In Libia la Turchia copre i numerosi vuoti lasciati da altri, e qui entra in gioco la responsabilità franco-italiana. Ma Roma può rimediare. Il passaggio che ha visto nascere l’accordo con la Libia ha sancito il trasferimento della vicenda libica dalla zona di influenza franco-italiana a quella turca. L’analisi di Mario Mauro, già ministro della Difesa
La mossa con cui il Parlamento Europeo ha esortato le autorità libiche ad annullare il memorandum d’intesa turco libico del 2019 e il successivo accordo sugli idrocarburi firmato il 3 ottobre di quest’anno è un elemento che merita alcune considerazioni.
Qui Bruxelles
Come altre volte accaduto in passato, il Parlamento europeo è stato chiamato a togliere le castagne dal fuoco perché, nella dialettica tra i Paesi membri e la Turchia, sono pochissimi i Paesi che hanno avuto il coraggio di intavolare un negoziato diretto con i turchi, questo per una serie di ragioni. Intanto per evitare il rischio escalation, basti pensare a Paesi come Grecia e Cipro e, in secondo luogo, perché nel caso degli altri attori dello scenario euromediterraneo, come Francia e Italia, il problema è un altro: ovvero che l’interlocuzione con i turchi e l’interlocuzione che i turchi hanno o hanno avuto nel recente passato anche con altri grandi player mondiali in primis la Russia, si traduce nel fatto che alla fine chi ci ha ricavato qualcosa è stato solo ed esclusivamente la Turchia. Ankara, dopo ogni contrasto, ha saputo negoziare con l’obiettivo di implementare la propria area di influenza.
Strategia russo turca
Il passaggio che ha visto nascere l’accordo con la Libia è un passaggio che ha sancito il trasferimento della vicenda libica dalla zona di influenza franco-italiana a quella turca. Non è stato sufficiente il momento topico delle primavere arabe, visto e considerato che sul dossier libico i turchi hanno continuato a lavorare, frutto di questa speciale intesa che hanno maturato a partire da quando i russi hanno avuto con i turchi il massimo della tensione, cioè l’abbattimento dell’aereo russo dovuto a un intervento al confine siriano della forza aerea turca. In quel momento si è materializzato anche il massimo della collaborazione, basti pensare alle informazioni di intelligence che hanno permesso a Erdogan di sfuggire al presunto colpo di Stato nel 2016, che gli ha consentito di lanciare una grande campagna di repressione.
Questa la dinamica che poi ha caratterizzato le relazioni con i russi: hanno litigato e si sono poi accordati, nell’ordine, sul Nagorno Karabakh, su Libia e Sahel, sullo scacchiere centro caucasico come su quello dei Balcani. Chi ne soffre maggiormente di questa strategia così raffinata? Non dobbiamo dimenticare che in passato, ad esempio nella vicenda della guerra di Crimea, l’Europa ha sempre potuto usufruire di una postura turca antirussa, cosa che invece oggi è molto più complessa se pensiamo che in questi giorni molti quotidiani turchi sono affollati da interventi di persone ritenute vicinissime a Erdogan che parlano del presunto colpo di Stato come un’iniziativa addirittura della Nato.
Reazione turca
Da ciò deriva che le vicende dello scacchiere russo turco influenzano la postura turca nel Mediterraneo o meglio, le hanno dato quella chiave di garanzia che le consente di operare concentrando tutta la propria forza nel braccio di ferro con i Paesi europei, senza doversi preoccupare dell’ingombrante vicino. E da questo punto di vista già quando c’è stato il caso dei carotaggi di Eni e Total dopo aver vinto il bando del governo cipriota sugli impianti offshore al largo di Cipro, la reazione turca è stata oltremodo significativa: ovvero si è collocata in modo tale da impedire l’inizio dello sfruttamento minerario da parte di Eni e di Total consentendo invece agli americani di Exxon di aggirare l’ostacolo, visto che la nave di Exxon è stata poi accompagnata da una nutrita scorta della flotta statunitense.
La verità è che i Paesi europei, anche quelli ritenuti con una relativa autosufficienza militare, sono molto restii a ingaggiare un braccio di ferro con il governo di Erdogan e, in più di una circostanza, hanno dimostrato che preferiscono suonare l’allarme sul tema dei diritti, sulla mancanza di un vero e proprio sistema di giustizia, sulla persecuzione della popolazione curda e sugli sforamenti in chiave siriana e irachena: favorendo la circostanza che tali rilievi siano piuttosto appannaggio di voci appartenenti alle istituzioni internazionali che non delle rivendicazioni di carattere esplicitamente diplomatico. L’unica eccezione, forse, è stata la postura durissima di Mario Draghi all’inizio del rapporto con Erdogan.
Il ruolo di Erdogan
Inutile nascondersi: oggi Erdogan, che ha assunto un ruolo cruciale di negoziatore nella vicenda tra Russia e Ucraina, ha ulteriormente rafforzato la propria posizione e non a caso pensa di poter fare il bello e il cattivo tempo non solo nello scacchiere mediterraneo, ma anche in quello mediorientale. Ci troviamo di fronte a una congiuntura molto delicata, per cui se Francia e Italia non avranno contezza piena del fatto che la vicenda degli accordi turco-libici richiede l’apertura di un vero e proprio negoziato sulla scorta di un giudizio netto (e cioè che quelle procedure sono illegittime e pericolose per la vita di molti Paesi del circondario), ben difficilmente ci sarà un’evoluzione positiva.
Cosa rischia l’Italia
Anzi, andremo incontro a una sorta di usucapione in un’area che, dal punto di vista del bacino di interesse, rappresenta un punto assolutamente cruciale tanto per noi quanto per i francesi, ma direi forse molto più per noi.
L’Italia, come noto, è stata piuttosto ondivaga sull’argomento in certi momenti, lasciando immaginare che fosse più che altro un problema di privati, ammesso che si possa considerare un affare privato, cosa di cui dubito, il punto di vista di Paesi che certo non hanno un buon rapporto con la Turchia, come la Grecia.
Ciò che alla fine manca seriamente è un’iniziativa italiana che potrebbe essere la chiave di volta di un’interpretazione dei dicasteri esteri e difesa, considerando che questo Governo vive tutto all’insegna dell’interesse nazionale.
Torno infine a sottolineare l’aspetto determinante di che cosa voglia dire una postura che ci consente di determinare zone economiche esclusive all’interno di un accordo bilaterale: vuol dire ovviamente esercitare una pressione e fare una vera e propria provocazione nei confronti degli altri Paesi determinanti dell’area.
Algeria-Marocco-Egitto
Se a questo poi aggiungiamo che i turchi hanno anche provato a sollecitare per un’operazione analoga il governo algerino, spingendolo a proclamare zona economica esclusiva della propria proiezione marittima verso la Sardegna, questo la dice lunga su come i turchi abbiano le idee chiare su obiettivi e azioni. Ovvero vogliono chiudere nell’area nord del Mediterraneo i protagonisti di quella costa andando a ricoprire il ruolo di tutela di ottomana memoria, che hanno per lungo tempo esercitato su tutta la costa sud e quindi sui Paesi del Nord Africa.
Devo dire che non c’è particolare voglia da parte di questi Paesi di tornare sotto tutela turca, in particolar modo se pensiamo a due paesi straordinariamente importanti come Marocco ed Egitto. Però stiamo parlando anche di due Paesi che assommano alcune fragilità nelle quali i turchi hanno rivelato le proprie capacità negoziali: primo fra tutti, il poter assicurare a questi Governi le forniture di grano e seminativi ucraini.
In ultimo ricordo che sondaggi elettorali non brillanti, rappresentano per Erdogan un problema sulla strada che lo condurrà alle prossime elezioni nel giugno 2023: significa che tenterà in tutti i modi e con altri argomenti di ricompattare il suo elettorato provando a distrarlo dalla crisi economica e da un’inflazione altissima.
@MarioMauro