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Patto di stabilità, attenti alle trappole. I consigli di Pennisi

Le linee-guida, che ora andranno discusse con gli Stati membri e poi tradotte eventualmente in proposte legislative, confermano nei fatti le indicazioni circolate in queste settimane a Bruxelles. L’obiettivo dell’esecutivo comunitario è di rendere il Patto più facile da rispettare e da far rispettare, dopo che per anni molte delle sue regole sono state platealmente ignorate…

Finalmente dopo mesi di negoziati tra i ministeri dell’Economia e delle Finanze dei 27 Stati membri dell’Unione europea (Ue) qualcosa trapela sulla riforma del Patto di Crescita e di Stabilità il “Patto”. E ancora molto poco e dovrà essere integrato da una modifica del Trattato di Maastricht. Ci vorrà almeno un anno per completare l’iter complessivo; in questo periodo il “Patto” resterà sospeso. Nei prossimi mesi, occorrerà vigilare con attenzione perché – come dice un antico proverbio britannico – “il diavolo si nasconde nei dettagli”. Secondo Bruxelles, un consenso tra i 27 Stati membri sulla riforma del Patto di Stabilità dovrebbe essere raggiunto “prima delle procedure di bilancio degli Stati membri per il 2024”. Nel primo trimestre del 2023 “l’esecutivo comunitario fornirà nuovamente indicazioni sulla politica di bilancio per il periodo successivo. Questi orientamenti faciliteranno il coordinamento delle politiche di bilancio e la preparazione delle politiche di stabilità e convergenza degli Stati membri”.

Le linee-guida, che ora andranno discusse con gli Stati membri e poi tradotte eventualmente in proposte legislative, confermano nei fatti le indicazioni circolate in queste settimane a Bruxelles. L’obiettivo dell’esecutivo comunitario è di rendere il Patto più facile da rispettare e da far rispettare, dopo che per anni molte delle sue regole sono state platealmente ignorate (a cominciare dalla regola di una riduzione di un ventesimo all’anno del debito in eccesso).

Il “Patto” fissa – come è noto – un rapporto debito/Pil massimo pari al 60% del Pil e un rapporto disavanzo massimo pari al 3% del Pil. Se il livello di indebitamento viene superato, 1/20 della differenza tra valore effettivo e valore target deve essere ridotto annualmente. Se i criteri non sono soddisfatti, sono dovute sanzioni fino a ½% del Pil. Dalla conclusione del Patto nel 1993, esso è stato più volte modificato, provvisto di clausole di eccezione e meccanismi di controllo ed è quindi considerato inefficace, confuso, complicato e poco trasparente.

Vediamo, in primo luogo, quali sono le linee-guida di una possibile riforma del “Patto”. Al di là del desiderio di rendere le norme più trasparenti e più facili da rispettare, viene confermata la possibilità di condizionare l’esborso dei fondi europei, anche di quelli provenienti dal Next Generation EU, al rispetto delle regole di bilancio. Questa è una prima possibile trappola in quanto, soprattutto se nel Consiglio dei Capi di Stato e di Governo, prevalgono Stati “rigoristi”, la minaccia di decurtazione di fondi Ue potrebbe condizionare Governi a proporre ed attuare politiche deflazioniste, invece che, come auspicato, espansioniste.

In estrema sintesi, Bruxelles propone di organizzare il rapporto con gli Stati membri nel modo seguente. Presenterà per ogni Stato membro un percorso di aggiustamento del debito su un periodo di quattro anni. In risposta alla proposta comunitaria il singolo Stato metterà sul tavolo il proprio percorso di aggiustamento, tenendo conto delle sue priorità economiche, riforme e investimenti. Nei due casi, il metro di riferimento deve essere la spesa netta primaria. La Commissione europea sarebbe poi chiamata ad approvare il piano nazionale, dopo un prevedibile negoziato. L’importante, spiega Bruxelles, è che “il percorso del debito rimanga discendente o si mantenga su livelli prudenti, e che il deficit di bilancio rimanga al di sotto del 3% del Pil nel medio termine”.

Tutti gli Stati membri, sia quelli ad alto debito che quelli a basso debito, potranno chiedere di allungare da quattro a sette anni il percorso di aggiustamento, se giustificato da riforme e investimenti. Questa è una seconda trappola: la possibilità di allungare il percorso per l’aggiustamento indurrà gli Stati maggiormente indebitati a chiedere rinvii dopo rinvii.

Il piano nazionale verrebbe fatto proprio dal Consiglio. Nel contempo, l’uso di eventuali sanzioni finanziarie sarebbe reso più semplice ed efficace, riducendo i loro importi. “La condizionalità macroeconomica per i fondi strutturali e per i piani strumento per la ripresa e la resilienza verrebbe applicata con uno spirito simile, ovvero i finanziamenti europei potrebbero essere sospesi se gli Stati membri non hanno intrapreso azioni efficaci per correggere il loro deficit eccessivo”.

Inoltre, “sarà più facile far scattare la procedura per debito eccessivo, nel caso di deviazione dal percorso di aggiustamento, anche se il deficit è sotto al 3,0% del Pil”, ha precisato un funzionario europeo. Spiega Bruxelles nella documentazione fornita alla stampa: “La Commissione europea controllerà costantemente l’attuazione dei piani. Gli Stati membri presenteranno relazioni annuali sullo stato di avanzamento dell’attuazione dei piani per facilitare un monitoraggio efficace e garantire la trasparenza”.

Nelle linee-guida, l’esecutivo comunitario propone anche di rivedere lo strumento che permette di individuare, risolvere ed eventualmente sanzionare gli squilibri macroeconomici (l’Italia è un paese alle prese sia con un debito elevato che con una bassa competitività). La Commissione europea vuole che lo strumento venga utilizzato con uno sguardo di lungo periodo, anticipando per quanto possibile le situazioni pericolose.

Interessante raffrontare le linee-guida con una recente proposta del Fondo Monetario Internazionale di riformulare il “Patto”. In essa, ci si basa su una capacità di bilancio comune proposta in numerose occasioni in passato (in particolare dalla Francia), un bilancio/fondo congiunto della zona euro/Ue, con il quale dovrebbero essere finanziati i “beni pubblici” comuni (compresa la stabilizzazione economica). In casi estremi, ciò richiederebbe anche un ministero delle finanze paneuropeo, persino un ministro delle finanze, che sarebbe anche responsabile, insieme alla Banca centrale europea, Bce), di una macro politica “ottimale” nella zona euro e nell’Ue. Si può presumere che la Ue non accetterà questa proposta, poiché in passato ha incontrato una grande resistenza da parte di alcuni Stati membri. I tentativi di generalizzare in questa direzione l’approccio già applicato nel Next Generation EU sono falliti pern questa resistenza. Il Fmi sostiene anche un Consiglio di bilancio europeo, che dovrebbe collaborare con i consigli fiscali nazionali, il cui compito è la valutazione “indipendente” delle politiche di bilancio nazionali, e dovrebbe fornire consulenza di valutazione al ministro delle finanze europeo ea quelli degli Stati membri.

Il Fmi sostiene con urgenza un allineamento della politica economica comune della politica fiscale e monetaria europea, poiché le attuali politiche monetarie restrittive e ancora espansive dei singoli Stati membri non hanno portato a risultati positivi in​​termini di raggiungimento della sostenibilità del debito con la crescita.

Ciò che caratterizza negativamente entrambe le proposte, quella della Commissione e quella del Fmi, è che continuano ad assumere un concetto ristretto degli obiettivi di politica economica ignorando ampiamente le esigenze di combattere la crisi climatica. In tal modo, stanno persino ostacolando il riorientamento della politica monetaria, che ha almeno dato una certa priorità alla lotta al cambiamento climatico.

Un noto economista austriaco (che è stato direttore generale del Ministero del Tesoro in Patria e direttore esecutivo e della Banca Mondiale e della Banca Europea e dello Sviluppo), Kurt Bayer, ha correttamente commentato che né la Commissione né il Fmi affrontano la questione se sia possibile e, soprattutto, sensato basare la politica economica su regole fisse per diversi anni. Sebbene entrambi propongano eccezioni, presuppongono uno “stato stazionario” ideale, un percorso di equilibrio dal quale le deviazioni possono quindi essere “approvate” come eccezioni. Il fatto empirico è, tuttavia, che l’economia come “costrutto sociale” è costantemente in tali “deviazioni” che avrebbe quindi più senso partire da percorsi stocastici che da equilibri – e questo con i mezzi di una politica economica più ampia, quali obiettivi di politica sociale, distributiva e ambientale. Ciò darebbe ai percorsi di medio termine solo un effetto indicativo, ma cercherebbe di far fronte alla perdurante volatilità attraverso misure istituzionali e strutturali. Questo potrebbe ovviamente essere seguito dalla stabilità del bilancio come obiettivo secondario, ma contrariamente alla politica economica dell’Ue, questo non sarebbe l’obiettivo generale, che è principalmente orientato alle aspettative dei mercati finanziari. E alla “sostenibilità del debito” di lungo periodo andrebbe contrapposta la stabilizzazione economica.

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