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Rave party, tra pericolo e libertà garantite. L’analisi del prof. Corbino

Di Alessandro Corbino

Che le nostre democrazie contemporanee (e quella italiana con le altre) attraversino un momento difficile che induce molti a invocare uno sforzo riformatore “ordinante”, mi sembra un dato indiscutibile. Che la risposta al disordine e alla difficoltà di raggiungere con tempestività le decisioni necessarie possa essere una stretta “autoritaria”, quale nei fatti la norma introduce, è però assolutamente da respingere. L’analisi di Alessandro Corbino, già professore ordinario di Diritto romano all’Università di Catania

Come era facile pronosticare, l’art. 5 del decreto legge 162/2022, che ha introdotto l’art. 434 bis nel nostro Codice penale, ha suscitato generale allarme. Nelle opposizioni, ma non solo. Come è stata formulata, la norma difficilmente potrebbe resistere invero ad un eventuale vaglio di costituzionalità. Ma non è questo il punto sul quale desidero esprimere qualche modesta considerazione. Voglio fare credito di buone intenzioni (con qualche dubbio) agli autori dell’iniziativa, che sono anche coloro ai quali è stato appena affidato il governo della nostra comunità. Dichiarano, del resto, di volere correre ai ripari, modificando le disposizioni in oggetto in sede di conversione. Vorrei dunque solo invitarli, sommessamente, a riflettere per il futuro sui rischi di una legislazione improvvisata e disattenta.

Che le nostre democrazie contemporanee (e quella italiana con le altre) attraversino un momento difficile che induce molti (tra i quali il sottoscritto) a invocare uno sforzo riformatore “ordinante”, mi sembra un dato indiscutibile. Che la risposta al disordine e alla difficoltà di raggiungere con tempestività le decisioni necessarie possa essere una stretta “autoritaria” quale nei fatti la norma introduce è però assolutamente da respingere. Ci si avvierebbe su un percorso, il cui esito (forse ancora lontano) potrebbe essere solo la fine della già periclitante nostra democrazia liberale.

La formulazione della disposizione è ormai notissima. Prevede gravi sanzioni penali a carico di coloro che promuovono o partecipano alla “l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, avendo preliminarmente precisato che il caso considerato è quello che ne veda attori un numero di persone superiore a cinquanta, che abbiano come scopo quello di organizzare un raduno, quando dallo stesso “può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.

Come tutti hanno già sottolineato, la genericità della fattispecie ipotizzata apre la strada ad applicazioni che non possiamo immaginare prevenute dalla dichiarata intenzione di chi potrebbe (le autorità preposte) di non procedervi. Una norma è sempre nella disposizione di chi abbia l’autorità di imporne la vigenza. Anche quando chi lo faccia non lo faccia nel modo consentito. In uno stato di diritto, non mancherà modo di rimediarvi. Ma altro è che essa disponga la disciplina di fatti esauriti. Altro di fatti in corso.

Non v’è credo chi non veda come, introdotta nell’ordinamento, una norma come la nostra potrà sempre indurre i responsabili della pubblica sicurezza ad avvalersene. Con la conseguenza (ineludibile) di esporre intanto gli incauti promotori di un “raduno” (il convenire non spontaneo di persone in un luogo) a dure sanzioni. Non più solo alle amministrative (già previste per altro: scioglimento dell’assembramento, eventuali confische di beni strumentali al loro proposito e simili). Anche alle nuove (e gravi) penali.

Certo, è ben probabile che – se sconsideratamente promossa – una tale azione penale non giungerebbe (nell’ordine dato, anche costituzionale) all’esito di una condanna. Ma è certo che essa avrà intanto legittimato l’avvio di una persecuzione criminale e giustificato i provvedimenti amministrativi adottati (anche quando le norme previgenti non lo avrebbero consentito). Potrà accadere non solo quando il “raduno” promosso abbia i connotati di quello che ha dato occasionale suggerimento all’iniziativa (un rave party), ma anche quando esso fosse, ad esempio, il confluire di una moltitudine (per un lanciato allarme di promotori) in un terreno (anche privato) nel quale sia divampato un incendio. Se l’autorità amministrativa vi vedesse un rischio per l’ordine pubblico (un intralcio alle operazioni in corso delle autorità preordinate), un gesto non ponderato (ma generoso) potrebbe giustificare non solo gli opportuni provvedimenti amministrativi, ma anche un rinvio a giudizio. E lo stesso potrebbe accadere a tifosi che volessero celebrare un successo della propria squadra invadendo le vie cittadine. Basterebbe che l’autorità di polizia ritenesse contrari all’ordine pubblico gli schiamazzi e i caroselli delle auto ovvero un pericolo per la salute pubblica le aste (armi improprie) delle bandiere.

Chi ha scritto la norma sembra non conoscere quanto delicate siano le nozioni dei beni pubblici evocati (ordine, incolumità, salute) e dei comportamenti che li possano esporre a pericolo. E quanto rischioso sia dunque (per le libertà individuali) rimetterne la determinazione ad una valutazione discrezionale di mera probabilità. Ne sarebbe controllabile il fondamento solo ex post, quando i fatti avvenuti avranno già dispiegato i loro effetti. Tra il giudizio di chi procede e quello di chi sarà chiamato a valutare (un’autorità amministrativa sovraordinata o quella giudiziaria) è inevitabile – fattualmente – che sia (intanto) prevalente il primo. Una ragione in più perché si normino quelle circostanze con estrema prudenza. Dunque definendo con il massimo rigore i contorni dell’azione “esposta” e limitando solo a casi gravissimi (e ben tipizzati) eventuali conseguenze “anche” penali.  Senza dire che normative di tal tipo non dovrebbero trovare ingresso con un provvedimento di “urgenza”. Se i fatti sono esauriti, non si vede quale necessità e urgenza potrebbe sussistere. E se essi sono in corso, il provvedimento assegnerebbe natura “criminale” ad un fatto (che non lo aveva o non la aveva in quella dimensione) già avviato. In assoluta contraddizione con il principio di non retroattività della norma penale che – anche in questa disastrata nostra democrazia – dovrebbe pure avere ancora attenzione. Non capisco oltretutto come non si colga (nella attuale maggioranza) la palese contraddizione tra la – giusta – invocazione di una riforma della legge Severino e il procedere nel frattempo ad adottare norme come quelle in discussione.

È troppo poco assicurare che non si userà la norma nel senso (possibile) temuto. Quella norma in un ordinamento “civile”, prima ancora che democratico, non può esserci.

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