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Welfare, un rilancio per più sviluppo e meno ineguaglianza. Scrive Bona

Di Lorenzo Bona

Il welfare è stato concepito come strumento principe finalizzato ad offrire agli individui maggiori livelli di sicurezza e assistenza sociale. Molti economisti hanno sentito da tempo l’esigenza di rimarcare l’urgenza di nuove riflessioni in questo ambito ai fini della promozione di sistemi economico-sociali più equi ed efficienti. L’analisi di Lorenzo Bona

I tempi attuali sembrano caratterizzati da crescenti sentimenti di preoccupazione attorno allo stato di salute delle economie mondiali, le quali paiono attraversare un periodo di elevata instabilità e incertezza. Si tratta di un periodo che solitamente viene collegato a tre grandi momenti critici: all’avvento della pandemia da cui si sta tentando di uscire completamente; ad una domanda di prodotti e servizi che, con l’allentamento delle restrizioni anti-Covid, è ripartita a ritmi più alti delle attese; allo scoppio della guerra in Ucraina.

È in questo contesto che si assiste – oltre ad una drammatica produzione di pesantissimi costi in termini di vite umane – ad una successione o ad un intreccio di eventi a dir poco scoraggianti: ad esempio, esorbitanti rincari delle materie prime, persistenti attriti e strozzature nei sistemi di spedizione delle merci sui mercati internazionali, impressionanti aumenti dei costi dell’energia, un’inflazione generalizzata e mordace.

L’esigenza di più sviluppo e meno ineguaglianza per scenari economici con minori livelli di instabilità e incertezza

Sono probabilmente molte le vie per provare a orientare in modo meno incerto e instabile lo scenario a cui si è fatto cenno.

In quest’ottica sforzarsi di trovare i migliori modi possibili per un ritorno alla pace in Ucraina al più presto rappresenta senz’altro una priorità. Ed è pure prioritario, in una prospettiva di breve termine, un forte impegno contro l’inflazione attraverso appropriate politiche fiscali e monetarie, come pure mediante nuove strategie in ambito di energia e ambiente.

Ma forse, in un’ottica di medio-lungo periodo, ci potrebbero essere anche validi argomenti per affermare che un’altra via importante per favorire l’emersione di un contesto socio-economico più stabile e certo, in cui famiglie e imprese possono vivere con meno ansie e timori, è quella che riguarda il welfare.

E ciò tanto più se si considera che diffusi fenomeni di incertezza e insicurezza pesavano sugli scenari economici mondiali anche prima dello scoppio del Covid-19, quando cioè la situazione europea era caratterizzata da un quadro economico che molti economisti hanno chiamato anemico.

Può essere utile ricordare che il welfare – sin dalle sue prime fasi evolutive – è stato concepito come strumento principe finalizzato ad offrire agli individui maggiori livelli di sicurezza e assistenza sociale, in modo da rimediare ai limiti che il mercato tende a mostrare rispetto alla possibilità di autocorreggersi sempre nel suo funzionamento tramite aggiustamenti istantanei e ottimali.

Forse anche per questa ragione molti economisti e altri studiosi già da tempo – ben prima dell’arrivo del Covid – avevano avvertito l’esigenza di rimarcare l’urgenza di nuove riflessioni in ambito di welfare ai fini della promozione di sistemi economico-sociali più equi ed efficienti.

E forse queste considerazioni possono anche avere dei legami con l’esigenza di un rilancio duraturo dell’economia attraverso più sviluppo economico e meno ineguaglianza sociale che autorevoli economisti – come ad esempio Luigi Paganetto e Pasquale Lucio Scandizzo – stanno riproponendo da qualche tempo al centro del dibattito pubblico.

Brevi cenni in tema di evoluzione del welfare nel contesto dei moderni sistemi industriali

Il tema del welfare e di quale possa essere un appropriato sostegno da offrire alla sua evoluzione nell’ambito degli attuali sistemi industriali appare fonte di grandi complicazioni. E non da oggi. Più o meno a partire dalla metà del ’900, cioè grosso modo sin dalle fasi iniziali che hanno via via portato all’avvento del welfare così come lo conosciamo oggi, i moderni sistemi economici sono stati alle prese con una situazione che pare caratterizzata quasi senza fine da varie criticità.

Tanto per ricordarne alcune: una globalizzazione delle dinamiche di produzione e scambio che in maniera eccessiva finisce spesso per beneficiare alcuni gruppi di persone e marginalizzare altri; una crescita economica che non  pare sempre agire in via ottimale per quanto riguarda l’eliminazione di preoccupanti ineguaglianze di reddito o di indesiderabili situazioni di povertà.

Uno degli effetti di questo tipo di criticità è stato quello di incoraggiare lo sviluppo di un principale rimedio: e cioè una continua e non ben controllata estensione dei programmi di welfare. E ciò a sua volta è stato fonte di nuove complicazioni. Nel senso che l’evoluzione del welfare è via via apparsa sempre meno sostenibile per i moderni sistemi economici.

Al riguardo, è stato suggerito che uno dei fenomeni capaci di rendere maggiormente problematica la sostenibilità dei sistemi di welfare è quello riconducibile a situazioni di disoccupazione di carattere strutturale. Ma è stato anche osservato che la sostenibilità di tali sistemi può essere pure compromessa da altri eventi. Ad esempio quelli che possono riflettere: condizioni di piena occupazione o di calo della disoccupazione che si accompagnano a una stagnazione dei redditi da lavoro; dinamiche di invecchiamento della popolazione; un’espansione eccessiva delle entità del settore pubblico a cui spettano valutazioni e decisioni sia relative alle cosiddette ‘prove dei mezzi’ (cioè le prove solitamente richieste ai fruitori delle prestazioni welfariste per dimostrare di trovarsi realmente in stato di bisogno), sia ai livelli di supporto da erogare a favore di soggetti marginalizzati.

Per fronteggiare la problematicità di questo genere di fenomeni, è stata spesso privilegiata una risposta: rendere la “torta economica” più grande. Ma sfortunatamente sembrerebbe che il progresso tecnologico stia agendo da tempo contro la possibilità di raggiungere situazioni di pieno impiego accompagnate da una crescita del tutto soddisfacente dei livelli di reddito da lavoro. Ed ecco che allora sembrano affiorare in diversi Paesi, con una certa frequenza, appelli alla necessità di tracciare sentieri per possibili riforme strutturali.

Tracciare in termini efficaci ed efficienti questo tipo di sentieri può rivelarsi un’impresa particolarmente ricca di ostacoli.

L’esperienza tende a suggerire che forse uno degli ostacoli maggiori all’avvio di efficaci ed efficienti riforme strutturali in ambito di welfare può dipendere da un diffuso modo di pensare, che potrebbe riflettere una sorta di “etica del lavoro”; cioè una visione del mondo che porta molti a credere che l’auto-stima può essere ottenuta soltanto entro contesti lavorativi e che avere un lavoro è l’aspetto di maggiore rilievo sul piano sociale.

In questo senso può non essere troppo sorprendente che le politiche pubbliche – riflettendo in gran parte tale visione del mondo – tendano solitamente a focalizzarsi sull’obiettivo della creazione di posti di lavoro. E così tendono ad emergere situazioni dove spesso si trascurano le reali esigenze degli attuali sistemi industriali, i quali – sempre più basati sull’automatizzazione delle dinamiche produttive – sembrano sempre meno in grado di risultare necessariamente orientati alla creazione di nuove opportunità lavorative.

La prospettiva del reddito minimo universale o di cittadinanza: una sintesi

Uno dei miei maestri che sino all’ultima fase del suo percorso esistenziale si è dedicato allo studio di questi argomenti – l’economista Gianfranco Sabattini – ha più volte ricordato molti aspetti sin qui richiamati a proposito dell’evoluzione dei moderni sistemi di welfare. E nel far ciò si è anche speso molto per mettere in risalto la possibilità di favorire riforme efficaci ed efficienti di tali sistemi sulla base di schemi di pensiero che non coincidono necessariamente con quelli compatibili con quell’ “etica del lavoro” a cui prima si è fatto cenno.

Al riguardo, provando a riassumere il senso di molti suoi insegnamenti e di qualche scritto che ho avuto la fortuna di elaborare assieme a lui o col suo incoraggiamento, una riforma del welfare che sembrerebbe conciliabile in modi largamente efficaci ed efficienti con le dinamiche di funzionamento degli attuali sistemi industriali potrebbe forse essere quella che vari studiosi hanno da tempo suggerito con la produzione di una letteratura gravitante attorno all’idea di un reddito minimo universale o di cittadinanza: una specie di compenso – di valore pari o inferiore al livello di sussistenza – che in una data società è erogato a tutti i suoi membri, su base individuale, per l’intera durata della loro vita e senza prove dei mezzi o di requisiti lavorativi.

Seppure da un po’ di anni ad oggi l’idea dell’istituzionalizzazione di un reddito di cittadinanza sembrerebbe essersi fatta sempre più spazio nel dibattito pubblico dei Paesi occidentali, tale forma di reddito – nell’accezione emersa nell’ambito della letteratura specialistica e a cui prima si è fatto riferimento – si trova ancora ad essere oggetto di forti critiche o perplessità.

Queste critiche o perplessità sembrano provenire tanto da settori della società con simpatie politiche di centro-destra, quanto da aree della società con preferenze politiche di centro-sinistra. E ciò nonostante che alla definizione del concetto di reddito minimo universale o di cittadinanza e alla sua riconciliazione nell’ambito del paradigma economico abbiano contribuito diversi autorevoli economisti con divergenti orientamenti ideologici, come ad esempio i premi Nobel Friedrich Hayek e James Meade.

Andando avanti nel discorso attraverso grandissime semplificazioni, le critiche di maggior rilievo a tale forma di reddito che tendono ad esser sollevate da settori della società che possono avere simpatie politiche di centro-destra sembrerebbero largamente riconducibili a due idee principali: quella per cui il reddito di cittadinanza creerebbe interferenze indesiderabili nelle libere dinamiche di mercato, in modi che rifletterebbero in larga parte il problema del reperimento delle risorse necessarie alla sua introduzione; e l’idea che il reddito di cittadinanza costituirebbe un indesiderabile disincentivo al lavoro.

D’altro lato, le maggiori critiche al reddito di cittadinanza che tendono a provenire da aree della società che possono avere simpatie politiche di centrosinistra sembrerebbero in buona parte allinearsi a due principali considerazioni: quella secondo cui tale forma di reddito sarebbe eccessivamente favorevole all’avvento di un mercato del lavoro non ben regolato, specialmente rispetto alla possibilità per le imprese di ridurre la forza lavoro in momenti di contrazione del mercato; e la considerazione che il reddito di cittadinanza potrebbe finire per indebolire il ruolo delle organizzazioni pro-lavoro, col rischio di aprire sempre di più la via per una crescente riduzione della protezione per i lavoratori e delle persone emarginate.

Queste forme di criticismo o di perplessità potrebbero tuttavia contenere elementi di debolezza se non di tipo fuorviante. Perché l’istituzionalizzazione del reddito di cittadinanza – inteso nell’accezione generalmente usata nella letteratura specialistica – dovrebbe essere accompagnata da alcuni accorgimenti fondamentali.

Tanto per fare qualche esempio, uno di questi accorgimenti sarebbe quello riconducibile ad una razionalizzazione e ad una sorta di ridefinizione dei trasferimenti pubblici esistenti per la protezione sociale, con modalità associate ad una riduzione dell’area delle esenzioni e dei rimborsi fiscali, per ottenere i risparmi necessari per finanziare tale forma di reddito. Un secondo accorgimento fondamentale, consisterebbe nell’impegno per una regolazione del valore del reddito di cittadinanza ad un livello inferiore ai redditi minimi generalmente generati in mercati ben funzionanti: e ciò in linea all’obiettivo di poter garantire la protezione sociale universale per le persone, senza al contempo scoraggiare la ricerca di lavoro per occupazioni meglio retribuite. Un terzo accorgimento di fondamentale importanza che dovrebbe accompagnare l’introduzione del reddito di cittadinanza riguarderebbe uno sforzo per un potenziamento del ruolo delle organizzazioni pro-lavoro e della politica specialmente su un fronte: quello che riguarda la possibilità di poter aggiustare, quando necessario, il valore di tale forma reddituale in modo da ottenere adattamenti costanti del funzionamento del mercato del lavoro rispetto alle dinamiche evolutive del sistema economico e a possibili cambiamenti negli stati di bisogno di tutti i membri della società.

La possibilità di un welfare con equilibri migliori tra obiettivi pro-impresa e pro-lavoro

Tutto ciò potrebbe forse consentire di aggiungere qualche altra sintetica osservazione.

In una prospettiva vicina ad interessi d’impresa – generalmente riconducibile a orientamenti politico-sociali di centrodestra – il reddito di cittadinanza potrebbe risultare favorevole all’avvento di situazioni in cui, nelle decisioni relative all’impiego di lavoratori, possono agilmente prevalere solo considerazioni legate alla produzione e alle sue esigenze.

Quando invece ci si colloca in una prospettiva gravitante attorno alle esigenze del mondo del lavoro – solitamente ricollegabile a preferenze politico-sociali di centro-sinistra – il reddito di cittadinanza potrebbe produrre per quanti cercano lavoro, sia occupati che disoccupati, un’espansione delle opportunità rispetto alla possibilità di accettare o rifiutare offerte di lavoro percepite come inadeguate o ingiuste; e ciò in quanto tale forma di reddito favorirebbe un’indipendenza delle decisioni di questi soggetti dalla burocrazia e dalla sua discrezionalità in ambito di attribuzione di ammortizzatori sociali.

Il quadro velocemente sintetizzato sin qui potrebbe forse dare qualche motivo in più affinché, nelle economie occidentali, gli schieramenti politici di centro-destra e quelli di centro-sinistra possano far prevalere sentimenti di cooperazione piuttosto che idee in contrasto capaci di ritardare la definizione di possibili sentieri di riforme strutturali in ambito di welfare.

In altri termini, riforme strutturali basate sull’introduzione di un reddito di cittadinanza potrebbero agevolmente rappresentare un’area comune verso cui convergere: gli schieramenti politici di centro-sinistra, per raggiungere obiettivi pro-lavoro, dovrebbero sviluppare un approccio molto più favorevole alla possibilità di maggiore flessibilità del mercato del lavoro; gli schieramenti politici di centro-destra, per raggiungere obiettivi pro-impresa, dovrebbero sviluppare un approccio molto più aperto alla possibilità di avere un’economia più performante, incentrata sulla concorrenza e libera da eccessiva ineguaglianza sociale attraverso un rafforzamento del fondamentale ruolo di sostegno che la “mano visibile” del non-mercato offre alla “mano invisibile” del mercato.

Conclusioni

L’introduzione di un reddito di cittadinanza, inteso nel senso a cui si è fatto sin qui riferimento, potrebbe essere all’origine di vari effetti benefici sul piano delle relazioni industriali, in modi riconducibili alla possibilità di contrastare situazioni socio-economiche che, come quelle attuali, si caratterizzano per la presenza di alti livelli  di instabilità e incertezza tra famiglie e imprese.

In Europa vi sono diversi schemi di welfare che puntano ad allargare la protezione sociale verso un reddito minimo garantito per determinate categorie di soggetti. Negli Usa, in Alaska, vi è un tipo di reddito minimo che pare riflettere meglio il significato attribuito alla forma di compenso universale e incondizionata a cui si è fatto largo riferimento sin qui. E sembrerebbe che in varie altre parti del mondo si stanno provando a realizzare importanti esperimenti in tal senso.

L’Italia da qualche anno ha introdotto una forma di reddito di cittadinanza orientata a potenziare la protezione sociale, che però sembrerebbe collegata a caratteristiche non completamente in linea con quelle connesse al concetto di reddito di cittadinanza ricordato più volte in queste riflessioni; e forse anche per via di tale disallineamento il genere di reddito di cittadinanza messo in campo in Italia tende ad apparire problematico e insoddisfacente agli occhi di molti.

Gli italiani hanno da poco scritto un’altra pagina della storia politica del Belpaese, votando un nuovo Parlamento e un nuovo governo.

Come si porranno queste fondamentali istituzioni rispetto all’evoluzione degli attuali sistemi industriali e alla possibilità di promuovere – in modi il più largamente condivisi possibili nella società italiana – un sistema di welfare che sia strumentale ad un pieno rilancio dello sviluppo economico e, al contempo, funzionale ad un’ottimale riduzione dei livelli di ineguaglianza sociale?



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