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La Cina s’infiamma tra flop vaccinale, censure e un vicolo cieco per Xi

Il Partito comunista cinese non riesce più a onorare il patto con la popolazione: libertà civili in cambio di prosperità. La mancanza di vaccini efficaci impedisce la riapertura del Paese, aumentando la rabbia e la frustrazione della popolazione. Cosa farà adesso Xi Jinping? Di certo c’è solo che tra pochi giorni entrerà in vigore la legge per limitare proteste e dissidenza sui social (anche all’estero)

L’incendio in un condominio nella città di Urumqi, nello Xinjiang, in cui hanno perso la vita 10 persone, sarebbe stata la scintilla dell’inusuale ondata di proteste in Cina. Le limitazioni anti-Covid, che da due anni isolano il Paese, avrebbero ostacolato l’arrivo dei soccorsi e intrappolato le vittime all’interno delle loro case in fiamme, secondo alcune versioni che circolano in rete.

Così, questo fine settimana migliaia di cittadini sono scesi in piazza con candele e fiori per ricordare i morti nell’incendio, sfidando le misure di contenimento del virus. Una protesta soprattutto giovanile: nelle università, gli studenti hanno organizzato veglie, sollevando fogli di carta bianca in segno della censura imposta dal governo cinese.

A Shanghai, alcuni manifestanti hanno chiesto le dimissioni del presidente Xi Jinping, mentre a Pechino, Nanjing, Guangzhou e Chengdu le richieste erano concentrate sulla fine della politica zero Covid. Infatti, secondo il New York Times, “la più ampia fonte di rabbia è la strategia ‘zero Covid’ di Xi, che cerca di eliminare le infezioni con blocchi, quarantene e test di massa. La politica ha portato molte città cinesi quasi a un punto morto, ha sconvolto la vita e i viaggi di centinaia di milioni di persone e costretto molte piccole imprese a chiudere”.

Per Minxin Pei, professore al Claremont McKenna College ed esperto di governance in Cina e democratizzazione nei Paesi in via di sviluppo, la grande sfida è se e come Pechino continuerà ad applicare la politica zero Covid. Una missione complessa ed immediata in mezzo a tanta frustrazione: “Puoi arrestare le persone e metterle in prigione, ma il virus sarà ancora lì. Semplicemente non ci sono risposte facili per lui, solo scelte difficili”.

James Crabtree, direttore dell’International Institute for Strategic Studies a Shanghai, considera queste proteste la più severa prova per Xi da quando è arrivato al potere. In un thread su Twitter ha spiegato che il Partito Comunista Cinese è bloccato, giacché trova impossibile prendere l’unica strada sensata per finire la politica zero Covid, cioè, importare velocemente vaccini mRna.

“Il patto a lungo termine del Pcc era offrire prosperità privata e un certo grado di libertà personale, nel consumo e nella vita in generale, in cambio della lealtà pubblica al Pcc – prosegue Crabtree -. La politica zero Covid ha infranto quel patto, imponendo severe restrizioni alla vita privata dei cittadini”.

L’esperto crede che la rabbia e la frustrazione espresse dai cittadini cinesi questo weekend è anticipatoria e accumulata: “Se sta arrivando un grande picco di Covid, le persone sono preoccupate per il blocco che seguirà e che sarà necessario per cercare di controllare il virus […] Dopo aver attraversato anni di restrizioni, il fatto che la situazione potrebbe peggiorare sta spingendo le persone a scendere in strada”.

Il governo cinese però non può prescindere dalla politica zero Covid e la ragione e la mancanza di vaccini efficaci contro il virus. “Se la Cina dichiarasse un ‘giorno della libertà’ (come fatto da Johnson nell’estate 2021, ndr) ed eliminasse le restrizioni, la crisi sanitaria sarebbe grave”, aggiunge Crabtree.

La popolazione non ha nessun tipo di immunizzazione contro il Covid e il sistema sanitario cinese è debole. Per l’esperto, “il problema immediato del presidente Xi, al di là dei disordini, è la mancanza di buone opzioni. Sta arrivando una grande ondata di Covid. La sua popolazione non è adeguatamente vaccinata. Sembra difficile ristabilire il controllo politico e il controllo delle strade”.

Intanto, la parola d’ordine è controllo. In Cina la trasmissione delle partite dei Mondiali di calcio in Qatar è stata modificata per oscurare il pubblico senza mascherine. Su Twitter, gli hashtag per città portano ad un flusso di annunci senza senso che impediscono un rapido accesso alle informazioni reali.

Una crisi annunciata. Ad aprile, come raccontato da Formiche.net, i social cinesi hanno vissuto una notte di sfogo contro la gestione del Covid a Shanghai e non solo, tutto mascherato dietro un hashtag nato per criticare gli Stati Uniti.  Un mese fa, invece, su un ponte a Sitong, nel quartiere Haidian al nordest della città, sono stati appesi due enormi cartelloni in cui si esprime lo scontento e si invita a uno sciopero nazionale contro il presidente cinese e la politica zero Covid.

Probabilmente per questo il 2 settembre il Comitato permanente dell’Assemblea Popolare Nazionale ha approvato una “Legge contro la frode su internet e nelle telecomunicazioni” con l’obiettivo di riuscire a controllare lo scontento manifestato sui social network. Dal 1° dicembre la nuova normativa entrerà in vigore, non solo all’interno della Cina ma anche all’estero, penalizzando le attività dei cittadini considerati dissidenti.

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