Dalla proposta su “loss e damage” ai carbon credits lanciati da John Kerry, fino alle frasi di Macron che invita Stati Uniti e Cina a fare di più per combattere il cambiamento climatico. È iniziato il summit annuale sul clima. L’ambasciatore Stefano Pontecorvo da Sharm el-Sheik spiega le dinamiche e preoccupazioni principali
Ieri è iniziato a Sharm el-Sheik, in Egitto, il summit Cop27, che durerà fino al 18 novembre. Quasi 200 Paesi, migliaia di delegati di governi, istituzioni internazionali e Ong per discutere dell’attuazione concreta degli Accordi di Parigi del 2015 e gli impegni della comunità internazionale per far fronte al cambiamento climatico. La Cina e l’India, rispettivamente il primo e terzo produttore mondiale di emissioni di CO2 non sono presenti. L’Ambasciatore Stefano Pontecorvo, nel suo ruolo di consigliere per il ministro per l’Ambiente e Cambiamento Climatico somalo al Cop27, Khadija Almakhzoumi, spiega i principali punti che verranno affrontati e le sfide da superare per poter fronteggiare il cambiamento climatico.
Ambasciatore Pontecorvo, ci può dire quali sono le sue impressioni sull’atmosfera generale che si respira al summit iniziato ieri?
Nell’ultimo anno si è passati dalle discussioni sulla sostanza e contenuti a discussioni sulle rivendicazioni per la compensazione dei danni per i Paesi meno sviluppati. Parliamo delle conseguenze del clima deteriorato subite dai Paesi in via di sviluppo procurato dai Paesi più industrializzati. Considerazioni necessarie ma si rischia di non prestare attenzione alla sostanza, ossia: come andare avanti?
Quali sono i passi avanti, se ci sono, sulla creazione di un fondo per “danni e perdite” (Loss and Damage)?
C’è stato senz’altro un passo avanti dato che c’era chi non voleva mettere il tema in agenda. Comprensibile politicamente, un po’ meno dal punto di vista etico. Prima non se ne poteva discutere, ora invece si accetta, con tutti i distinguo del caso, di discuterne. Si accetta il dialogo tra Paesi in via si sviluppo e Paesi sviluppati. L’Onu stessa calcola che le risorse finanziarie che sarebbero a disposizione sarebbero meno di un quinto del necessario.
Come commenta le dichiarazioni del Presidente francese Emmanuel Macron sul fatto che gli Stati Uniti e la Cina debbano fare di più (per combattere il cambiamento climatico)?
A parole abbiamo tutti ragione. La logica vorrebbe che coloro che inquinano maggiormente paghino maggiormente per i danni causati. A dire la verità i cinesi sostengono che – dato che loro finanziano in maniera ingente i Paesi in via di sviluppo anche a tassi molto interessanti– indirettamente ripagano già i danni all’ambiente con il loro investimento in questi Paesi. Gli americani hanno una posizione più complicata. Stanno attenti ai costi che ne deriverebbero al sistema industriale. Quindi fondamentalmente Macron ha ragione, dovremmo fare tutti di più. Il cambiamento climatico è un problema che riguarda tutti. Buona parte delle temperature in Europa cresceranno tra una volta e mezza e due volte più di quanto cresceranno altrove. L’estate che abbiamo passato, con tutti i cambiamenti che abbiamo vissuto, è solo l’inizio di quello che vedremo.
Ci può fornire un esempio delle conseguenze più recenti che si sono registrate a causa del cambiamento climatico in altri ambiti?
Quando aumenta la temperatura, aumenta il tasso d’umidità. Aumentando quest’ultimo una persona suda meno e si creano le condizioni per patologie che poi si riversano sui costi del sistema sanitario nazionale. È un problema di una complessità enorme.
La proposta sui carbon credit dell’inviato speciale del Presidente degli Stati Uniti per il clima, John Kerry, è stata criticata perché non sufficientemente dettagliata, in cosa andrebbe integrata a suo avviso?
La proposta di Kerry- che ha parlato oggi – non è ancora del tutto conosciuta e al momento non è molto dettagliata. Tra l’altro dovrebbe arrivare [al Cop27] questa settimana il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Uno dei motivi che di cui tenere conto sono le midterm di domani: è probabile quindi che il Presidente Biden aspetti di vedere quali saranno i risultati e se manterrà la maggioranza [al Congresso]. Il dibattito sul clima negli Stati Uniti è fortemente divisivo e prima di prendere impegni e fare proposte che rischiano di essere bocciate dal Congresso, è comprensibile che attenda i risultati elettorali.
La Iea, secondo il suo recente rapporto annuale, ritiene che si possa arrivare per il 2030 ad un aumento di investimenti in energia rinnovabile pari al 50%, ma non sarebbe sufficiente. Ci può offrire un commento a riguardo?
Sono tutti studi che confermano la necessità di muoversi più velocemente verso la transizione ecologica, ossia non carburanti fossili. Ma si scontrano con la realtà che viviamo ogni giorno. Ossia il problema reale che deriva dalla mancanza di energia. Come abbiamo visto, in Germania stanno riutilizzando gli impianti a carbone. Siamo tutti d’accordo che l’obiettivo di raggiungere i target entro il 2030 non sia raggiungibile, il che non significa che si debba smettere di provarci. Esiste un problema [il cambiamento climatico e relative conseguenze] che ormai è sotto gli occhi di tutti, dall’altro una realtà nazionale e internazionale in molti Paesi che frena perché si rischia di far saltare interi sistemi industriali.
Le sfide di Cop27 e i temi più divisivi?
La preoccupazione è duplice: che si arrivi a un confronto piuttosto che a un dialogo sul tema dei ‘danni e perdite’ dato che sulle cifre non ci siamo neanche vicini [a un accordo]. Da parte dei Paesi emergenti esiste un comprensibile massimalismo e un altrettanto comprensibile prudenza – forse un po’ egoista – da parte dei Paesi sviluppati a riconoscere un ampio principio. La Cop27 rischia quindi di degenerare in un confronto che diventa politico ed aspro, perdendo di vista i contenuti. La seconda preoccupazione è proprio questa: che non si parli in maniera sufficiente dei contenuti.