Xi Jinping è il leader che ha dominato la scena del G20 di Bali. Con i suoi bilaterali ha cercato di fare leva sugli interessi nazionali per separare l’Unione Europea dagli Stati Uniti e creare divisioni nel fronte occidentale. Notevoli il plateale rimprovero a Justin Trudeau, e gli incontri saltati con Ursula von der Leyen e Charles Michel, già censurato nel suo intervento all’expo di Shanghai
Il presidente cinese Xi Jinping ha ripreso come uno scolaretto il premier canadese Justin Trudeau. “Colpevole” di aver fatto uscire sulla stampa i contenuti di un precedente incontro tra i due, Xi lo prende da parte e lo rimprovera: “Tutto ciò di cui abbiamo discusso è uscito sulla stampa. Questo non è appropriato”. Trudeau risponde diplomaticamente che “in Canada crediamo nel dialogo franco e libero. (…) Continueremo il dialogo con voi, ma ci saranno punti su cui saremo in disaccordo”. Xi lo interrompe: “Prima creiamo le condizioni”. Gli stringe la mano e si allontana.
In carica come Presidente della Repubblica Popolare cinese dal marzo 2013, forte della recentissima conferma di un terzo mandato, Xi Jinping appare nei contesti internazionali come un consumato leader politico. Questa aura che ormai lo circonda gli ha permesso di rivolgersi a Trudeau in quel modo, diversamente dallo stile misurato che normalmente lo caratterizza in pubblico.
Al di là dell’episodio canadese, a Xi interessa rimodellare un’immagine internazionale parzialmente danneggiata dall’”amicizia senza limiti” con la Russia di Vladimir Putin. Tuttavia, osservando le dinamiche di questo G20 si può notare come la leadership cinese, incarnata dal presidente Xi, sembri proseguire con la strategia tesa a separare le nazioni europee tra di loro e dividere l’Europa dagli Stati Uniti. Ciò emerge piuttosto chiaramente se si presta attenzione ai bilaterali tra Xi e i vari leader europei, con cui ha discusso di temi diversi a seconda dell’interlocutore.
Durante l’incontro con il premier olandese Mark Rutte, il presidente cinese si è concentrato sul fatto che l’Olanda, luogo chiave della catena globale dei microchip, non entri in accordi commerciali euro-statunitensi che possano emarginare la Repubblica Popolare sulle nuove tecnologie.
I bilaterali con Emmanuel Macron e Pedro Sanchez si sono focalizzati rispettivamente sulla collaborazione in materia di nucleare e industria dell’aeronautica francese, e sul turismo cinese in Spagna. Il presidente francese ha definito l’omologo cinese “sincero” e la Cina “alla ricerca della pace”, ignorando le tensioni territoriali con l’India, l’imperialismo con Taiwan o la costruzione di basi militari nelle isole contese del Mar Cinese Meridionale.
Con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, oltre a discutere di export del lusso italiano e cooperazione su industria, energia e aerospazio, Xi si è soffermato sulla necessità di mantenere “indipendente” la politica dell’Unione Europea verso la Cina (leggi: indipendente dagli Usa).
Come ha notato l’esperto del Cnas Richard Fontaine su Formiche.net: “la Cina ha rilanciato in modo evidente la sua tattica, da tempo consolidata, di corteggiare singoli Paesi dell’Unione europea e i loro interessi nazionali, che ha spesso utilizzato per destabilizzare Bruxelles”.
Una scenografia già vista, ad esempio nel 2013, quando la Commissione Europea tentò di lanciare una guerra commerciale contro Pechino sulle aziende di telecomunicazioni e i pannelli solari cinesi. La Repubblica Popolare esercitò pressioni su Spagna e Francia minacciando di interromperne l’import di vino, riuscendo a fare in modo che fossero gli stessi Paesi membri dell’Ue a fermare il tentativo di Bruxelles.
Lo scarso valore che la leadership di Pechino assegna alle istituzioni comunitarie si è riflessa nel fatto che Xi non abbia incontrato né la presidente della Commissione Ursula von der Leyen (come abbastanza prevedibile) né il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, con il quale invece diversi diplomatici si aspettavano un bilaterale, soprattutto dopo la censura del suo intervento all’expo di Shanghai. Sicuramente la Cina non apprezza particolarmente la definizione adottata da Bruxelles di “rivale sistemico”. Espressione invero adottata anche da Washington, ma tant’è.
Intanto, il presidente francese Macron ha annunciato che compirà un viaggio a Pechino all’inizio del prossimo anno, probabilmente anche per rifarsi dell’esclusione da parte di Olaf Scholz, che ha preferito andarci da solo (con rappresentanti delle industrie tedesche), e per ritagliare un po’ di spazio per la Francia rispetto a un dossier – quello cinese – dominato da Germania e Stati Uniti.
Insomma, nel bene e nel male, nel proporsi come colui il quale non vuole una guerra fredda o come il garante degli interessi globali cinesi, Xi Jinping è stato la figura a cui guardare durante il G20 di Bali. E non ha deluso le aspettative dei cronisti.