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Oltre la civiltà occidentale per una pace duratura tra i popoli. L’opinione di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Papa Francesco unico leader con una visione definita e una linea chiara per la pace, che, come da lui affermato, non può essere un intervallo tra le guerre: è evidente che la civiltà vera può giocare un ruolo per aprire, insieme a figure europee di provata autorevolezza, un vero negoziato per arrivare alla conferenza di pace. L’intervento di Giancarlo Chiapello, segretaria nazionale Popolari/Italia Popolare

Il tema della pace e quindi della fine della violenta aggressione della Russia all’Ucraina è assai centrale nella politica italiana ed europea perché inciderà sul futuro di popoli, di istituzioni, della riorganizzazione della stessa politica.

Diventa importante quindi non abbandonarlo ad aggettivazioni, sentimenti, passatismi, ideologie, che non aiutano a ricostruire giustizia e cessazione della sofferenza del popolo ucraino.

Punto di partenza può essere analizzare quattro elementi: il primo è la manifestazione per la Pace di Roma, importante ma alla fine sovrastata da un certo revanscismo post elettorale dei progressisti in stato confusionale con opa politiche gli uni sugli altri o ipotesi fusioniste e i telegiornali serali che hanno fatto seguire alle immagini delle bombe al fosforo le immagini di gente che ballava.

Il secondo è individuabile nella manifestazione del cosiddetto Terzo Polo a Milano dove ragazzi giovani saliti sul palco hanno fatto affermazioni assai gravi del tipo “la Russia se necessario va distrutta…”, c’è stato un punzecchiare la piazza romana, vi è stata la partecipazione di Letizia Moratti che il giorno dopo ha dichiarato l’intenzione di candidarsi per la Regione Lombardia per i terzopolisti.

Questi primi due punti possono essere tacciati di provincialismo? L’impressione sembrerebbe trovare conferma. Il terzo punto, assai importante, è rappresentato dalla conversazione di Francesco De Palo con l’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro pubblicata da Formiche.net: essa contiene, probabilmente, un elemento essenziale da comprendere per arrivare ad agire concretamente, ma consapevolmente fondandosi su precisi pilastri.

Il direttore parla ampiamente dell’Europa ma la riconduce a una “civiltà occidentale”, parla dell’unità dimostrata dai Paesi europei però non cita l’europeismo come collante, identità, costruzione originale di sovranità conciliata, per riprendere Luigi Sturzo, con la sussidiarietà. Egli ricorda l’intento di Putin di rompere questa unità ma cosa pone come collante sostanziale? La risposta è la “civiltà occidentale” affermando: “L’Occidente non può essere ridotto a un’alleanza militare, sia pure importante come la Nato, perché l’Occidente non è una caserma, ma è una civiltà definita da una storia e con le sue scelte date da valori e principi”.

L’occidentalismo, cioè un punto cardinale, assunto a identità, dentro cui viene riconosciuta la piena collocazione dell’attuale maggioranza di destra, è sufficiente o, di fatto è il punto di origine di un abbaglio o di una costruzione artefatta (ideologica?) che impedisce di ritornare alla concretezza vera di identità, radici, storie dei popoli che la politica può e deve maneggiare dalla sua cassetta degli arnesi per ricostruire equilibrio, accettare regole generali di convivenza, gestire tensioni, costruire la pace che è così un percorso duro e realistico di ristabilimento di una giustizia riconosciuta dai contendenti e aspirazione della comunità internazionale?

Inoltre esisterebbe una cultura politica “occidentale”, senza più considerare ad esempio le significative differenze tra quella statunitense e quella europea continentale? Semplificare non significa rischiare di non comprendere più la complessità della realtà estraniandosi dall’esperienza concreta con le sue evidenze? Una bella risposta la darebbe nella sua autobiografia C.S. Lewis: “Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate, ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta ingannando voi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente”.

Ecco, di fronte alla premessa occidentalista, da europei e popolari c’è da domandarsi se per caso il cartello, nella propria tradizione politica non lo si abbia già incrociato potendolo indicare così anche agli altri come risposta alle domande, ai dubbi, per evitare certezze troppo transitorie. Ebbene lo si trova negli interventi di Giorgio La Pira ai Convegni Internazionali per la Pace e la Civiltà cristiana, in particolare quando afferma: “Non dovremmo piuttosto sconfiggere la Russia in noi? In parte la nostra confusione intellettuale proviene dalla parte che noi abbiamo acconsentito a recitare in un melodramma storico, melodramma che il nostro secolo ha appreso da Spengler e Toynbee, i quali hanno posto l’Oriente contro l’Occidente in una fantasia relativistica di civiltà uguali e ugualmente condannate a morire. Ciò ha contribuito a far abortire in noi il vero senso di quello che siamo. L’aggettivo nell’’espressione ‘civiltà occidentale’ non ha valore di sostantivo: ha un valore soltanto geografico e tutto quello che ci permette è di guardare con occhio fisso, ma inespressivo, i punti cardinali. L’aggettivo sostantivo è ‘cristiano’, perché o siamo una civiltà cristiana o siamo niente. La definizione di uomo non sta nel dove egli vive, ma in quello che è”.

Sarebbe facile introdurre, in aggiunta, le riflessioni sui ponti tra Oriente ed Occidente, storicamente comprese nella civiltà come definita dal grande sindaco di Firenze, di San Giovanni Paolo II, gli inviti al dialogo tra l’uno e l’altro del cardinale Segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin: collegato alla identità vera e non geografica il destino di quei ponti deve preoccupare e angosciare innanzitutto l’Europa che sarà unita in qualche modo ma non è diplomaticamente in campo con la sua complessiva forza da player mondiale, in un mondo multipolare, per la quale deve prendere coscienza, in territori dove esiste una sua influenza, pur nel rispetto di alleanze consolidate come insegnava bene Aldo Moro, con una politica che deve sprovincializzarsi (in particolare in Italia dove questa caratteristica crea faglie che ne fanno terreno di battaglia per altri).

In conclusione il quarto punto dunque, conseguente, è la riconoscibilità di Papa Francesco come unico leader con una visione definita e una linea chiara per la pace, che, come da lui affermato, non può essere un intervallo tra le guerre: è evidente che la civiltà vera può giocare un ruolo per aprire, insieme a figure europee di provata autorevolezza, un vero negoziato per arrivare alla conferenza di pace. Presto poi, servirà avviare una riflessione sull’Onu, sul superamento degli equilibri di settant’anni fa per renderla adeguata all’oggi e al domani ripartendo dalla lezione del grande ambasciatore italiano Francesco Paolo Fulci, per il quale Madeleine Albright affermò: “Your diplomacy is legend”.

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