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Su Letizia Moratti i Dem fanno bene a tenere il punto. Il commento di Ciardullo

In Lombardia il centrosinistra non governa dal 1992, e l’ultima volta fu durante Tangentopoli di cui Milano divenne con il suo Tribunale indelebile icona. Dopo trent’anni di opposizione si vuole andare alla presidenza con una candidata di centrodestra? Il commento di Angelo Ciardullo

Molte cose sta sbagliando il Partito democratico in questi ultimi mesi. L’errore più clamoroso – neanche a dirlo – è stato quello di non riuscire a volgere in proprio favore una legge elettorale che porta il nome di uno dei suoi (ormai ex) principali esponenti, Ettore Rosato. Sulla partita delle alleanze in vista del congresso e delle regionali il dibattito è aperto: Cinque Stelle o Terzo Polo? Un dilemma che andrà risolto a monte, quando il Pd avrà scelto se essere un partito di centrosinistra a vocazione riformista o una forza di sinistra-centro sensibile alle sirene radical-populiste. Ammesso che il M5S possa considerarsi un partito di sinistra.

Su una questione, tuttavia, i Dem fanno bene a tenere il punto, se mai vi riusciranno fino in fondo: la scelta di non candidare Letizia Moratti alla Regione Lombardia.

Il problema qui non è il voler perdere a ogni costo, in nome di un tafazzismo in parte endemico e in parte attribuito. Il problema è che non si può vincere ad ogni costo. Letizia Moratti è figura rispettabilissima per il suo impegno politico e sociale, ma non appartiene alla tradizione del centrosinistra. Né peraltro ha mai fatto lo sforzo di appartenervi, giustamente. Se il centrosinistra – con in testa il Partito democratico – non è ormai più in grado di esprimere una propria candidatura neanche a livello condominiale, non può ogni volta ridursi a mettere il cappello su figure esogene.

“Sulla Moratti c’è uno sdegnoso giudizio di classe”, dice Ferruccio De Bortoli al Foglio. Ma il vero punto non è lì. Nell’impossibilità di tirar fuori dalla propria cantera una qualsivoglia candidatura degna di tale nome (l’allergia per il leaderismo a sinistra si è mantenuta intatta) il partito del Nazareno ha trascorso gli ultimi anni a drenare risorse dalla società civile sul territorio, sostenendo contestualmente a livello nazionale prima l’“avvocato del Popolo” Giuseppe Conte e poi la “risorsa della Repubblica” Mario Draghi.

Scelte legittime e comprensibili – date la gravità e la eccezionalità del contesto – ma politicamente suicide, che hanno contribuito a far apparire il Pd come la Dc del XXI secolo, e non in senso positivo: un “partito-Stato” sempre e comunque al potere, a prescindere dall’avvicendarsi delle maggioranze di governo. Con l’aggravante, peraltro, di non essere perno di quelle stesse maggioranze, a differenza dello Scudo Crociato.

Oggi la questione delle candidature si ripropone nelle due regioni simbolo per antonomasia del potere economico e politico del Paese: Lombardia e Lazio. Se in quest’ultimo caso l’accordo su Alessio D’Amato – assessore uscente alla Sanità della giunta Zingaretti – sembra ormai chiuso, in Lombardia si naviga in acque molto più agitate. Sotto il Pirellone si sono già presentati come papabili governatori i due Pierfrancesco del Pd lombardo: Maran, assessore alla Casa del Comune di Milano, più vicino all’ala moderata, e Majorino, eurodeputato, che potrebbe fare da ponte con i Cinque Stelle. Ma si fanno anche i nomi di Irene Tinagli, Fabio Pizzul, Antonio Misiani, Stefania Bonaldi e – perché no – anche Mauro Guerra e Simona Malpezzi. Già tramontate invece le opzioni Cottarelli e Del Bono. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Nessuno di questi, si dirà, è in grado di unire. Mentre lei, Letizia, lanciata in corsa dai “guastatori” Calenda e Renzi, le carte per vincere le ha. C’è solo un piccolo e non trascurabile dettaglio: Letizia Brichetto Arnaboldi in Moratti è una figura totalmente ascrivibile all’area di centrodestra. Presidente Rai con il primo tragico Berlusconi, ministro dell’Istruzione nel Berlusconi II, sindaco di Milano con la Casa delle Libertà e, da ultimo, vicepresidente e assessore al Welfare nella giunta regionale del leghista Fontana.

Perché dunque il Pd dovrebbe convergere sulla sua candidatura? Dice sempre il direttore De Bortoli: anche Lorenzin e Casini erano di centrodestra, perché Moratti dev’essere considerata “radioattiva”? Corretto. Con una piccola postilla: oggi Beatrice Lorenzin è senatrice per il Partito democratico – partito al quale è iscritta dal 2019 – e il sempiterno Casini è stato eletto nelle liste del Pd all’uninominale di Bologna. Letizia Moratti velleità di centrosinistra, non ne ha. E come darle torto, data la situazione.

Il Partito democratico ha bisogno di recuperare la propria identità: a quindici anni dalla nascita, è arrivato il momento di capire cosa si vuol fare da grandi. Prima che sia troppo tardi. In tal senso, come insegna la Storia, un po’ di opposizione dopo anni di governo non può fare che bene. Si dirà: in Lombardia il centrosinistra non governa dal 1992, e l’ultima volta fu durante Tangentopoli di cui Milano divenne con il suo Tribunale indelebile icona. A maggior ragione: dopo trent’anni di opposizione si vuole andare alla presidenza con una candidata di centrodestra?

Meglio una sconfitta dignitosa, dunque, che una vittoria “mutilata”. E nei giorni in cui ricorre l’anniversario dei “Leoni di Highbury” – gli Azzurri neo-campioni del Mondo sconfitti dai maestri inglesi al termine di una gara epica disputata nella nebbia il 14 novembre 1934 e consegnata alla leggenda – quale miglior metafora per esprimere il concetto? A Milano la nebbia è sparita, certo, ma se è per questo anche Highbury è diventato un residence di lusso.



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