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La lezione di Casamicciola, basta temporeggiare. Il monito di D’Angelis

L’ennesima lezione di Casamicciola ci dice che non va perso neanche un minuto per voltare pagina, e che gli impegni solennemente presi anche in queste drammatiche ore da ogni parte politica non devono puntualmente finire nel fango, ma produrre una svolta di prevenzione permanente

Ischia aggiunge altri morti e scene di devastazioni alla nostra agghiacciante, diffusa e rimossa Spoon River del dissesto idrogeologico con frane impressionanti, uragani che spazzano via litorali, nubifragi che gonfiano fiumi all’inverosimile, alluvioni, tempeste di vento che stravolgono territori, erosioni costiere e mareggiate, incendi furiosi e colposi che preparano il terreno al disastro. E l’apocalittica frana di Casamicciola rappresenta la tragedia di una Italia sotto i colpi quasi quotidiani di eventi meteoclimatici che continuiamo a definire “estremi” illudendoci che siano rari, ma ormai hanno assunto un carattere “ordinario”.

Il dramma dell’isola “fra le isole belle una bella più bella” di Elsa Morante, terra nel mare di una bellezza incomparabile, splendida per posizione geografica, privilegiata dalla gradevolezza dei paesaggi, amata e invidiata, è nel suo essere terribilmente esposta agli eventi di Madre Natura che ha voluto esagerare con la vulcanologia, la geologia, l’orografia e la morfologia, e le acque, regalandole un Lato B di straripante fragilità e rischiosità. Il suo territorio, soprattutto nel versante settentrionale con Casamicciola, andrebbe curato, manutenuto, tutelato costantemente, e soprattutto andava e andrebbe preso con le molle. Tra tanta e rara bellezza, infatti, si nasconde l’esposizione ad una gamma di rischi naturali amplificati dalla “mano dell’uomo” che ha seminato “trappole a tempo” nella corsa a costruire infischiandosene dei pericoli.

Ischia racconta, con resoconti, diari e mappe storiche la progressiva instabilità dei suoi versanti che hanno modificato spesso la morfologia dell’isola, la sismicità con fratture e frane sismo-indotte concentrate sui versanti del Monte Epomeo, e ben 15 grandi frane hanno colpito Casamicciola nell’ultimo secolo. Basterebbe dare un’occhiata alle cartografie del Piano di Assetto Idrogeologico dell’Autorità di bacino, alla mosaicatura dell’Ispra, alle analisi dell’Ingv, del Cnr, della Protezione Civile per rendersi conto dell’esposizione del costruito in aree chiaramente vulnerabili. Nel Comune più grande, Ischia, oltre un terzo della sua superficie, 3,27 km2, è a pericolosità di frana con circa 4 mila abitanti, il 18% della popolazione; Barano ha circa 3 mila persone, un terzo di popolazione, in 6,19 km2, più di metà superficie comunale a rischio frane; a Serrara Fontana nei 3,77 km2 a pericolosità di frana vivono 1.300 abitanti cioè oltre metà popolazione; a Forio nei 5,55 km2 più a rischio frana abitano più di 2.000 persone; nella deliziosa Lacco Ameno in 0,55 km2 più a rischio ci sono più di 1000 persone; nei 3,47 km2 franosi di Casamicciola a ridosso di aree a rischio molto elevato vivono 800 persone, circa 1.200 nell’area a rischio elevato, 30 in zone a pericolosità media, 560 in zone a rischio moderato.

L’isola è reduce anche da terremoti devastanti come quello che nel 1883 che uccise nella sola Casamicciola 2.333 persone, tra le quali padre, madre e sorella di Benedetto Croce, distrusse 537 edifici su 672, e prima di quello scossone ce ne erano stati altri nel 1881, 1828, nel 1796 e nell’ antichità, così come frane e alluvioni.

L’emergenza di queste tragiche ore, con il crudele elenco di famiglie devastate con morti e dispersi da individuare è certamente stata innescata dai 130 mm di pioggia caduta tra la mezzanotte di venerdì e le otto di sabato, una quantità che certo metterebbe in ginocchio migliaia di aree italiane, e che ha provocato il distacco del costone dal versante nord del Monte Epomeo, a circa 6-700 metri di altitudine, tra 100 e 200 metri sotto la vetta. Il versante dell’Epomeo è molto ripido, è inciso da valli che corrono verso il mare, il terreno è piroclastico cioè composto da ceneri e polveri vulcaniche sciolte che l’acqua ha saturato e gonfiato facendo venir giù micro-frane di detriti cosiddetti “veloci” schizzate a valle trascinando acqua e terra, massi, detriti, percorrendo forre e canaloni e raccogliendo tutti i vari rami ingrossati e confluendo verso l’abitato travolgendo tutto. La frana è stata devastante se consideriamo che un metro cubo di acqua pesa una tonnellata e il peso si quadruplica nel trascinamento di detriti.

Ma l’evento “eccezionale” è anche l’urbanizzazione anomala e fuori da ogni piano, pianificazione, programmazione e anche frutto di un abusivismo senza limiti d’uso del suolo, anche quello più franoso e alluvionale. Fattori scatenanti, evidenziati dalle circa 28 mila pratiche di richiesta di condono edilizio su 62.630 abitanti dell’isola, una o due o tre abitazioni senza licenza per famiglia, abusi “di necessità” o per “speculazioni”. E anche dopo il tragico 1 agosto 2017, dopo la scossa magnitudo 4 che riportò l’isola ai crolli da terremoto con 2 morti e 42 feriti, saltarono fuori costruzioni scadenti e fuori norma, e nella sola cittadina di Ischia 7.235 domande di condono edilizio 4.408 delle quali, denuncia Legambiente, ancora da evadere, e con percentuali minime sotto l’1% di delocalizzazioni e demolizioni eseguite su oltre 2.200 abitazioni abusive. Ma 4 condoni hanno unificato la politica (3 nazionali e l’ultimo inserito nel decreto Conte sul ponte Morandi) e da una burocrazia che ritarda classificazioni, controlli, sanzioni salvando case costruite senza regole, nemmeno l’antisismica visto che siamo anche in zona sismica, e nemmeno le regole di quel buon senso che fa evitare di far tirar su case e villette abusive negli alvei di corsi d’acqua e nei reticoli idrografici, nei canaloni di scorrimento, su versanti in frane e scarpate, e non abbandona il territorio ai suoi rischi.

Ischia, insomma, è anche simbolo dell’anarchia urbanistica italiana, non solo tollerata ma sostenuta dal “libera tutti” al cemento abusivo a difesa di fantomatici “diritti acquisiti” dagli abusivi. E dell’incuria cronica, l’abbandono di ogni manutenzione straordinaria e ordinaria, l’allergia alle opere di prevenzione. La follia dell’urbanizzazione italiana che ha visto edificare anche i suoli più fragili con ritmi unici che ci hanno fatto passare dal 2.3% del suolo nazionale “costruito” in 2000 anni di storia fino al 1950, portandolo all’8.3% nel 2022, triplicandolo in appena 7 decenni anche su aree vietatissime alluvionali o franose, in molti casi fuori dai piani regolatori e senza prevenzione. E allora, basta leggere i rapporti annuali dell’Ispra che raccontano un thriller, fanno spavento, calcolando circa 8,2 milioni di italiani con il 14,1% di industrie nazionali, il 21,1% dei beni culturali e tante infrastrutture primarie presenti su superfici in dissesto estese complessivamente per 59.981 km2, il 20% della penisola ma con aree presenti in 7.275 Comuni sul totale di 7.904, cioè praticamente in tutti.

Continuare solo ad inseguire le emergenze significa gestire sempre nuove catastrofi, quelle che lasciano vittime e dal dopoguerra ad oggi fanno sborsare allo Stato oltre 3.5 miliardi di euro in media all’anno per la sola riparazione dei danni, mentre aumenta la superficie cementificata in aree vulnerabili e soggette a frane e alluvioni. Nell’ultimo quinquennio la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni è aumentata rispettivamente del 4 e del 17% rispetto al 2017 a colpi di 19 ettari al giorno, e il 2021 ha fatto registrare il valore più alto negli ultimi 10 anni per il consumo di suolo, mentre la legge a tutela del consumo di suolo è stata bocciata per due legislature consecutive. Nonostante le perdite di vite umane, i drammi sociali ed economici, lo stravolgimento di territori, la politica e noi italiani adottiamo una sorta di naturale lockdown sul problema, e alle grandi emozioni e alla grande generosità di queste ore facciamo seguire grandi rimozioni delle cause. Ogni volta, tornato il sole, tocchiamo ferro e cornetti corallo, invochiamo santi protettori e ci affidiamo alla buona sorte ma non chiamiamo bravi geologi, ingegneri e architetti e muratori per metterci nella massima sicurezza possibile nel territorio più fragile d’Europa.

Ischia, quindi, fotografa perfettamente l’Italia che frana, si allaga e crolla troppo facilmente per i due terzi di territorio montuoso e collinare, per la più ricca idrologia europea con una media annua di 305 miliardi di m3 di acqua piovana, per 7.494 corsi d’acqua con la loro natura torrentizia, e la media record di uno smottamento ogni 45 minuti. L’Ispra censisce oggi la cifra record di 628.808 frane da Nord a Sud sul totale delle circa 750.000 dell’intero continente europeo, e i centri funzionali della Protezione Civile controllano in real time le 2.400 più pericolose. In un secolo, 4.439 località di 2.458 Comuni in tutte le nostre Regioni sono state colpite da oltre 17.000 gravi frane che hanno lasciato 5.455 morti, 98 dispersi, 3912 feriti gravi e oltre un milione di senzatetto.

L’ennesima lezione di Casamicciola ci dice che non va perso neanche un minuto per voltare pagina, e che gli impegni solennemente presi anche in queste drammatiche ore da ogni parte politica non devono puntualmente finire nel fango, ma produrre una svolta di prevenzione permanente. La grande opera pubblica più urgente è nel fabbisogno per ogni Regione presente nell’unico piano depositato a Palazzo Chigi nel 2019 dalla struttura di missione italiasicura: circa 11.000 tra opere e interventi per un costo di circa 31 miliardi di euro da realizzare in 10 anni di lavori costanti. Le risorse? Il Pnrr destinava ben 8,4 miliardi di euro al contrasto al dissesto idrogeologico, e moltissime opere possono essere realizzate nei prossimi 4 anni. Temporeggiare e galleggiare sono atteggiamenti incompatibili con l’accelerazione dei disastri annunciati.

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