riportano che dalle piazze festanti si sentono distintamente i colpi di artiglieria diretti verso le postazioni russe, situate a qualche chilometro di distanza, oltre il fiume. L’esercito ucraino ha rimosso almeno duemila dispositivi esplosivi all’interno dell’area urbana, tra mine di vario genere e bombe inesplose. Non c’è più nessuna traccia dei soldati russi che pattugliavano quelle strade fino a quattro giorni fa. Le uniche tracce sono i pesanti segni dei combattimenti e un po’ di materiale lasciato dagli stessi Russi: provviste, giubbetti antiproiettile, qualche arma.

La ritirata da Kherson è stata presa malissimo in Russia dagli ambienti più nazionalisti. Il Cremlino la racconta come una manovra tattica nel più ampio quadro delle operazioni (e potrebbe anche essere vero, visto che sembra che Mosca si stia preparando alla prossima offensiva), ma diverse voci critiche hanno trovato sfogo in un post pubblicato dal filosofo di estrema destra Aleksandr Dugin.

Apparso sull’emittente Tsargrad Tv, l’articolo recita, tra l’altro: “Una città russa (Kherson), la capitale di una delle regioni russe, si arrende – proprio come Belgorod, Kursk, Donetsk o Simferopol. Se non vi interessa, non siete russi. I russi ora stringono i denti per il dolore, piangono e soffrono come se il loro cuore fosse stato strappato e i loro figli, fratelli, madri e mogli uccisi davanti a loro”.

Se fosse tutto qui non sarebbe una gran novità, visto che da diversi mesi si sentono opinioni critiche sull’operato di Vladimir Putin, accusato da destra di avere adottato un approccio troppo morbido contro l’Ucraina. Voci che il presidente Putin ha sempre lasciato correre. La novità di oggi è contenuta nella seconda parte del post che, riassumendo, afferma che l’autocrate (in senso assoluto) è responsabile della sicurezza del suo popolo. “Se si circonda (l’autocrate) di spiriti maligni, o sputa sulla giustizia sociale, e non salva il suo popolo (…) il destino del re delle piogge lo attende”. Quest’ultimo è un riferimento a una fiaba che racconta di un re che fu ucciso per non aver fatto piovere durante la siccità.

Nel suo ragionamento, Dugin non ha mai menzionato Putin esplicitamente, ma queste parole piuttosto pesanti vanno a sommarsi al già esistente conflitto che sta spaccando le alte sfere militari russe, almeno da quando il dittatore ceceno Ramzan Kadyrov e il comandante della compagnia mercenaria Wagner Evgheni Prigozhin si sono scagliati contro lo Stato Maggiore, accusato di nepotismi e inefficienze, come raccontato da Formiche.net a ottobre.

Ora, la questione è complessa. In primo luogo, la rilevanza politica delle istanze dell’estrema destra è ancora da valutare e non è detto che scalfisca le decisioni del Presidente russo che, come ricorda il New York Times, è saldamente al potere, la sua cerchia di accoliti non sembra mostrare segni di cedimento, così come gode del pieno appoggio della Duma. In secondo luogo, sia il leader ceceno Kadyrov, sia il signore della guerra Prigozhin stanno combattendo in Ucraina fondamentalmente con obiettivi personali di prestigio, potere e ricchezza. E’ possibile quindi leggere le loro affermazioni pubbliche come segnali inviati agli altri attori russi presenti nel conflitto e non tanto come critiche alla leadership putiniana di per sé.

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