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La fuga degli inserzionisti da Twitter spiegata dal prof. Benton

Musk minaccia ritorsioni contro le aziende che hanno interrotto le loro campagne pubblicitarie sulla piattaforma. Ma uno studio della Montclair State University, commentato con Formiche.net dal suo autore, dimostra che l’hate speech sulla piattaforma si è impennato da quando il miliardario ne ha preso il controllo. E anche i 3.700 licenziamenti hanno un peso su queste decisioni

Il gigante dei prodotti alimentari General Mills, Pfizer, Audi, General Motors sono solo alcuni dei brand che hanno sospeso le loro campagne pubblicitarie su Twitter in seguito alle incertezze generate dall’acquisizione di Elon Musk. Tuttavia non si tratta – per il momento – di una decisione definitiva.

Le perplessità sarebbero legate all’incertezza sulla moderazione dei contenuti, preoccupati di una deriva del linguaggio considerato ‘hate speech’ dai quali i loro marchi vogliono prendere la distanza. Un portavoce di General Mills ha dichiarato “Continueremo a monitorare questa nuova direzione [di Twitter] e a valutare il nostro investimento pubblicitario di marketing”. Musk ha ammesso la fuga degli inserzionisti, sostenendo di “aver fatto tutto il possibile per impedirla”. Il problema sta nelle regole societarie che le aziende si sono imposte in questi anni, e che scattano indipendentemente dalla volontà dei manager.

Se una piattaforma non rispetta criteri ESG (dove la “G” sta per governance) magari perché licenzia oltre 3mila persone in un colpo solo, tra cui quelle che su tali criteri devono vigilare o che gestiscono gli annunci pubblicitari; se si riempie di frasi considerate razziste, discriminatorie, contrarie alle policy aziendali; se non garantisce la moderazione o il filtro dei contenuti, allora i responsabili del marketing sono di fatto “costretti” a staccare la spina degli investimenti, per non rischiare sanzioni corporate, la rivolta degli azionisti, o il boicottaggio dei loro clienti.

Come spiega a Formiche.net il professor Bond Benton della Montclair State University (New Jersey, Usa), “un nostro studio ha riscontrato un incremento della quantità di hate speech su Twitter nel periodo immediatamente successivo all’acquisizione di Musk”. Secondo Benton, l’affermazione di Musk di voler ridurre i livelli di monitoraggio e limitazioni, con il suo ormai famoso tweet “the bird is free” (l’uccellino ora è libero), “ha una connotazione interessante. Indica che ci sarebbe una correlazione tra l’idea di libertà [d’espressione] e l’uso del hate speech. Inoltre, è in linea con quanto abbiamo osservato nella nostra ricerca su quello che accade sulle piattaforme che non sono monitorate [per impedire simili discussioni e linguaggio]”.

“Se osserviamo spazi come Gab – social media americano noto per i suoi utenti di estrema destra – o il forum online 4Chan, il fatto che non vengano monitorati è il loro cavallo di battaglia. Per questo motivo vi si trovano hate speech, disinformazione e contenuti estremisti. Dunque, il fatto che Twitter possa essere meno controllata ha attratto immediatamente utenti che volevano condividere quei tipi di contenuti”, commenta il docente.

La conclusione è che “come società civile, dobbiamo rimanere vigili su quello che accade nelle principali piazze di conversazione della nostra cultura. Dobbiamo chiederci se migliorino la situazione o no. In questo senso dobbiamo prestare attenzione a quanto accade ora su Twitter. Noi ci auguriamo il meglio ma [quanto accaduto e osservato] è stato un campanello d’allarme che ci ha ricordato le potenziali derive che potrebbe assumere una piattaforma social senza controllori”.

Lo studio della Montclair State University ha riscontrato una forte impennata di hate speech sulla piattaforma nelle prime dodici ore successive all’annuncio del ruolo di Musk come nuovo Ceo. Questo picco è successivamente sceso, ma senza tornare ai livelli precedenti all’acquisizione.

Musk sta cercando di rassicurare, sia in privato che in pubblico, che la sua piattaforma rimarrà un forum sicuro per i differenti brand aziendali. Si è definito sul suo profilo “Twitter complaint hotline operator (addetto al reparto reclami di Twitter), e ha precisato che la piattaforma “non può diventare una landa infernale senza leggi”. Nelle ultime ore ha però minacciato un “name & shame di proporzioni termonucleari”, ovvero di rivelare tutti gli inserzionisti che stanno ritirando i propri budget pubblicitari, probabilmente per esporli alla furia dei suoi seguaci (sono 114 milioni). È passata solo una settimana ma si continuerà a ballare.


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