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Come funziona il segreto di Stato? Risponde il prefetto Valentini

Di Marco Valentini

Si tratta di uno strumento eccezionale posto a tutela di interessi fondamentali, delimitato temporalmente e collocato in modo equilibrato nel rapporto tra esecutivo, Parlamento e autorità giudiziaria. Permangono alcune questioni di carattere prettamente tecnico su cui probabilmente futuri interventi riformatori potranno eventualmente intervenire. L’intervento di Marco Valentini, consigliere di Stato, già prefetto di Napoli e direttore dell’ufficio Affari legislativi e relazioni parlamentari del ministero dell’Interno

Sebbene il Codice penale e il Codice di procedura penale degli anni Trenta già si occupassero delle notizie che “nell’interesse della sicurezza dello Stato, o comunque nell’interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete”, individuando il perimetro di applicazione del segreto e approntando le relative e differenziate forme di tutela ovvero la disciplina processuale, bisognerà attendere il 1977 perché il legislatore, nell’ambito della prima legge (24 ottobre 1977, numero 801) dedicata all’organizzazione e al funzionamento degli organismi informativi, delinei, con una disposizione invero scarna e non esente da qualche vaghezza, per quanto decisamente innovativa, i contenuti di una categoria giuridica vissuta da sempre con qualche diffidenza e comunque in un’accezione prevalentemente negativa.

L’articolo 12 della legge numero 801 del 1977 individua come coperti dal segreto di Stato “gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recar danno allo Stato democratico, anche in relazione agli accordi internazionali, alla difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali, alla indipendenza dello stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato”. È interessante come con la legge appena richiamata, nell’ultimo comma dell’articolo 12, faccia ingresso nell’ordinamento giuridico anche la fattispecie del cosiddetto segreto illegale (“In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato fatti eversivi dell’ordine costituzionale”) che sarà significativamente ampliata e precisata negli sviluppi riformatori successivi.

Non è stata solamente la genericità e vaghezza, forse necessaria, della disposizione, pur verosimilmente integrata da linee guida adottate con normazione secondaria, a porre fin da subito il tema del segreto di Stato come candidato alla revisione. Pesavano, infatti, alcuni aspetti critici, tra i quali merita segnalare: la mancata previsione di un termine temporale di disclosure degli atti secretati, come previsto invece nella gran parte degli ordinamenti a costituzionalismo democratico; la difficoltà per gli operatori dell’intelligence di gestire uno strumento così roboante, in assenza, allora, di qualsivoglia altra forma di ombrello protettivo delle attività operative cosiddette non convenzionali; la mancanza di un coordinamento, a livello di normativa primaria, tra il segreto di Stato e la disciplina, diversa e solo occasionalmente sovrapponibile, della classificazione amministrativa della documentazione secondo le tradizionali categorie di riservatezza; la circostanza che l’apposizione, solamente successiva, del segreto di Stato, attraverso la conferma da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’avvenuta opposizione avanti una qualsiasi autorità giudiziaria, costituiva di per sé un limite per il pieno dispiegamento delle attività operative, per il margine d’incertezza che permaneva.

A queste questioni si sono sovrapposte altre tematiche di non poco momento, in attuazione della legge citata, che hanno riguardato ad esempio l’ambito di definizione del segreto illegale, cioè a chi spettasse definire i fatti come eversivi dell’ordine costituzionale; la possibilità per il Presidente del Consigli dei Ministri di tutelare il segreto a suo giudizio eccedente i poteri del Comitato di controllo previsto dall’articolo 11, non fornendo talune informazioni, di fatto esponendosi solamente alle valutazioni politiche del Parlamento; nonché infine altre questioni, sostanziali ma tipicamente incidenti sull’aspetto processuale, concernenti la portata oggettiva del segreto di Stato e dunque la inammissibilità di svolgere investigazioni, acquisire e utilizzare prove raccolte aliunde. Questioni sulle quali è ripetutamente intervenuta la Corte Costituzionale.

La riforma del 2007, e le sue successive integrazioni sullo specifico punto del segreto, hanno risolto molte delle questioni sopra richiamate, sgombrando il campo, intanto, da interferenze e sovrapposizioni di discipline previste per istituti giuridici diversi. L’area delle attività operative cosiddette non convenzionali, infatti, ha trovato una sua autonoma disciplina giuridica che prevede un’autorizzazione preventiva dell’autorità di governo, limiti estrinsecati nella norma stessa (articoli 17 e seguenti della legge 124 del 2007) a tutela di alcuni beni giuridici di rilevanza costituzionale oggetto di speciale protezione, l’opposizione, ove colui che agisca autorizzato incappi nelle maglie di un’investigazione penale, di una speciale causa di giustificazione davanti all’autorità giudiziaria. Anche la disciplina della classificazione in via amministrativa ha trovato una sua nuova collocazione in norma primaria.

Qual è dunque il profilo del segreto di Stato riformato? Dal punto di vista sostanziale, può dirsi che la natura dell’istituto ha mantenuto la sua ispirazione originaria, che è quella di rendere disponibile all’autorità di governo uno strumento di tutela di determinati interessi, tra cui non secondariamente proprio il modus operandi degli organismi informativi, che proprio nella misura in cui costituisce un’eccezione rispetto al generale criterio della trasparenza degli atti pubblici, va regolamentato e disciplinato nelle sue forme e nelle sue procedure soprattutto nelle relazioni con l’autorità giudiziaria e con il controllo parlamentare. Uno strumento, oggi regolato dagli articoli 39 e seguenti della legge numero 124 del 2007, oltre che da quelle sostanziali e processuali penali, che ha oggettivamente ridotto, per le ragioni espresse, il suo spazio, ma che continua a svolgere nel medesimo tempo una funzione di protezione, nel senso sopra riferito, rivestendo anche, per colui che detiene l’informazione, una connotazione di obbligatorietà, nel senso del divieto di riferire punito, se violato, dalle disposizioni penali.

Analogamente può argomentarsi, relativamente agli aspetti procedurali e processuali. Al netto delle modifiche normative – tra tutte, la legge numero 133 del 2012 – non è venuto meno il procedimento che vede l’apposizione del segreto riservata alla competenza della massima autorità di governo, mentre si è sostanzialmente ampliato il potere conoscitivo riservato al Comitato parlamentare di controllo.

Come configurato, il segreto di Stato oggi risponde più pienamente alla configurazione di strumento eccezionale posto a tutela di interessi fondamentali, delimitato temporalmente e collocato in modo equilibrato nel rapporto tra esecutivo, cui compete in via esclusiva la responsabilità delle politiche di sicurezza nazionale, parlamento e autorità giudiziaria. Permangono alcune questioni, di carattere prettamente tecnico, che riguardano prevalentemente il rapporto tra segreto e garanzie funzionali, su cui probabilmente futuri interventi riformatori potranno eventualmente intervenire.

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