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Musk e l’arte di bruciare 44 miliardi in 10 lezioni

Di Gregory Alegi e Livia Alegi

Alla velocità con la quale la piattaforma di microblogging corre verso il baratro, Twitter potrebbe essere crollato prima ancora che leggiate questo articolo. Dal primo burrascoso mese con Elon Musk alla guida è già possibile trarre alcune lezioni su come distruggere un’azienda acquistata a caro prezzo. L’analisi di Gregory Alegi, storico e giornalista, e Livia Alegi

“ChiudeTwitter”, “TwitterDown”, “RIPtwitter”, “TwitterMigration”, “TwitterTakeover”: a tre settimane dall’acquisto di Twitter da parte del tecno-miliardario sudafricano Elon Musk, sono questi alcuni degli hashtag di tendenza sulla piattaforma di micro-blogging, travolta da una gestione caotica che ha visto fuggire dipendenti e inserzionisti (o forse il contrario).

Dai licenziamenti di Meta al crollo di FTX, passando per i problemi di Amazon, molte grandi piattaforme tecnologiche sembrano attraversare un momento difficile. Quello che distingue Twitter è che a scatenare la crisi non è stata la stretta monetaria della Fed ma l’entrata a gamba a tesa in ogni aspetto della vita aziendale di Musk, che dopo un’altalena di molti mesi e una causa l’ha acquistata per 44 miliardi di dollari (più 2,5 di costi di closing). Il prezzo record è stato finanziato dallo stesso Musk (4 miliardi di dollari in azioni Tesla, più contanti dalla vendita di altre quote), investitori privati (compresi Larry Ellison e Alwaleed bin Talal, per un totale 7.1 miliardi di dollari) e banche (13 miliardi di dollari, alle quali Twitter deve ora interessi per un miliardo l’anno).

Per aver la massima libertà nel trasformare la società, già il 28 ottobre Musk ha cancellato Twitter dalla borsa di New York. Nei giorni successivi, le sue idee per un “Twitter 2.0” sono rimaste complessivamente oscure. Autoelettosi ceo, il miliardario ha avviato iniziative per tagliare costi (licenziando metà del personale, compreso l’intero reparto moderazione) e aumentare ricavi (con il passaggio dalla gratuità all’abbonamento, in cambio di maggiori servizi). Da quel momento, le cose sono precipitate, mettendo in dubbio la sopravvivenza stessa della società. Più che un business plan, la cronaca di questi giorni convulsi sembra un decalogo di distruzione del valore – per la precisione, di 44 miliardi di dollari -.

  1. Agire in modo impulsivo

L’affrettata introduzione di Twitter Blue, che “certificava” l’identità di chiunque fosse disposto a pagare 7,99 dollari al mese, ha permesso a molti di impersonare aziende e personalità che in precedenza erano verificati dallo staff interno. Com’era prevedibile, è scoppiato il caos. Facendo dichiarare al colosso farmaceutico Eli Lilly che avrebbe distribuito l’insulina gratis e a Lockheed Martin che non avrebbe più venduto armi a Usa, Arabia Saudita e Israele, i finti account hanno fatto crollare in borsa i titoli delle aziende. Dopo meno di 24 ore, la certificazione a pagamento è saltata.

  1. Non guardare avanti

Giovedì Musk ha licenziato – insieme a tanti altri – il responsabile dei badge elettronici per accedere alla sede. Quando il personale, richiamato dallo smart working, ha tentato di rientrare in ufficio, le porte non si aprivano più. Il richiamo dell’addetto ha risolto il problema, ma danneggiato ancor più l’immagine di genio lungimirante di Musk. Addio anche all’ufficio stampa, non lasciando nessuno a gestire la crisi.

  1. Inimicarsi il personale

Il brusco licenziamento di metà dei dipendenti era già una sfida difficile per le attività. Ma la richiesta ai rimanenti di firmare entro 36h l’impegno a “lunghe ore di lavoro di lavoro ad alta intensità” o andarsene ne ha fatti scappare migliaia in più. Né aiuta che Musk abbia licenziato (ovviamente con un tweet) i dipendenti che lo criticavano.

  1. Risolvere i problemi sbagliati

Molti dei difetti che Musk imputava a Twitter – come gli eccessivi interventi di moderazione – rispondevano in realtà a precise esigenze operative, quali assicurare un ambiente ragionevolmente accettabile per il pubblico e le aziende. La retorica della “libertà di espressione” trova il suo limite nei danni di immagine e reputazione a persone o aziende.

  1. Spaventare gli inserzionisti

Per Twitter la sfida di monetizzare il traffico è da sempre più grande che per altre piattaforme. I repentini cambi di rotta e il rischio dei falsi account non hanno aiutato. Nei giorni scorso GroupM, gigante della pubblicità online e principale acquirente di spazi sulla piattaforma, ha segnalato ai clienti la rischiosità delle inserzioni su Twitter.

  1. Litigare con i regolatori

“Una delle sue aziende è sottoposta a un’ordinanza della Ftc. Nhtsa, che vigila sulla sicurezza automobilistica, sta indagando su un’altra perché ammazza le persone. E lei passa il suo tempo ad attaccar briga online. Sistemi le sue aziende. O lo farà il Congresso”. Così il senatore Ed Markey ha chiuso il botta e risposta con Musk (sempre a colpi di tweet).

  1. Fallire per innovare

“Qui fallire è un’opzione. Se le cose non falliscono, non stai innovando”. La battuta con la quale Musk minimizzò i problemi di SpaceX non si applicano al mondo social: a differenza dei razzi, i tweet non si lanciano a intervalli di mesi ma interagiscono senza sosta con milioni di utenti, amplificando le conseguenze e la visibilità degli errori in modo virale.

  1. Affrontare tutto come problema di comunicazione

Dal presentarsi in azienda con un lavandino sotto il braccio (in nome del “let that sink in”, gioco di parole traducibile con “fatevene una ragione”) a diffondere foto della riassunzione di (peraltro finti) dipendenti per minimizzare il problema della fuga di personale, Musk sembra affrontare la crisi a colpi di meme, come se a risolverla saranno like e retweet.

  1. Affidarsi al cerchio magico

Musk, già sotto tiro da parte di un azionista Tesla che lo accusa di essere strapagato per il poco tempo che dedica all’azienda, valuta personalmente anche la qualità del codice scritto dai programmatori. Appena acquistata Twitter, ha sostituito il management con il proprio avvocato Alex Spiro, al quale riportano le funzioni di policy, rapporti istituzionali, legale e persino marketing. Altri ruoli sono svolti dai suoi vecchi amici, David Sacks e Jason Calacanis. Con il cerchio magico degli yes men, Musk non si confronta con nessuno fuori della sua bolla.

  1. Non avere un piano

Intendiamoci: forse un piano in testa Musk ce l’ha. Ma è tanto ben nascosto che finora nessuno lo ha capito – neppure i suoi fan, che su Reddit si sbizzarriscono nelle teorie più disparate, dalla distruzione creativa per costruire un nuovo Twitter alla ricerca di prove per difendersi nella causa per danni intentatagli dai precedenti proprietari.

Mentre scriviamo, è diffusa la sensazione che Twitter non sopravviverà al fine settimana. Come tante tendenze virali, può darsi che sia un’esagerazione. Se però la società dovesse davvero essere travolta dagli eventi, l’epitaffio per l’uccellino azzurro potrebbe essere rappresentato dai giudizi proiettati sulla sede dai dipendenti appena fuggiti: “Elon Musk: foruncolo petulante, arricchito con l’apartheid, privilegiato a pressione, meschino razzista, megalomane, miliardario che non vale nulla, bamboccione bancarottiero, supremo parassita”.

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