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Agenti sotto copertura: passato e futuro. La storia del generale de Martini

Di Maria Gabriella Pasqualini

Nonostante gli aiuti tecnologici nel settore della raccolta informativa una human intelligence professionale è imprescindibile per valutare e analizzare il quadro di una situazione. L’intervento di Maria Gabriella Pasqualini, studiosa e docente dei servizi di sicurezza

Come ha ricordato il 22 ottobre Gabriele Carrer in un articolo, Mario Draghi, allora presidente del Consiglio, ha firmato il 5 ottobre il “regolamento recante disposizioni in materia di impiego di personale dell’Aise per lo svolgimento di attività di ricerca informatica e operazioni all’estero”, secretato: sotto copertura i criteri di scelta del personale Aise a questo fine; sotto copertura anche le modalità, le procedure e le regole d’ingaggio.

Sarebbe stato interessante vedere su quali basi, anche in termini generali, sia stato deciso l’impiego di personale già presente nell’Agenzia, peraltro ben noto a servizi informativi esteri amici e non del tutto amici. O previsione di reclutamenti ad hoc… personale formato che sappia gestire con intelligenza e professionalità la propria nuova identità? Quali i margini di iniziativa personale e quali le garanzie funzionali in questo settore? Curiosità di uno storico del settore.

Indubbiamente nel passato ci sono state figure molto particolari di agenti sotto copertura con un carattere coraggiosamente ribelle e una mente veloce, intelligente, audace. Tra questi, un appartenente ai servizi informativi di un’epoca lontana (guerra d’Etiopia, conflitto mondiale e primo post guerra): Francesco de Martini, riportato alla ribalta in un recente volumetto francese di Sylvain Chantal: Turco.

L’interesse del libro è che, oltre al già scritto sul generale de Martini (morto nel 1981, riposa nel Sacrario Militare del Cimitero del Verano in Roma), vi sono notizie particolari sulle coperture di Francesco e precisi dettagli sul suo modo di operare, narrati dal figlio Antonio, magna pars nel racconto, facendo immergere il lettore nella realtà operativa di quei tempi.

Francesco, nato a Damasco nel 1903, fu ristretto con la famiglia, durante la guerra Iialo-turca, in un campo di concentramento vicino Deir el Zhor, ai margini del deserto siriano; insperata opportunità per il giovane ribelle, che, all’età di 16 anni, decise di andare a vivere in una tribù bedù, dove approfondì la conoscenza della lingua araba, acquisendo una particolare comprensione a livello psicologico di quel mondo tribale desertico, impenetrabile spesso per gli occidentali, che gli ha permesso fino a tarda età di fare delle accurate analisi geopolitiche sulla situazione mediorientale.

Aveva quel particolare dono naturale per le lingue che lo aiutò moltissimo, soprattutto durante la seconda guerra mondiale quando poté portare a termine delle operazioni complesse, solo per la sua profonda conoscenza territoriale del mondo arabo.

Il soprannome Turco gli fu dato a Bari quando si presentò nel 1923 per il servizio militare: parlava male l’italiano e veniva da lontane terre ottomane. Pochi sanno che in Medio Oriente invece il suo soprannome fu Abba Bahr, cioè padre del mare. Abile, arruolato, fu inviato a Roma, al Forte Tiburtino.

La sua carriera di informatore iniziò nel 1927: incaricato di portare in Etiopia quell’unico Fiat 3000 (custodito al Forte), dono dell’Italia a Ras Tafari Maconnèn (futuro Hailé Selassié), consegnato il mezzo, Francesco rimase in loco per insegnare ai membri della guardia imperiale l’uso del veicolo. Era allora uno dei pochi con permesso di guida. Intanto aveva appreso un’altra lingua, l’amarico, molto utile durante la campagna di Etiopia e successivamente nel conflitto.

In occasione di un tentato colpo di stato del Capo della Guardia Imperiale, contro il Reggente Ras Tafari, Francesco ebbe una intuizione: entrare con il Fiat 3000 a Palazzo, far salire il Ras all’interno del veicolo e portarlo in salvo fuori dal recinto imperiale. Il colpo di Stato abortì. Egli fu nominato Capo della guardia imperiale e precettore dei figli del Ras.

Un incarico certamente di grande interesse soprattutto per l’addetto militare italiano, il colonnello Vittorio Ruggero, che così riceveva informazioni sensibili su quel che succedeva in alto loco e mandava preziose notizie a Roma che stava programmando l’invasione dell’Abissinia: forse la collaborazione di Francesco con il Ruggero era iniziata anche prima dell’opportuno salvataggio del Ras, considerate le rare conoscenze linguistiche dell’allora sergente maggiore?

Nel 1941, ormai tenente, dopo un breve corso formativo a Parma alla Scuola di Applicazione, de Martini fu assegnato ufficialmente all’Ufficio informazioni dello Stato maggiore del governo dell’Africa Orientale Italiana: combattente valoroso e ottimo ufficiale informatore con numerose iniziative personali, concretò successi operativi e informativi, per i quali ricevette meritate ricompense tra le quali una Medaglia d’Oro e una d’Argento al Valor Militare.

Membro del Sifar, nel 1948 diventò capo centro controspionaggio in Medio Oriente. Secondo il racconto del figlio, in realtà nei primi anni Cinquanta Francesco era ancora in attività con la famiglia a Beirut sotto copertura di rappresentante della casa automobilistica Alfa Romeo.

Un’attenta analisi dell’operatività informativa del de Martini fa ben comprendere che, tra l’altro, la conoscenza delle lingue locali e delle psicologie del territorio sul quale si opera, spesso profondamente diverse dall’identità occidentale di provenienza, contribuiscono molto al conseguimento dell’obiettivo prefissato.

È indubbio che i tempi attuali sono molto diversi: numerosi gli aiuti tecnologici nel settore della raccolta informativa ma una human intelligence professionale è imprescindibile per valutare e analizzare il quadro di una situazione costruita sugli elementi d’intelligence disponibili, con o senza copertura.

(Nella foto: il colonnello Vittorio Ruggero, a sinistra, e il sergente maggiore Francesco de Martini, Beilul 1935)

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