La questione migratoria, i rapporti con la Francia, i pericoli della direttiva imballaggio per le aziende italiane. Ma anche il tetto al prezzo del gas, il debito comune e la sovra-regolamentazione. Euro-conversazione con Susanna Ceccardi, parlamentare leghista a Strasburgo
Dopo una serie di tensioni tra Parigi e Roma, l’Europa è chiamata a sciogliere un altro nodo: quello della solidarietà condivisa nei confronti dei migranti. L’8 novembre, in seguito all’arrivo di due imbarcazioni sulle coste siciliane, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva ringraziato in una nota la Francia per aver condiviso la responsabilità dell’emergenza migratoria; per essersi cioè fatto carico di accogliere una terza nave che l’Italia aveva ricevuto, rifornito, ma alla quale aveva impedito lo sbarco. Si tratta della Ocean Viking della SOS Méditerranée, attesa, sarebbe sembrato, presso il porto militare di Tolone, in Costa Azzurra. Viceversa, il comunicato ha innescato un’escalation capace di raggiungere vette altissime, smussate solo dalla moral suasion del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenuto telefonicamente nel fine settimana per ricucire lo strappo con l’omologo francese, Emmanuel Macron. Una frattura che appare consistente, tanto che la Francia ha fatto un passo indietro rispetto al Patto del Lussemburgo, siglato solo 5 mesi fa anche dal governo italiano e che per un anno avrebbe garantito un sistema di ricollocamento “principalmente a beneficio degli Stati membri che si trovano ad affrontare sbarchi a seguito di operazioni di ricerca e salvataggio nella rotta del Mediterraneo e dell’Atlantico occidentale”. Ma che, in questo momento, rischia di minare la stabilità dei 27, chiamati a guidare la rotta dell’Europa attraverso altre sfide importanti: dalla crisi energetica ai regolamenti anti-riciclo.
Per analizzare lo scenario attuale, Formiche.net ha raggiunto l’europarlamentare Susanna Ceccardi. Classe 1987, Ceccardi è arrivata a Bruxelles dopo un impegno come sindaca nella provincia di Pisa, a Cascina, dove sedeva già in consiglio comunale. Alle elezioni europee del 2019 risultava la candidata del centro Italia eletta per il centrodestra con il maggior numero di voti. All’Europarlamento ha aderito al Gruppo Identità e Democrazia ed è membro, tra le altre, della Commissione per gli Affari esteri, della Delegazione per le relazioni con gli Stati Uniti, della Delegazione per le relazioni con Israele, della Delegazione all’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo.
Per dirlo usando le parole dell’ex presidente della Camera, Luciano Violante, le migrazioni non sono un accidente transitorio, bensì un fenomeno strutturale che deve essere affrontato con una visione strategica. Nei giorni scorsi Parigi ha accusato l’Italia di essere venuta meno a delle regole europee. Ritiene che l’atteggiamento di Parigi sia stato commisurato alle azioni di Roma?
Prima di tutto, le migrazioni non saranno un accidente transitorio, ma non sono neppure un fenomeno naturale irrefrenabile. L’uso stesso del termine “migrazione” può trarre in inganno: non stiamo parlando di uccelli o pesci che si spostano stagionalmente per trovare un clima migliore, ma di esseri umani, dotati di ragione e di libero arbitrio, che si spostano perché vogliono trovare condizioni di vita migliori. Non stiamo quasi mai parlando dei più poveri, perché chi emigra paga migliaia di euro per compiere la traversata del Mediterraneo. Se si parla di rifugiati che fuggono da guerre o persecuzioni, la Lega non ha mai avuto problemi ad accoglierli. Qualcuno ha mai visto polemiche sui rifugiati di guerra ucraini? Se si tratta, invece, di persone che aspirano allo status di rifugiato, ma in realtà sono emigranti economici, in cerca di lavoro o di condizioni di vita migliori, allora il problema si pone, perché sono immigrati illegali, che vogliono aggirare le pratiche legali che rendono possibile l’accesso al nostro Paese. L’esperienza degli anni scorsi dimostra che i rifugiati veri siano un’esigua minoranza. Come vede, dunque, il problema è principalmente quello di far rispettare le regole. E questo governo lo sta facendo con più rigore, rispetto ai due esecutivi precedenti.
Torniamo alle parole di Parigi…
Fatta questa dovuta premessa, la Francia ritiene che l’Italia non abbia rispettato il diritto internazionale e soprattutto abbia violato la Dichiarazione del Lussemburgo che prevede un meccanismo di solidarietà a beneficio degli Stati membri di primo approdo. Secondo l’interpretazione francese, l’Italia avrebbe l’obbligo di accogliere gli immigrati. Ma questa è un’interpretazione francese, appunto. Diritto internazionale vuole che le persone in pericolo a bordo di una nave possano sbarcare nel porto sicuro più vicino: la Tunisia, in questo caso, è più vicina dell’Italia, anche volendo escludere la Libia dall’elenco dei “porti sicuri”. Peraltro, le stesse navi delle Ong possono essere considerate come punto di primo accesso: i Paesi dei quali battono bandiera si possono considerare come Paesi di primo ingresso. La Dichiarazione del Lussemburgo, che non è neppure vincolante, non disciplina la materia dell’obbligo di approdo. Quindi l’atteggiamento di Parigi è sproporzionato alle azioni del nostro Paese. Ed è molto probabilmente motivato dalla politica interna francese: il governo è in minoranza ed è sfidato, da destra, da chi non vuole più immigrati irregolari, da sinistra da chi non vuole che Macron “ceda” al governo italiano “di estrema destra”. Ma non c’è alcun serio appiglio nel diritto internazionale nelle accuse che la Francia ci sta rivolgendo.
La Francia ha preso le distanze dal Patto del Lussemburgo, mettendo in discussione, secondo il suo ministro degli Esteri Laurence Boone, i rapporti che la legano all’Italia per sopravvenuta mancanza di fiducia. Sia Salvini che Tajani hanno sottolineato la necessità di maggiore solidarietà europea nei confronti dell’Italia che è “frontiera meridionale dell’Unione europea”. Crede che su questo fronte l’Europa debba ricostruire da zero le sue politiche? In che direzione?
L’Europa è un insieme di Stati nazionali. Perché l’Europa faccia qualcosa, occorre che gli Stati nazionali lo vogliano. L’Italia è la prima linea del Mediterraneo, la Francia sembra beneficiare della nostra posizione per scaricare il problema dell’immigrazione solo su di noi, lavarsene le mani e darci la colpa, aprendo una controversia internazionale, se una nave (una!) arriva in un porto francese. La soluzione è quella che proponiamo da anni: per valutare le richieste di asilo, servono prima di tutto hot-spot in territorio extra-europeo, gestiti da organizzazioni internazionali, che vigilino sui diritti umani. Tenere gli hot-spot sulle coste europee, fra cui quelle italiane, non risolverebbe alcun problema, non fermerebbe la tratta degli esseri umani, non fermerebbe i gommoni e le carrette del mare, non aiuterebbe a ridurre il numero dei morti in mare. Hot-spot fuori dall’Europa: tutto il resto viene risolto di conseguenza, anche il problema della redistribuzione dei richiedenti asilo.
L’Europa unita dovrà confrontarsi su altri dossier. Tra questi, ad esempio, la revisione della direttiva sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio che sarà presentata dalla Commissione il prossimo 30 novembre. Secondo il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin “il regolamento europeo sul riuso l’Italia non lo può accettare e dirà di no”. Sulla stessa direttrice anche la Francia. Secondo lei il sistema produttivo italiano è al sicuro?
Se applicassimo alla lettera il regolamento europeo sul riuso, cosa pensa che possa succedere? Un intero comparto produttivo, che è una nostra eccellenza nazionale, può essere messo in ginocchio. Confindustria parla di 7 milioni di posti di lavoro a rischio. L’obiettivo, quello della promozione dell’economia circolare, è sicuramente condivisibile. Ma i tempi e i modi no, ha perfettamente ragione il ministro Pichetto Fratin ad opporre resistenza. Proprio per questo ho sottoscritto una lettera alla presidente della Commissione von der Leyen e al vicepresidente esecutivo per il Green Deal Frans Timmermans per avvertire del rischio che le aziende del settore corrono. Se i divieti di immissione sul mercato di particolari categorie di imballaggi (es. nell’HORECA) e le imposizioni di alcune soluzioni (riutilizzo) a scapito di altre (riciclo) dovessero essere confermati all’interno del testo di revisione, le ripercussioni sul settore sarebbero devastanti, con migliaia di aziende e posti di lavoro a rischio. Questo conferma che l’Europa ha sempre più smania di pianificazione: non ha imparato la dura lezione dell’Unione Sovietica che è crollata a causa della sua economia pianificata. Benché sia necessario fissare degli obiettivi generali da raggiungere, ogni Paese ha i suoi tempi e ha i suoi metodi che devono essere rispettati.
E ancora la crisi energetica. La Commissione Ue presenterà una proposta dettagliata per un meccanismo di correzione del mercato (un price cap temporaneo per il gas), in tempo per essere discussa al Consiglio Ue Energia del 24 novembre. A 8 mesi dall’invasione russa dell’Ucraina, ancora si fa fatica a trovare un accordo tra i leader europei. Quale convergenza può portare a una soluzione più rapida?
Rispettando interessi differenti, prima di tutto. So che può sembrare un controsenso, ma non possiamo permetterci di uniformare l’Europa, dal Portogallo all’Ungheria, ad un’unica strategia energetica. C’è chi può sfruttare l’energia solare, chi l’eolica, chi, come l’Ungheria, avrà ancora bisogno del gas russo da cui dipende interamente e chi ha l’autosufficienza data dall’energia nucleare. Non possiamo convergere su un’unica ricetta: è questa la vera forza dell’Europa. Sono governi nazionali forti che rendono forte l’Europa, non viceversa. L’Europa pesava di più, anche nella risoluzione delle crisi mondiali, quando al governo della Germania c’era un governo solido come quello Merkel, quando in Francia c’era il presidente Chirac, quando in Italia, con il governo Berlusconi, abbiamo fatto incontrare Bush e Putin a Pratica di Mare. Oggi è incredibile constatare che, più l’Ue accentra i suoi poteri a Bruxelles, più diventa debole. Nessuno sa ancora quale sia la politica europea nella guerra in Ucraina. Si sta distinguendo la Turchia, nel ruolo di mediatore, ma non l’Ue, che dovrebbe essere una grande potenza. Anche per risolvere la crisi energetica, il nuovo centralismo europeo mostra tutti i suoi limiti. Abbiamo atteso otto mesi per vedere un meccanismo di correzione del mercato.
E cosa pensa di questo meccanismo?
Ora che lo vediamo, constatiamo che purtroppo è il solito esempio di sovra-regolamentazione europea. È una soluzione limitata: si vede il tetto del prezzo del gas come la solita soluzione salvifica, ma ancora adesso ci dobbiamo accontentare di un meccanismo complesso che definisce limiti dinamici per il prezzo del gas a lungo termine e per il prezzo intra-day nel mercato secondario. Si chiedono razionamenti e sacrifici, in caso di emergenza, ma speriamo che almeno in questo caso si definisca fin da subito che questi sacrifici e questi razionamenti siano contingenti e temporanei, revocabili appena dovesse finire l’emergenza. Ma per calmierare i prezzi e ritrovare la stabilità nel mercato energetico, non si sfugge: l’unica soluzione è riportare la pace. E l’Ue deve recuperare un ruolo di mediazione più vigoroso.
Crede che le scelte fatte in passato dall’Italia abbiano influito sullo stato attuale delle cose? E soprattutto, che la creazione di uno strumento di debito comune a livello europeo potrebbe aiutare a passare indenni questo tipo di crisi?
Pensiamo al futuro, prima di tutto. Le scelte dei governi precedenti possono essere discutibili, ma andiamo avanti. La creazione di uno strumento di debito comune può aiutare, anche se dobbiamo essere consapevoli che non è una bacchetta magica. Non possiamo essere sempre prigionieri dell’austerity, una pandemia e una guerra in Europa, due eventi cataclismatici, hanno distrutto le aspettative di crescita che avevamo nel 2019 e hanno cambiato il significato stesso della parola “debito”. Non solo per noi “spendaccioni” mediterranei, ma per tutti in Europa. Quindi, se c’è un senso dell’Unione è almeno quello di venirsi incontro reciprocamente in tempi di tempesta.