Grazie anche ai 2 miliardi di euro previsti dai fondi europei, nell’ultimo anno l’Italia ha raddoppiato gli investimenti nel settore che, scriveva il Copasir pochi mesi fa, presenta “sfide inedite non solo per l’ordine mondiale ma anche per la nostra difesa nazionale”. Ecco quali
Con oltre 2 miliardi di euro del Pnrr, nell’ultimo anno l’Italia ha raddoppiato gli investimenti sullo Spazio rilanciando le proprie ambizioni, lavorando assieme all’Agenzia spaziale italiana e l’Agenzia spaziale europea. Inoltre, per il Paese, questo settore è sempre stato oggetto di cooperazione bilaterale (a partire da quelle con gli Stati Uniti) e multilaterale, in grado di valorizzare la sua attività industriale.
A chi toccheranno le deleghe allo Spazio nel governo presieduto da Giorgia Meloni? Vediamo cosa prevede la legge.
Con il decreto legge numero 111 del 6 agosto 2021 (governo Draghi), riguardante “Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti” è stato modificato l’articolo 21 del sopracitato decreto legislativo prevedendo che le deleghe alle politiche spaziali e aerospaziali possano essere attribuite, oltreché a un sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, a un ministro, anche senza portafoglio. Successivamente, il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva delegato le funzioni a Vittorio Colao, ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. A lui, dunque, erano stati attribuiti gli incarichi di indirizzo e coordinamento in materia spaziale e aerospaziale. La legge prevede, inoltre, tra i suoi scopi quello di favorire l’efficacia delle iniziative dell’Agenzia spaziale italiana. Quelle deleghe in precedenza erano state assegnate a Bruno Tabacci (nei primi mesi del governo Draghi), a Riccardo Fraccaro (governo Conte II) e Giancarlo Giorgetti (Governo Conte I).
Nella precedente legislatura il Copasir presieduto dal senatore Adolfo Urso di Fratelli d’Italia, oggi ministro alle Imprese e al made in Italy, si è occupato, con una relazione di luglio, del “dominio aerospaziale quale nuova frontiera della competizione geopolitica”. Lo Spazio apre “sfide inedite non solo per l’ordine mondiale ma anche per la nostra difesa nazionale”, si legge. “La New Space Economy, ovvero l’insieme delle attività connesse con l’esplorazione, la ricerca, la gestione e l’utilizzo dello Spazio cosmico, rappresenta uno dei settori di maggiore importanza strategica ed è quello in più forte espansione nel quadro economico mondiale”, recita il documento. “L’incidenza sempre maggiore delle ricadute delle attività del settore aerospaziale in numerosi ambiti economici e industriali tradizionali ha indotto diversi Stati ad investire importanti quote di risorse pubbliche in innovazione tecnologica. Allo stesso tempo si è assistito ad un’impressionante corsa da parte di attori privati alla realizzazione di sistemi di accesso allo Spazio: i casi più noti sono senz’altro quelli delle due aziende statunitensi SpaceX e BlueOrigin e della britannica Virgin Galactic”.
L’Italia vanta una “solidissima tradizione tecnologica”, ha spiegato il Copasir. È, infatti, “uno dei pochi Paesi ad avere una filiera completa e una concreta possibilità di accesso allo Spazio, potendo contare su una più che significativa presenza nel sistema dei lanciatori europei presenti e futuri, attraverso Vega e le sue evoluzioni, su una forte competenza nella realizzazione di satelliti, sulla capacità di svolgere attività in orbita e su avanzate tecnologie di trattamento dati”.
Ci sono poi le sfide globali. Con l’invasione dell’Ucraina, alcuni programmi di esplorazione spaziali con la Russia sono stati posticipati e le catene di approvvigionamento delle materie prime indispensabili per formare i materiali con cui realizzare le aerostrutture sono state interrotte. Basti pensare che parte dei sistemi di propulsione utilizzati dai lanciatori italiani è di realizzazione ucraina, come ricorda la relazione. Infine, la Cina, attore sempre più centrale nella nuova corsa allo Spazio. Il Copasir ha messo la lente d’ingrandimento sulla base spaziale italiana di Malindi, in Kenya. Secondo il Comitato, “il sito risulterebbe ormai privo delle condizioni per poter effettuare lanci” e “il costo della stessa base risulta al momento superiore ai vantaggi che se ne potrebbero ricavare”. Tanto che nella relazione si invita a riflettere sulla “effettiva necessità di conservare tale presidio” e sulle “reali prospettive future e sulle concrete possibilità di un suo impiego, qualora ritenuto funzionale alla tutela dei nostri interessi strategici”. Il Copasir, inoltre, ha registrato con preoccupazione che l’infrastruttura è oggetto di “attività condotte da tecnici cinesi che accedono alla base, in virtù di un accordo bilaterale tra Pechino e Nairobi”.