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Mediterraneo e immigrazione: la chiave è la Libia. La versione di Elisabetta Trenta

Di Elisabetta Trenta

Il nuovo governo sembrerebbe aver adottato una retorica isolazionista in tema di Mediterraneo e migrazioni. Per questo si rende ancor più necessario riprendere la centralità italiana nell’area East-Med, non interrompendo il dialogo con la Francia e riprendendo l’iniziativa in Libia. L’opinione di Elisabetta Trenta, già ministro della Difesa

I primi passi del nuovo governo in politica estera sono stati guidati da una retorica lisa e isolazionista in tema di Mediterraneo e migrazioni, mettendo a rischio la cooperazione con la Francia proprio in un momento di grande disponibilità di Macron a cooperare in vista della finalizzazione di comuni dossier aperti.

Non è il momento per l’isolamento

Si tratta di un passo falso iniziale, che tradisce antiche impostazioni ideologiche basate su blocchi navali verso il nord Africa e uscite dal percorso europeo. Tanto più grave, l’errore tattico, in quanto il momento consiglierebbe di tenere massimo il coordinamento con il governo francese in questa fase, qualunque prevenzione si possa aver accumulato verso di esso, se non altro per considerazioni di evidenza congiunturale: la tensione bellica del Mar Nero e il pericolo addizionale ai gasdotti sottomarini spinge da mesi a uno stretto coordinamento aeronavale le Marine dei due Paesi nel Mediterraneo, e questa tensione potrebbe durare. Non meno urgente la necessità di interlocuzione politica a livello Ue, dove in questa fase si pensa di riformare i principali strumenti di governo comunitari, per non parlare della dipendenza economica da Bruxelles, dove in questi mesi si va a decidere della distribuzione dei fondi Pnrr. E quindi, cercare in questa fase l’isolamento, o peggio cercarlo gelando i ponti con la Francia, è quanto di meno tempestivo ci possa essere. Pertanto va fatto un plauso innanzitutto all’azione di moral suasion del presidente Sergio Mattarella per mantenere ogni incomprensione e divergenza entro i limiti del civile e collaborativo confronto. Questo, naturalmente, non significa che l’Italia non debba sviluppare una propria politica estera, e una propria azione geopolitica autonoma, senza schiacciamenti su Paesi e alleati. Purché non divenga contrasto violento e dissennato ai propri fondamentali, o isolazionismo.

L’Italia e il Mediterraneo

È importante, ad esempio, in continuità e coerenza con decisioni da tempo prese nelle sedi multinazionali, che l’Italia continui ad aumentare a livello politico-diplomatico e, quando serve, anche diplomatico-militare, la propria presenza nell’area del Mediterraneo propriamente detto, e del Mediterraneo allargato, dopo aver progressivamente ridotto la propria presenza in aree del mondo più remote. Bene dunque il maggiore coordinamento del governo attuale con Grecia, Cipro, Malta, Egitto e Israele, per rafforzare la presenza nell’area EastMed, seguendo le direttrici della politica estera energetica, a condizione che non si perda neppure in quest’area il coordinamento fondamentale con Parigi e Washington. Bene anche un qualche maggiore incremento di scambi con l’Algeria, sulla base di intese avviate dal governo precedente, purché sia accompagnato da una capacità di dirimere e non complicare problemi dal volto nuovo e radici antiche con la Spagna, la Francia, il Marocco, per non finire in una trappola politica russa da cui sarebbe poi difficile venirne fuori.

Riprendere l’iniziativa italiana in Libia…

Ma soprattutto, perché è una delle chiavi fondamentali della presenza italiana nel Mediterraneo, il nostro Paese dovrebbe riprendere una forte iniziativa in Libia per la restaurazione di uno Stato su basi stabili. Perché? Perchè la Libia è una delle nostre maggiori fonti residue di approvvigionamento energetico; perché una frazione enorme di abitanti della Libia sono italiani o con doppia cittadinanza; perché le coste della Libia, per tradizione plurisecolare e per il favore dell’assenza di governo, sono il principale terminale di ogni traffico illecito da e per l’Italia, dalla tratta di esseri umani, al contrabbando di armi e droga, fino ai movimenti di mafie e terrorismo; e perché, non dimentichiamocelo mai, la Libia è uno dei luoghi da cui sarebbe più facile un attacco all’Italia.

…nel momento giusto

Due dei maggiori ostacoli a un percorso di elezioni riconosciute da tutte le parti in Libia si stanno diradando: da un lato la presenza russa di Wagner a spalleggiare il governo di Bengasi si sta indebolendo in uomini, mezzi e capacità operativa, per il drenaggio ucraino di ogni mezzo di guerra valido; dall’altro la pressione turca sul governo di Tripoli cala in proporzione al crescere della crisi economica e politica che attanaglia il regime di Erdogan.

È il momento di una iniziativa forte per cercare di saldare tutte le parti, certo non in contrasto con gli sforzi francesi, tedeschi e statunitensi su parte di Tripoli. Tanto meglio se coordinati con gli sforzi greci e ciprioti sull’assise parlamentare di Tobruk, e ancor meglio, se tale iniziativa potesse giungere anche a una spinta su Bengasi tramite una maggiore intesa con l’Egitto. Il governo italiano ha forse tutte le chiavi per risolvere l’intrico libico, se si coordina con gli alleati ma si pone a capofila dell’iniziativa, facendo leva sui buoni rapporti con tutti i vicini, sulle storiche relazioni Eni, sulla presenza militare e medica mai cessata in Libia (a Misurata, a Tripoli), e in aree vicine (Niger, Ciad, Egitto), e nella presenza navale della missione Irini.

L’Italia ha le carte giuste

Il governo italiano ha le note giuste da suonare alle orecchie di tutti i contendenti libici per indurli alla pace: infrastrutture, come il raddoppio del gasdotto Greenstream, o come il potenziamento in regime autostradale della litoranea della Sirte dalla Tunisia all’Egitto – arteria cruciale libica risalente al periodo coloniale – così come aeroporti e ospedali. E tanto può anche coordinare nel campo dei flussi di migrazione: scongiurando i traffici di tratta, organizzando modalità di migrazione regolare o di lavoro in situ a chi si sposta per lavoro, consentendo ai profughi di restare in territori consimili a quelli di provenienza, in sicurezza e assistiti da organismi internazionali e Ong riconosciute, consentendo alle vittime di tratta corridoi di rientro o aree di stabilizzazione sicure se non hanno dove andare.

Ho incontrato più volte esponenti delle parti libiche durante il mio incarico da ministro; la mia esperienza di Libia è anche più antica, risale ai miei inizi nella cooperazione internazionale e progetti di protezione del patrimonio culturale, e poi in supporto a progetti della Difesa. Conosco la resilienza del popolo libico, la sua capacità di rialzarsi se gli si dà la possibilità di farlo. Ho anche presente la perenne apertura che esiste verso l’Italia, da parte della gente semplice come dei governanti e l’attesa nei confronti del nostro Paese, sulla quale l’Italia può contare come un plus. Se sa cosa fare e se sa in che direzione spingere.

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