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Cronicità e diritto alla cura in una società che cambia. Il dibattito di Fondazione Roche

La cronicità rappresenta una sfida per il Servizio sanitario nazionale ed è quindi necessario che il decisore pubblico si faccia carico di soluzioni che concilino i bisogni dei pazienti con la sostenibilità. Su questo tema associazioni dei pazienti, istituzioni e accademici, stimolati da Fondazione Roche, si sono confrontati sui percorsi da intraprendere per migliorare la vita dei pazienti cronici, in particolare quelli diabetici

La limitatezza delle risorse pubbliche impone delle scelte su quali siano i diritti da tutelare in via prioritaria. In questo contesto, la cronicità di alcune patologie pone nuove sfide, che richiedono soluzioni innovative e digitali, affinché il diritto alla cura delle persone si possa tradurre in un beneficio per la collettività.

Se ne è parlato nel terzo appuntamento di “Tutto nella norma”, il ciclo di eventi promosso da Fondazione Roche, con la collaborazione di Formiche ed Healthcare policy. La tutela dei diritti del cittadino e il tema della salute sono stati, ancora una volta, al centro di un dibattito che ha visto la partecipazione di esperti, rappresentanti delle istituzioni, pazienti, associazioni e accademici.

La cronicità è un aspetto di cui il servizio sanitario deve occuparsi, ha spiegato la presidente di Fondazione Roche, Mariapia Garavaglia, “se i finanziamenti non bastano c’è poco da invocare deontologia e dovere dei medici”, e ha lanciato una provocazione per spronare le istituzioni: “I cronici sono ampiamente sotto finanziati e senza le risorse adeguate si andrà incontro a una eutanasia di Stato”. Senza risorse sufficienti ai servizi per anziani, invalidi gravi, portatori di Alzheimer, la cronicità può diventare una condanna a morte per i pazienti, determinando una sofferenza per i familiari e un eccessivo carico di lavoro per gli operatori che cercano di colmare le carenze del Servizio Sanitario.

La competizione dei diritti e il ruolo del decisore politico

“La cronicità è definita come l’irreversibilità di uno stato morboso che dà luogo a un lento decorso senza possibilità di risoluzione, sostanzialmente non si guarisce e non si muore – ha ricordato in apertura ai presenti il filosofo e politologo, Sebastiano Maffettone – questo corrisponde all’idea che uno ha della vita, una specie di malattia mortale a trasmissione sessuale”. La medicina, ha proseguito Maffettone, ha bisogno di umanesimo e di un’attenzione più profonda alla cronicità, che se non curata crea danni oggettivi alla società. Il professor Maffettone ha anche citato in maniera provocatoria la tesi di Daniel Callahan sul tema, dicendo che si rischia di trovarsi nella situazione di dover scegliere tra l’insostenibilità economica delle cure e la condanna di anziani e malati cronici.

A confrontarsi a distanza con il filosofo della Luiss Guido Carli è stato il segretario generale di Fondazione Roche Francesco Frattini, che ha ribadito che l’approccio tecnico non basta: “C’è bisogno di un approccio più umano, in considerazione della complessità, per raggiungere davvero una cura personalizzata, andando al di là della medicalizzazione della patologia, e rivalutando la gestione della persona nella sua interezza”. In un certo senso, ha detto Frattini, ha ragione Callahan perché le risorse sono finite, ma è anche vero che lo Stato sociale deve garantire una pluralità di diritti in competizione tra loro, tra cui quello alla salute, al cui interno la gestione della cronicità è sicuramente centrale, perché costituisce un punto di intersezione con altri diritti, come quello al lavoro o all’istruzione. “Ci troviamo in uno Stato sociale e penso che a decidere della competizione tra i diritti debba essere la politica nel senso più alto del termine, e cioè un decisore politico e non tecnico”.

Diritto alla cura delle patologie croniche e impegno delle istituzioni

“Il diabete è una maledizione presente h24 ma la benedizione è la legge che ne ha regolamentato la gestione da parte del Ssn. Il piano del diabete e, successivamente, quello delle cronicità hanno permesso in tutte le Regioni di disporre di un centro di diabetologia a disposizione delle esigenze dei pazienti. – ha detto alla platea Emanuela Baio, responsabile delle politiche sanitarie, intergruppo parlamentare obesità e diabete – Eppure i pazienti con diabete fanno ancora fatica”. La responsabile ha infatti ricordato come dai dati emersi recentemente, l’Italia riveli forti differenze per l’incidenza delle persone affette da diabete: “non ha senso che in Calabria il numero di pazienti con questa patologia sia superiore rispetto ad altre Regioni. Il servizio sanitario dovrebbe essere universale”. Ha auspicato poi che si possa realizzare una valorizzazione dei dispositivi tecnologici, i quali possono aiutare a ridurre tali differenze territoriali e a migliorare la vita dei pazienti.

A evidenziare le criticità e le soluzioni da apportare al Ssn ha provveduto Paola Pisani, già presidente e coordinatore della Commissione nazionale diabete e cronicità, che ha evidenziato il divario esistente tra i servizi sanitari privati e pubblici, ma anche all’interno delle strutture stesse, “per contrastare lo scollamento dobbiamo ridisegnare e riorientare il modello organizzativo, ripensare la comunicazione tra le strutture e predisporre bene le infrastrutture tecnologiche”. Della stessa opinione Nicola Provenza, co-presidente dell’intergruppo parlamentare sulla cronicità: “È l’organizzazione che fa la differenza e non le risorse. Non dobbiamo partire dal budget ma dalla capacità di investire nella maniera più appropriata, in base alle priorità”. Inoltre, Provenza ha posto l’accento sul rapporto tra medico e paziente, da ripensare non solo sotto il profilo etico, ma anche umanistico, in modo da poter raggiungere una vera e propria alleanza terapeutica.

Ausilio delle tecnologie e ruolo dell’industria 

“Gli strumenti tecnologici ci hanno permesso negli ultimi anni di migliorare in modo ottimale le cure per il diabete – ha spiegato Dario Pitocco, direttore del dipartimento di Diabetologia del Policlinico Gemelli – in quanto la digitalizzazione per l’assistenza, la telemedicina e la raccolta di dati possono agevolare il controllo dell’andamento della patologia ma è necessario salvaguardare il rapporto umano che rimane l’arte fondante del nostro lavoro”.

Il fatto che l’innovazione, unitamente alle soluzioni digitali, possa cambiare la gestione personalizzata del diabete è ormai scientificamente provato. Secondo Concetta Irace, professoressa ordinaria di Scienze Tecniche Mediche presso l’Università di Catanzaro occorre sempre partire dalle evidenze scientifiche che sono alla base delle cure e, nel caso del diabete, “la malattia dei numeri”, è appurato che i nuovi dispositivi siano essenziali per monitorare la glicemia.

“A sottolineare il ruolo delle associazioni dei pazienti c’è la legge dell’87 e il piano nazionale sulla malattia diabetica che ad essa fanno direttamente riferimento”, ha aggiunto Rita Lidia Stara, membro del consiglio direttivo Diabete Italia. Stara, ha poi rimarcato il ruolo che i nuovi dispositivi medici possono svolgere nella gestione del diabete: “I costi derivanti dall’uso dei dispositivi medici nella cura del diabete sono minimi. Ciò che rischia di far saltare il sistema sono i costi derivanti dalle ospedalizzazioni”

Il contributo delle aziende all’evoluzione degli ecosistemi digitali è stato ricordato anche da Maria Grazia Bellotti, value evidence and access director, Roche Diabetes Care: “La digitalizzazione rappresenta un momento molto importante di innovazione e di cura in Italia perché favorisce una migliore presa in carico delle persone ovunque si trovino”. Obiettivo dell’industria, ha aggiunto la Bellotti, è quello di produrre dispositivi medici sempre più semplici da utilizzare, per favorire al massimo il loro utilizzo e la loro diffusione tra i pazienti e i medici. Un altro elemento importante messo in luce dalla direttrice è l’educazione ossia “la chiave per un utilizzo appropriato delle tecnologie, un’area nella quale si può fare molto insieme per migliorare la sostenibilità del Ssn”, ma è indispensabile una maggiore collaborazione tra pubblico e privato per rispondere ai bisogni degli ospedali e dei pazienti.


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