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Serve una rivoluzione negli accordi digitali o ripeteremo l’errore del gas

Più che inseguire i fantasmi di telco italiane sarebbe meglio che l’Italia fosse protagonista di un nuovo rinascimento euroatlantico con Stati Uniti e Canada nel campo dell’Innovazione tecnologica: dalle nuove frontiere dalla genetica medica alla fusione nucleare, dal 6G alla computazione e comunicazione quantistica. L’allarme di Marco Mayer, docente al corso di perfezionamento Intelligence e sicurezza nazionale della Lumsa

Ho letto con una certa sorpresa che Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per l’Innovazione Tecnologica Alessio Butti riunirà presto un tavolo con le principali telco italiane con l’obiettivo di correggere alcuni errori commessi nei programmi di transizione digitale finanziati dal Pnrr.

È probabilmente vero (se si esclude il potenziamento del Golden Power d’intesa con il Copasir) che le implicazioni strategiche e geopolitiche del Pnrr digitale sono state sottovalutate dal governo Draghi.

Tuttavia proponendo un tavolo con le aziende italiane di telecomunicazioni, il Butti non sembra discostarsi dal modus operandi che egli ha imputato al Ministro Colao.

L’idea del tavolo è fuori della realtà per un semplice motivo: le telco italiane non esistono.

Non è italiana Tim (il maggiore azionista è francese), tanto meno è italiana Wind3 (al 100% cinese), non lo sono Fastweb (controllata dal gruppo svizzero Swisscom) né l’inglese Vodafone.

Durante il governo Conte 1, ma anche negli anni successivi, i bandi del 5G sono stati concepiti come un modo dello Stato per far cassa. Né il MEF né il MISE hanno compreso che 5G e 6G (e banda larga) sono infrastrutture strategiche da ancorare saldamente agli interessi nazionali e pertanto da attuare in una cornice euroatlantica.

La storia digitale del nostro paese assomiglia molto alla vicenda del gas di cui ora paghiamo care tutte le conseguenze.

Nell ‘ultimo decennio centinaia di stazioni pubbliche appaltanti hanno affidato la sicurezza dei loro dati ad aziende russe per non parlare della diffusa penetrazione delle cinesi Huwaei e ZTE nei Dicasteri, nelle Regioni via gare Consip e non solo.

Per quanto riguarda il confronto con gli altri paesi del G20 l’Italia è al 17° posto per quanto riguarda le capacità organizzative in campo digitale.

In questo difficile contesto desidero riproporre il monito lanciato durante una iniziativa promossa dalla Cesare Alfieri di Firenze nel 2021 dal Ministro Vincenzo Celeste, Direttore Generale UE alla Farnesina e dal Generale Cosimo di Gesù della Guardia di Finanza sui rischi di frode, corruzione e conflitto di interesse legati all’assegnazione dei fondi Pnrr.

In questo contesto sarebbe paradossale che (anche a causa delle complesse supply chains) una parte dei fondi europei destinati alla transizione digitale finissero direttamente o indirettamente nelle casse di imprese russe o cinesi. Su questo il MEF del Ministro Giorgetti, la Guardia di Finanza e la stessa Farnesina dovrebbero vigilare.

Negli ultimi mesi Francia e Germania (e di conseguenza anche l’Italia) hanno venduto alla Cina forniture di aeromobili Airbus per miliardi di euro destinati all’aviazione civile. Questo tipo di accordi in un mondo sempre più duale presenta qualche rischio, ma i benefici sono probabilmente maggiori degli svantaggi.

Lo stesso discorso non vale né per l’energia né per il digitale. Per ridurre la dipendenza digitale dalla Cina e quella energetica dalla Russia non basta ormai neppure la dimensione europea. Senza una cooperazione euro-atlantica di medio e lungo periodo non se ne esce.

Più che inseguire i fantasmi di telco italiane che tali non sono, sarebbe meglio che l’Italia fosse protagonista di un nuovo rinascimento euroatlantico con Stati Uniti e Canada nel campo dell’Innovazione tecnologica (dalle nuove frontiere dalla genetica medica alla fusione nucleare, dal 6G alla computazione e comunicazione quantistica ecc.)

Se un paese nazionalista come la Francia ha puntato su un accordo di lungo periodo tra Thales e Google significa che è in quella direzione che si deve guardare se anche per difendere libertà e democrazia si vuole porre un argine all’eccesso di importazioni strategiche dalla Russia e dalla Cina.

È in questo orizzonte di difesa del mondo libero – non in quello del sovranismo impotente – che Giorgia Meloni potrà conquistare o meno la sua credibilità internazionale dopo il debutto di Bali.

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