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Rimettiamo ordine alla logistica dell’energia in Europa. Uno sguardo secondo Pennisi

L’Ue non appare come un sistema in cui poche grandi reti comunitarie collegano le reti nazionali, ma come una ragnatela frammentata con poco collegamento tra un Paese e l’altro. Ecco perché… L’analisi di Giuseppe Pennisi

La crisi energetica esplosa in questi primi mesi del 2022 è in realtà solo il naturale sviluppo di una situazione che già da anni lasciava presagire serie complicazioni. L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha dunque solo accelerato un processo che oggi colpisce particolarmente l’Europa, vero e proprio epicentro della crisi energetica globale. Come ha sostenuto più volte questa testata, l’energia sarebbe dovuta essere una politica comune sin dal Trattato di Roma del 1957 che destinava al settore un’apposita istituzione (l’Euratom) ma gli Stati membri presero strade sempre più divergenti.

Unicamente ora, con l’acqua alla gola per l’aumento dei prezzi, soprattutto del gas, si sta tentando di coordinare misure mirate a contenere l’incremento dei prezzi. L’attenzione è, logicamente, rivolta a questo capitolo ma sarebbe utile se i Consigli europei prendessero spunto dalla crisi per rimettere ordine, nell’Unione europea (Ue), alla logistica dell’energia, ossia alle rete ed alle connessioni essenziali per un mercato integrato.

Secondo i documenti della Commissione e del Parlamento europeo, le Rte-E sono il prodotto di una politica intesa a connettere le infrastrutture energetiche degli Stati membri. Nell’ambito di detta politica sono stati individuati nove corridoi prioritari (quattro dell’elettricità, quattro del gas e uno del petrolio) e tre aree tematiche prioritarie (sviluppo di reti intelligenti, autostrade elettriche e una rete transfrontaliera per il trasporto di biossido di carbonio).

Il regolamento (Ue) n. 347/2013 stabilisce orientamenti per le reti trans-europee nel settore dell’energia che individuano progetti di interesse comune e progetti prioritari nelle reti trans-europee di elettricità e gas. I progetti di interesse comune per l’energia sono finanziati dal meccanismo per collegare l’Europa–Energia, uno strumento di finanziamento con un bilancio totale di 5,35 miliardi euro per il periodo 2014-2020, di cui 4,8 miliardi sotto forma di sovvenzioni gestite dall’Agenzia esecutiva per l’innovazione e le reti (Inea).

Nel 2019 sono state assegnate sovvenzioni per un totale di 556 milioni di euro a otto progetti di interesse comune, sei nel settore dell’elettricità e due nel settore del gas. La Commissione stabilisce l’elenco dei progetti di interesse comune attraverso un atto delegato, che entra in vigore solo se il Parlamento o il Consiglio non esprimono alcuna obiezione entro un periodo di due mesi dalla sua notifica. Il 15 dicembre 2020, la Commissione ha adottato una proposta di revisione del regolamento Rte-e per sostenere meglio la modernizzazione delle infrastrutture energetiche transfrontaliere dell’Europa e raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo.

Nel lessico burocratico di Bruxelles si può ricavare l‘impressione che tutto sia in buon ordine, anche se non può non saltare agli occhi quanto modesto sia il programma, tale appena da sfiorare il problema della logistica europea dell’energia. Lo si confronti, poi, con gli ultimi studi dell’associazione europea per la cooperazione degli operatori dei sistemi di trasmissione per l’elettricità, la cui conferenza annuale si è tenuta dal 10 al 12 ottobre ed ha prodotto una ricchissima documentazione. L’Ue non appare come un sistema in cui poche grandi reti comunitarie collegano le reti nazionali, ma come una ragnatela frammentata con poco collegamento tra un Paese e l’altro.

Anzi spesso quando il collegamento è programmato, anche nel bel mezzo di una crisi energetica come l’attuale, viene disdetto. Un esempio, tra gli ultimi: stava per essere attuato un gasdotto che avrebbe portato gas liquefatto dalla Spagna al resto del continente ma il progetto è stato annullato a fine ottobre su richiesta della Francia che avrebbe temuto la concorrenza alle sue esportazioni di energia atomica. Un altro: la Danimarca potrebbe esportare alla grande energia rinnovabile (da vento) ma non c’è sufficiente capacità di trasmissione in Germania, soprattutto a ragione delle proteste di enti locali che non desiderano condotte o reti nei loro paraggi. Si potrebbe continuare a lungo. Perché non cominciare a sciogliere questo nodo in questa fase in cui si cerca a trovare una soluzione a quello dei prezzi?

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