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Tra Golden power e politica industriale. I consigli di Garofoli

Il contesto di crisi “suggerisce di innalzare la capacità pubblica di rafforzare la resilienza” economica, ha spiegato il presidente di sezione del Consiglio di Stato ed ex sottosegretario a Palazzo Chigi. Serve, però, trovare risposte ai casi di veto. Sul 5G le parole di Pugnalin (Vodafone)

È “ancor più vero” in una stagione come quella attuale, segnata da “una profonda, multifattoriale e severa crisi”, che serve rafforzare società ed economie occidentali, ha spiegato Roberto Garofoli, presidente di sezione del Consiglio di Stato e sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri del governo Draghi, durante l’evento “La crisi energetica tra coordinamento europeo e interesse nazionale” alla Luiss (qui la gallery fotografica) moderato da Marco Dugato, professore di Diritto amministrativo dell’Università di Bologna.

LA CRESCITA DEL GOLDEN POWER

Il contesto attuale, ha continuato, “suggerisce di innalzare la capacità amministrazione e la capacità pubblica di rafforzare la resilienza delle economie dei Paesi”, tra cui la normativa Golden power, strumento di “importanza via via crescente” di cui Garofoli si è occupato in prima persona da sottosegretario a Palazzo Chigi.

I numeri lo raccontano chiaramente. Le operazioni oggetto di notifica per l’esercito dei poteri speciali continuano a crescere: erano 83 del 2019 e 342 nel 2020, sono state 496 nel corso del 2021 (anno in cui, a febbraio, si è insediato il governo di Mario Draghi). È quanto appreso a luglio dalla Relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali presentata al Parlamento dall’allora sottosegretario Garofoli che all’evento Luiss ha spiegato che potrebbero essere più di 500 nel 2022. Questo aumento, ha continuato, ha reso necessaria una riforma dello strumento per semplificare le procedure. Come ha spiegato nelle scorse settimane Bernardo Argiolas, coordinatore dell’Ufficio Golden power all’interno del Dipartimento per il coordinamento amministrativo di Palazzo Chigi, lo strumento del Golden power non è stato soltanto cambiato ma è stato “rivoluzionato” negli ultimi tempi. Semplificare e rendere prevedibile l’attività sono stati i due principi che hanno guidato il governo Draghi nell’aggiornamento della normativa e della struttura competente.

LO STATO, DA AZIONISTA A REGOLATORE

Spiegando come da “Stato azionista” si sia passati allo “Stato regolatore”, e dunque dalla Golden share al Golden power, Garofoli ha evidenziare l’importanza di bilanciare l’interesse “primario” di attrarre investimenti con la necessità che questi siano “coerenti” con gli interessi nazionali di tipo strategico. Ciò, in prima istanza, per tutelare le filiere produttive da minacce predatorie straniere, con operazioni non sempre frutto di ragioni imprenditoriali ma “al contrario per acquisire tecnologie o materie prime o squilibrare il rapporto competitivo tra le imprese straniere e le imprese che si intende acquistare”.

“In un più ampia prospettiva”, ha continuato, è necessario proteggere “l’indipendenza economica italiana ed europea in alcuni settori” che le crisi hanno palesato come “particolarmente essenziali e strategici”.

LA POLITICA INDUSTRIALE

C’è un passaggio, però, che secondo Garofoli va ancora affrontato: la “necessità di raccordo tra golden power e politica industriale, fermo restando” che il primo non va utilizzato come “strumento” della seconda, bensì come mezzo di protezione degli asset in condizioni eccezionali. Si tratta di “un anello che va rafforzato”. Nei casi di veto, in particolare, “occorre che di quell’asset” di cui è stata bloccata la vendita “qualcuno si occupi” anche alla luce del fatto che il proprietario aveva deciso di non proseguire in quell’attività. “E necessario”, ha detto, trovare “luoghi e momenti istituzionali di raccordo tra il veto a monte (…) e lo strumento ontologicamente diverso di politica industriale”, ha detto Garofoli ammettendo che “non è semplice” arrivare a definirli.

Nei giorni scorsi, Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy, aveva sostenuto che quello degli indennizzi per le aziende “colpite” del Golden power è un “punto chiave che stiamo studiando alla luce di una visione strategica”: “ogni azione a tutela della sicurezza nazionale deve sempre tenere conto anche delle sue conseguenze economiche e produttive e quindi sociali”, ha dichiarato al Sole 24 Ore ipotizzando “un investitore istituzionale come Cassa depositi e prestiti”. In precedenza, della questione si era parlato dopo lo stop del governo Draghi a un affare “cinese”, quello che riguardava il produttore di semiconduttori Lpe. L’azienda aveva scritto una lettera al presidente Draghi e a Giancarlo Giorgetti, allora ministro dello Sviluppo economico oggi all’Economia, lamentando la “natura espropriativa” del decreto. “L’idea di offrire un risarcimento finanziario punta a limitare il ricorso ai tribunali e ad aiutare il governo a difendersi dalle accuse di privare gli azionisti dei loro diritti”, aveva riportato l’agenzia Reuters citando le due fonti anonime.

IL TEMA DEL 5G

L’Italia “è arrivata molto tardi” sul tema del golden power, ha spiegato Riccardo Pugnalin, direttore relazioni esterne di Vodafone Italia. “Il precedente governo ha sanato velocemente e con grande prontezza un’arretratezza di fondo”. Il manager cita l’esempio del Regno Unito, dove la normativa è entrata in vigore prima della definizione di programmi per lo sviluppo del 5G. “ Da li sono partite una serie di azioni virtuose” che sono state “ben programmate” affinché “non subentrassero azioni industriali” in cui “le acquisizioni erano già state fatte con tecnologie che nel frattempo, per motivi di ordine geopolitico e di sicurezza nazionale, si sono strada facendo ritenute parzialmente o difficilmente accessibili”.

Il riferimento di Pugnalin è alle restrizioni imposte tramite lo strumento del golden power e il lavoro dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale sui vendor extra Ue. Ecco dunque che, anche alla luce dell’impossibilità della dimensioni giuridica e normativa di dare risposte precise se non con un atteggiamento di soft law, serve trovare ex post una serie di punti di collegamento “affinché gli investimenti possano andare avanti, soprattuto nel campo del 5G nella giusta direzione geopolitica” che il nuovo governo indica, ha concluso Pugnalin.


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