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No al Nutriscore, call to action europea. L’appello di Competere

Chi si rivede: il Nutriscore. Forse perché riaccesa dal ministro della Sovranità alimentare, quella sull’etichettatura a semaforo è tornata a essere un piatto principale della polemica politica. Più italiana che europea. Tuttavia, se davvero si vuol bene all’agroindustria made in Italy, è meglio evitare guerre di posizione. Serve una strategia di respiro europeo, che metta al centro l’industria come asset del nostro sviluppo. L’analisi di Antonio Picasso, direttore generale di Competere

Come un fiume carsico, il Nutriscore torna a scorrere alla luce del sole, alimentando polemiche sovraniste che pretendono di applicare maldestre soluzioni difensive. Sarà perché la Commissione Ue ha deciso di non decidere: fino alla fine del 2023 sembra non voler prendere alcuna misura a favore o contro la famigerata etichettatura a semaforo. Oppure per il fatto che il ministero dell’Agricoltura ha aggiunto alla sua denominazione quel “sovranità alimentare”, che tanto fa discutere e che il titolare, Francesco Lollobrigida, noto alfiere del made in Italy a tavola, veda (correttamente) il Nutriscore come un nemico incontrastato. D’altra parte Sun-Tzu insegna che “sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità”. In tal caso, evitare le provocazioni (almeno in via ufficiale) potrebbe tornare ben utile alla causa.

Per chiarezza

Il Nutriscore è vecchio, scientificamente irricevibile, inutile e va contro tutte le regole del fair play economico che sono i pilastri storici dell’Unione europea. In un’epoca in cui il cellulare ci fa da badante nelle più quotidiane delle pratiche, non si capisce perché il consumatore europeo dovrebbe ancora fidarsi solo di quel che gli dice un’etichetta cartacea sul prodotto esposto al supermercato.

Grazie ad App e device, ormai tutto è a misura del singolo. Da una corsa in taxi a una visita medica, passando per gli acquisti di abiti su misura, vini di marca, job application e quant’altro si possa immaginare. Bene, perché le diete no? Perché mai il nostro regime alimentare dev’essere pilotato da un remind informativo semplicistico? Il semaforo è facile infatti, ma non permette di ragionare. Voglio sperare che Bruxelles non voglia renderci cittadini-amebe come in un mondo distopico.

Dandogli lo strumento del libero arbitrio, l’Ue invita il consumatore a formulare dei ragionamenti complessi. Meglio se basati su informazioni chiare, complete e scientifiche.

È infatti questo il vero handicap del Nutriscore. Non c’è una bibliografia scientifica che dimostri una connessione tra cibi “bollinati” come sani dall’etichettatura e calo dei casi di patologie cardio-vascolari e obesità dovute a una cattiva alimentazione. In parole povere, il Nutriscore non ti fa dimagrire.

C’è un però

Non si contrasta il Nutriscore chiudendosi nel proprio Fort Alamo dell’olio d’oliva e della focaccia di Recco. Quello è un made in Italy che non ha bisogno di difese politiche. Men che meno se in salsa nazionalistica. In Francia, Spagna e pure in Germania, si mangia altrettanto bene quanto ad Amalfi e sui Colli Euganei. Solo il provincialismo ci ingessa in questa convinzione di superiorità etnico-gastronomica. E comunque quando si mette un popolo contro l’altro a gara per chi è migliore, sappiamo che non va mai a finire bene. Anzi, le istituzioni farebbero bene a sbrogliare i microprodotti della nostra italianità a tavola – e se l’avessero chiamato “ministero dell’Agricoltura e dell’italianità a tavola?” – dai lacci e lacciuoli dei vari disciplinari per renderli più competitivi nel mondo. Denominazioni ultraprotette, idolatria del chilometro zero. Non è così che si fa dell’agroindustria un volano di crescita.

We love Europe, we love its industry

Dei valori abbiamo parlato. E pure della scienza. Ma l’approccio sovranista del governo Meloni merita un’obiezione a sé stante.

Quella del Nutriscore è una faccenda europea, che rischia di fiaccare la competitività di una filiera leader a livello globale. In nome di un futuro più attento al pianeta e di un’economia più sostenibile (nobili fini, nulla da dire), Bruxelles sta già mettendo a dura prova l’industria dell’auto e del packaging. Vuole fare altrettanto con l’agrifood?

È questo, caro Ministro Lollobrigida, il vero cavallo di battaglia da montare.

Il made in Italy – e perché no, anche il Fabriqué en France – da promuovere è quello rappresentato dai grandi marchi che hanno scritto la storia economica del nostro Paese. Industrie importanti, che hanno traghettato la nostra agricoltura da latifondista e di sussistenza a meccanizzata e industriale, per poi saper esportare nel mondo prodotti sani e innovativi. È la tipicità italiana delle filiere dolciaria, della pasta e dell’industria casearia che va preservata. Società oggi multinazionali che il mondo ci invidia – e spesso ci compra – che creano lavoro e valore aggiunto al nostro Pil. Una flotta da quasi 140 miliardi di fatturato, spesso priva di contatto con la politica perché narcotizzata dal canto delle sirene del “piccolo è bello” del produttore familiare. Nulla in contrario verso quest’ultimo, anzi, ma lo sviluppo è un’altra cosa.

E qui il Nutriscore può essere davvero pericoloso.

Call to action

È questo che diremo all’evento “Front-of-pack labelling reform: is it fit for the future?” (link per registrarsi), che si terrà oggi al Parlamento europeo.

Questo è il nostro piano di attacco. Conoscendo Bruxelles, dove sappiamo che non si aspetta altro che fare tana i “marziani” del governo Meloni, siamo convinti che possa funzionare. Tanto più che dalla nostra abbiamo 24 Mep + 15 associazioni firmatari di una lettera ai Commissari Ue Stella Kyriakides e Frans Timmermans, per dire no al Nutriscore.

Questo non vuol dire che ci tiriamo indietro dal difendere il made in Italy. Right or wrong it’s our country. Mozzarella di bufala campana e salame di Varzi non si toccano. Ma siamo convinti che meritino di più di quanto si sta facendo per loro.


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