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Hong Kong torna hub finanziario in barba alle sanzioni

Goldman Sachs, Morgan Stanley, JPMorgan Chase, Ubs e BlackRock, più altri 200 leader regionali ed internazionali. Tutti presenti al Global Financial Leaders’ Investment Summit tenuto fino a ieri nell’ex colonia britannica, nonostante le sanzioni imposte per gli abusi del governo cinese

È stata una grande vittoria per John Lee, capo esecutivo di Hong Kong, l’evento tenuto dal 1° al 3 novembre che ha riunito più di 200 leader regionali e internazionali, nonché 120 istituzioni e organizzazioni finanziarie, tra cui Goldman Sachs, Morgan Stanley, JPMorgan Chase, UBS e BlackRock. Secondo gli organizzatori, all’ultimo momento sono mancati il consigliere delegato di Citigroup e il presidente di Blackstone perché sono risultati positivi al Covid-19.

“Il peggio è passato”, ha dichiarato davanti alla prestigiosa platea, con un chiaro riferimento all’allentamento delle limitazioni per la pandemia Covid-19 ma soprattutto all’instabilità che ha seguito le proteste a favore della democrazia a Hong Kong iniziate nel 2019.

Il Global Financial Leaders’ Investment Summit è stato uno dei più grandi eventi del mondo finanziario a Hong Kong dall’inizio della crisi sanitaria. “Hong Kong è tornata nella scena e, nonostante alti e bassi, torna sempre, meglio di prima – ha detto John Lee -. Abbiamo fiducia totale nel futuro. Stiamo vedendo la ripresa mentre allentiamo alcune limitazioni anti-Covid”.

A Hong Kong, infatti, è stata ridotta la quarantena obbligatoria per chi arriva in città: è di tre giorni e si può uscire di casa ma non entrare in luoghi pubblici come ristoranti e bar. Per quello che è stata per anni il centro finanziario tra Asia e Occidente, gli ultimi anni sono stati devastanti. Sono andati via da Hong Kong circa 140.000 dipendenti, in quella che è stata definita la più grande fuga di cervelli. E la città è stata sorpassata da Shanghai come principale polo finanziario della regione, secondo l’ultimo report del Global Financial Centres Index (qui l’articolo di Formiche.net).

Il summit finanziario ha provocato molte critiche a causa della situazione dei diritti umani in Cina e la conferma da parte di alcune organizzazioni internazionali, come ad esempio le Nazioni Unite, degli abusi del regime cinese, specialmente nella regione Xinjiang.

Un articolo pubblicato sul sito di Al Jazeera riprende le accuse dei deputati americani del Partito Democratico, Jeff Merkley e Jim McGovern. Hanno avvertito che i banchieri presenti al vertice rischiano di essere complici della repressione di Pechino.

“I banchieri globali sono tutti molto favorevoli alla Cina. Non leggiamo la stampa americana, ma compriamo la storia della Cina”, ha detto nel suo intervento al summit Colm Kelleher, presidente di UBS, il più grande gestore patrimoniale globale. Questa dichiarazione è stata una risposta a Fang Xinghai, vicepresidente della China Securities Regulatory Commission, che aveva detto ai partecipanti: “Consiglio agli investitori internazionali di scoprire da soli cosa sta realmente accadendo in Cina e quali sono le reali intenzioni del nostro governo. Non leggete troppo i media internazionali […] Non scommettete contro la Cina e Hong Kong”.

Mark Clifford, ex redattore di un giornale di Hong Kong che ora guida il Comitato for Freedom in Hong Kong Foundation (CFHK), ha detto ad Al Jazeera che i banchieri presenti al vertice “non sono stati nemmeno in grado di aprire un conto corrente per l’amministratore delegato di Hong Kong John Lee, che è stato inserito nella lista nera dagli Stati Uniti e ha il divieto di viaggiare in America […] I centri finanziari internazionali dipendono dalla libertà: dal libero flusso di informazioni e dallo stato di diritto. Hong Kong non ha più nessuno dei due. Non merita di essere preso sul serio dalla comunità finanziaria internazionale”.

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