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I Mondiali, eccezionale vetrina per il terrorismo. L’analisi di Dambruoso e Conti

Di Stefano Dambruoso e Francesco Conti

Le preoccupazioni per possibili attentati durante i giochi in Qatar non sono frutto di infondati allarmismi: sono anche un’occasione di propaganda per gli estremisti. L’analisi di Stefano Dambruoso, magistrato ed esperto di terrorismo internazionale, e Francesco Conti, ricercatore, Master’s Degree in Terrorism, Security and Society al King’s College London

Il campionato del mondo di calcio in Qatar, organizzato per la prima volta in un Paese islamico, ha riacceso le preoccupazioni degli apparati antiterrorismo internazionali. E infatti, alcune ore dopo il primo calcio di inizio delle partite a Doha, sui media internazionali è stata pubblicata la notizia: “World Cup 2022 Qatar on alert: Islamic State supporters call for World Cup attacks”. La manifestazione sportiva più seguita al mondo ha così imposto una vigilanza rafforzata per impedire azioni terroristiche. I Mondiali di calcio rappresentano infatti da sempre un palcoscenico senza eguali anche per le organizzazioni terroristiche al fine di maggiore propaganda e reclutamento.

Lo Stato Islamico ha esordito subito esortando, su canali social pro-califfato, i propri seguaci ad attaccare il Paese del Golfo durante la manifestazione sportiva, con operazioni che potrebbero ricalcare il modus operandi seguito dalla maggior parte delle operazioni dello Stato islamico degli ultimi anni: attentati ispirati online ma materialmente eseguiti da individui anche senza connessioni personali con i leader e i quadri dell’organizzazione che fu di Abu Bakr al-Baghdadi. Anche al-Qaeda non ha fatto attendere proprie dichiarazioni, di carattere più vago e meno diretto, ricalcando la strategia più paziente, e di basso profilo, del gruppo. La propaganda di al-Qaeda si è scagliata contro il Paese organizzatore per aver accolto Paesi considerati dall’organizzazione come nemici della religione islamica e per aver portato corruzione nella penisola che fu del profeta Maometto.

Eppure, il Qatar è considerato da molte agenzie di intelligence occidentali come uno dei principali finanziatori statali del terrorismo internazionale. Istituti bancari ed enti di beneficenza islamici del Paese sono ritenuti collegati a diversi gruppi terroristici affiliati di al-Qaeda come al-Shabaab e al-Qaeda nella Penisola Arabica, oltre a diversi gruppi islamisti coinvolti nella guerra civile siriana (tra cui anche l’ex Fronte al-Nusra, che nacque come branca siriana proprio di al-Qaeda). Ma anche singoli individui con residenza in Qatar sono sospettati di aver svolto un’attività di finanziamento, sia per lo schieramento qaedista sia per lo Stato islamico. Altre forme di finanziamento derivano anche dal pagamento dei riscatti dai rapimenti organizzati da gruppi legati al terrorismo jihadista. Il Qatar è infatti un importante broker, capace di usare la propria influenza per ottenere la liberazione di ostaggi, anche se a costo di milioni di dollari, che in passato sono finiti nelle casse di gruppi legati ai principali schieramenti della galassia jihadista. Nel 2014, per esempio, un contingente di peacekeeper fijiani, presenti in Siria sotto la missione Undof delle Nazioni Unite, vennero rapiti dal Fronte al-Nusra e rilasciati dopo due settimane, a seguito dell’intervento proprio del Qatar.

Il piccolo Paese arabo consente il rifugio a diverse personalità legate al terrorismo tra cui alcuni sanzionati dalle Nazioni Unite e inseguiti da mandato d’arresto internazionale dell’Interpol. Due esponenti di spicco di Hamas come Khaled MeshaalEsmail Aniyeh, che continuano a propugnare lo scontro armato contro Israele, sono domiciliati nella capitale qatarina. Hamas e il Movimento per il Jihad Islamico in Palestina, anch’esso con legami con l’establishment del Qatar, hanno in questi giorni elogiato gli attentati avvenuti lo scorso mercoledì a Gerusalemme, che hanno portato alla morte di due civili. Ha causato critiche anche la decisione del governo del Qatar di ospitare il predicatore islamico indiano Zakir Naik durante la manifestazione sportiva. Naik è noto per i suoi sermoni televisivi, considerati da alcuni Paesi (fra cui anche il Regno Unito, dove sono vietati) di vero incitamento all’azione. Le autorità antiterrorismo indiane hanno legato il nome di Naik anche all’attentato di Dhaka del 2016, dove un gruppo di terroristi affiliati allo Stato Islamico uccise ventiquattro civili nella capitale del Bangladesh, fra cui anche nove italiani.

Il Qatar ha poi ospitato per anni una delegazione ufficiale del movimento talebano e proprio a Doha è stato raggiunto un accordo fra il governo statunitense del presidente Trump e gli stessi talebani, con i primi che si sono impegnati ad abbandonare militarmente l’Afghanistan (passato poi in poco tempo sotto il controllo degli studenti coranici nell’estate dello scorso anno,) mentre i discepoli del mullah Omar si sono detti pronti ad evitare che il suolo afgano venga usato come base per pianificare atti di terrorismo internazionale oppure come rifugio da parte delle organizzazioni terroristiche.

Nonostante le pressioni internazionali, e soprattutto statunitensi, abbiano portato il Qatar a introdurre leggi più severe in materia di contrasto al terrorismo, lo Stato arabo è ancora considerato un ambiente permissivo che consente ad alcune organizzazioni jihadiste di operare con relativa libertà. Il Qatar, secondo gli analisti, utilizzerebbe infatti il sostegno assicurato ai gruppi terroristici per aumentare la propria influenza sul piano internazionale, soprattutto nei rapporti con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, rivali di Doha, che sovrastano il Paese governato dalla famiglia al Thani, sia per numeri della popolazione che per dimensione geografica. I timori di possibili attentati durante le manifestazioni sportive internazionali sono purtroppo avallati da numerosi precedenti.

Il terrorismo colpì per la prima volta un palcoscenico sportivo internazionale durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, di cui è da poco trascorso il cinquantesimo anniversario. L’attentato di Settembre Nero contro gli atleti israeliani portò alla creazione dei moderni corpi antiterrorismo, altamente addestrati per compiere operazioni di liberazioni ostaggi e neutralizzazione delle minacce.

Il primo rischio relativo proprio a Mondiali di calcio risale invece al 1998, l’edizione ospitata dalla Francia, quando le forze di sicurezza transalpine arrestarono diverse cellule di terroristi algerini appartenenti al Gruppo islamico armato (organizzazione algerina che poi confluirà in al-Qaeda nel Maghreb Islamico). Gli arrestati avevano intenzione di colpire proprio durante la manifestazione, quando tutti gli occhi del mondo erano puntati su Parigi. Nel mirino era finita la partita fra l’Inghilterra e la Tunisia. In questo caso la minaccia terroristica venne sventata anche grazie alla cooperazione internazionale, che permise di sgominare, in modo coordinato, il gruppo arrestando circa 200 persone sul suolo europeo, di cui una decina in Italia, in una delle operazioni antiterrorismo più importanti del periodo precedente all’undici settembre. Oltre all’utilizzo di esplosivi e armi da fuoco, il piano prevedeva anche il dirottamento di un aereo e il suo successivo schianto contro una centrale nucleare con un’operazione suicida. Non a caso, lo stesso Osama bin Laden, già alle prese con la pianificazione dell’attentato dell’11 settembre, era a conoscenza dell’operazione.

E ancora, durante i Mondiali di calcio di Germania 2006, quelli vinti dalla nazionale italiana guidata da Marcello Lippi, la minaccia arrivò da due cittadini libanesi. I terroristi riuscirono a piazzare ordigni esplosivi su treni regionali, con l’obiettivo di causare una strage simile a quella di Madrid del 2004. A differenza dell’attentato di Atocha, dove venne utilizzato esplosivo industriale (rubato da un sito di scavo), i due terroristi di Germania 2006 confezionarono i loro ordigni in modo artigianale, usando istruzioni presenti sul web. Grazie all’imperizia degli attentatori, però, gli ordigni non esplosero. L’arresto in Libano di uno dei due sospettati e la sua successiva condanna fu il frutto della cooperazione di polizia a livello internazionale.

L’edizione successiva del 2010, quella disputata in Sud Africa, non fu ignorata dai terroristi. La minaccia riguardò solo una partita specifica: al-Qaeda nel Maghreb Islamico minacciò infatti di colpire direttamente all’interno dello stadio durante il match fra Stati Uniti e Inghilterra, usando esplosivi di nuova generazione a prova di misure di sicurezza. I mondiali del 2010 coincisero inoltre con l’inizio dell’espansione del jihadismo proprio in Africa, anche al di sotto dell’area sahariana. La galassia qaedista riuscì a colpire durante i mondiali, con attentati suicidi che presero di mira due bar di Kampala, capitale dell’Uganda, durante la diretta tv della finale, causando decine di morti. Il Paese africano venne attaccato perché ritenuto colpevole di aver inviato un contingente delle proprie forze armate a contrastare i jihadisti di al-Shabaab, affiliato di al-Qaeda nel Corno d’Africa. Anche durante l’edizione brasiliana del 2014 un commando di al-Shabaab assaltò un resort in Kenya, sempre durante proiezione in tv di una partita del mondiale, uccidendo più di 50 persone. L’attentato rappresentava la punizione per il governo kenyota che aveva inviato una missione militare in Somalia, a sostegno delle forze armate governative.

Durante i mondiali del 2018 disputati in Russia, il pericolo principale era invece legato allo Stato islamico, che aveva ripetutamente minacciato Vladimir Putin per la decisione di entrare nel conflitto siriano a supporto del regime di Bashar al-Assad. Le fasi più acute della guerra civile siriana richiamarono decine di migliaia di jihadisti provenienti da tutto il mondo, inclusi numerosissimi esponenti originari del Caucaso Russo e delle ex-repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale. Inoltre, per la prima volta, la propaganda dello Stato Islamico minacciò direttamente due calciatori, Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, le due superstar del calcio in attività. Sebbene non vi siano stati attentati durante Russia 2018, i mesi precedenti furono comunque caratterizzati da alcuni attacchi rivendicati dal Califfato in Russia, che furono seguiti da numerose operazioni antiterrorismo delle forze di sicurezza, a conferma della concretezza della minaccia. Le preoccupazioni per possibili attentati durante i giochi qatarini non sono quindi frutto di infondati allarmismi e giustamente stanno impegnando gli apparati di sicurezza nel piccolo Paese del Golfo.

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