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Il tetto al prezzo del gas, la guerra, le strategie europee. La versione di Parenti

La bozza di accordo sul tetto al prezzo del gas ha attirato critiche da parte di chi sostiene che non sia abbastanza per contenere il caro-bollette. La crisi energetica, la guerra in Ucraina, le strategie dell’Unione Europea, il ruolo di Inviato speciale per il Golfo cui è candidato l’ex ministro Di Maio. Il commento di Antonio Parenti, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea

La bozza di accordo sul tetto al prezzo del gas ha attirato critiche da parte di chi sostiene che non sia abbastanza per contenere il caro-bollette. L’accordo si inserisce nel quadro della crisi energetica, della guerra in Ucraina e delle strategie che l’Unione Europea riuscirà ad adottare in questi tempi complessi. Ne abbiamo parlato con Antonio Parenti, Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.

C’è chi sostiene che l’Italia sia uscita sconfitta dall’accordo sul price cap, che non impedirà il caro-bollette e che semplicemente scongiurerà i picchi più estremi.

Non credo che l’Italia ne esca sconfitta. Esiste sicuramente il problema dell’assicurarsi un approvvigionamento sicuro di gas, ma questo comporta rispettare il più possibile le regole del mercato. Non è soltanto questione di Russia, ma anche della supply da altri mercati, come quello norvegese o statunitense, per i quali un prezzo totalmente bloccato porterebbe effetti negativi, nel senso che i flussi si sposterebbero verso altre zone. L’importante è mantenere un prezzo che sia gestibile, che contenga i possibili picchi sulle nostre importazioni. Bisogna mantenere una posizione che permetta all’Unione di calmierare i prezzi, pur restando in una situazione di libero mercato. Chiaramente lo scenario rimarrà difficile fino a che non finirà la guerra in Ucraina.

A proposito di Ucraina, il primo ministro ungherese, Viktor Orban, ha affermato che bisognerebbe smettere con gli aiuti europei per preferire accordi bilaterali, parlando poi di una cifra quasi irrisoria che Budapest potrebbe versare.

Il sostegno a Kiev è fondamentale ed è necessario finché non si arriverà a una soluzione di pace accettabile per gli Ucraini. Ma la sfida enorme sarà quella della ricostruzione. Bisognerà mettere il Paese nella condizione di essere un candidato serio per entrare nel mercato europeo Questo da un lato significa trarre benefici, ma dall’altro anche esporsi alla concorrenza dei partner europei, dotarsi di legislazioni e di personale amministrativo in grado di gestire i nuovi strumenti, eccetera. I fondi per la ricostruzione post bellica sono quindi fondamentali e fanno parte dell’interesse comunitario e direi in generale di tutto il campo occidentale. Se l’Europa affronterà questi temi divisa avrà solamente da perdere. Poi, nel caso della sua domanda, bisogna forse distinguere quelle che sono tattiche di negoziato per ottenere concessioni di altro tipo.

Crede che, tra pandemia e crisi energetica, si arriverà a uno strumento di qualche tipo di condivisione del debito?

La questione è ancora in discussione e ci sono ovviamente alcune resistenze. Ci siamo ritrovati di fronte i due eventi inattesi del Covid-19 e della guerra. Gli strumenti che andavano nella direzione di stabilire meccanismi di condivisione del debito, come il Next Generation Eu, erano nati in un contesto molto particolare di forte solidarietà. Se si riveleranno pienamente efficaci, forse apriranno la strada a un debito comune strutturato, ma parliamo di un orizzonte temporale al 2026. I rischi che derivano dal costo del gas si riflettono anche sul fatto che alcuni Paesi possono aiutare le proprie imprese più di altri, ponendo sfide al mercato interno. Credo che alla fine una strada comune si troverà, anche perché è interesse di tutti che esista un mercato unico di fronte alle sfide globali. Un mercato europeo in cui non solo si produca, ma si continui anche a consumare.

Sempre a proposito di energia, la candidatura dell’ex ministro degli esteri, Luigi Di Maio, a Inviato Speciale dell’Ue per le politiche energetiche nel Golfo Persico ha creato una grande polemica in Italia.

La cosa che mi lascia un po’ perplesso è notare le critica nei confronti della candidatura nel nostro Paese. Il processo è trasparente, c’è un bando per la candidatura promosso dallo European External Action Service, un panel esterno alle istituzioni Ue che valuta i profili e li rende pubblici, e poi l’Alto Rappresentante porta i nomi ai governi in Consiglio Europeo, che ha l’ultima parola. Luigi Di Maio è una persona che ha ricoperto un ruolo da ministro degli Esteri di un importante paese per tre anni, ed è molto stimato sia in Europa che fuori.

Sul tema energetico esistono forti interessi nazionali. E’ chiaro che una volta che si ricopre una posizione da funzionario europeo non si risponde più alle logiche nazionali, ma comunque i candidati portano con sé una conoscenza approfondita del proprio Paese. Quindi insomma, a prescindere dalla legittimità delle critiche dei singoli parlamentari che hanno tutto il diritto di esprimersi sulla questione, sono un po’ perplesso dalla polemica che leggo sui giornali.

Di cosa dovrà occuparsi nel concreto questa figura europea istituita la scorsa estate?

L’Inviato Speciale avrà sicuramente molto lavoro da svolgere con i Paese dell’area del Golfo per discutere e determinare la questione dell’approvvigionamento energetico nei prossimi anni. Nel brevissimo termine l’area è importante come fonte di gas naturale liquefatto, ma in futuro giocherà un ruolo molto rilevante con riguardo all’idrogeno verde, vista l’esposizione al sole. Un tema su cui le istituzioni comunitarie, soprattutto la Commissione, stanno dando una forte spinta, perché questa risorsa sarà in futuro la fonte energetica più affidabile in termini di capacità di sostituzione delle fonti fossili per le aziende altamente energivore, come ad esempio le acciaierie.


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