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Technopolicy – Cerra, la sovranità digitale europea 

Con il presidente del Centro Economia Digitale abbiamo parlato del ruolo europeo nella sfida tecnologica globale. “Noi europei siamo esaltati da questa grande capacità regolatoria e da questa abilità di essere dei pensatori. Ma abbiamo bisogno di produzione, campioni e innovazione. Serve un’azione congiunta, che sia in grado di fare da massa critica e abbattere i costi anche puntando su politiche di ricerca e sviluppo”

Technopolicy, il podcast di Formiche.net 

All’incrocio tra tech e politica, tra innovazione e relazioni internazionali, tra digitale e regolazione, abbiamo deciso di creare un nuovo “contenitore”, Technopolicy. 

Ogni settimana incontrerò esperti, accademici, manager, giuristi, per discutere di un tema specifico e attuale. Ciascuno di questi incontri diventerà un video su Business+, la nuova piattaforma tv on demand; un podcast su Spreaker, Spotify, Apple e gli altri canali audio; un articolo su Formiche.net. Perché ognuno ha il suo mezzo preferito per informarsi e a noi interessa la sostanza e non la forma. Gli episodi sono stati scritti e prodotti insieme a Eleonora Russo.

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Technopolicy – La sovranità digitale europea 

La pandemia ha riacceso i riflettori del dibattito sulla sovranità digitale europea e sul concetto di autonomia strategica. Quando si parla di sovranità e protezionismo tecnologico non si può dimenticare che il Vecchio Continente ha dipendenze strutturali sia con gli Stati Uniti sia con la Cina in una varietà di domini che spaziano dalle piattaforme digitali fino alle infrastrutture di telecomunicazione. Autonomia strategica significa, velleitariamente, autarchia? La ricerca per la sovranità digitale, inasprendo le differenze normative tra gli Stati, avrà implicazioni sulla futura competitività globale? Esiste forse un rischio di tripartizione del mondo, con delle sfere di influenza corrispondenti a delle nuove forme di sovranità digitale: Stati Uniti, Cina e Unione europea? Ne parliamo con Rosario Cerra, Presidente del Centro Economia Digitale.

Ci racconti il tuo percorso professionale?

Ho un percorso professionale e imprenditoriale nella consulenza strategica per le organizzazioni complesse, cioè le grandi corporations, le istituzioni e le associazioni. Mi sono sempre occupato soprattutto di innovazione in senso generale e della sua implementazione. In questo percorso ci sono stati due aspetti che reputo rilevanti: quello formativo, nei tempi in cui non era mainstream puntare sulla sulla multidisciplinarietà, e quello legato alla comprensione delle dinamiche che riguardano settori diversi tra loro attraverso lo studio e il lavoro con aziende che esprimono settori merceologici molto diversi.

Nel 2016, anche sulla base di questa caratteristica, ho pensato di dar vita al Centro Economia Digitale (Ced) e devo ringraziare i Presidi delle facoltà di Economia della Sapienza, di Tor Vergata, Roma Tre e della LUISS Business School che hanno da subito aderito al progetto. Siamo partiti con entusiasmo, i primi associati sono stati Leonardo, Enel e Eni. Oggi sono il presidente del Ced, che è divenuta un’organizzazione molto importante perché si occupa di definire e applicare strategie di medio-lungo periodo e proporre indirizzi di policy alle istituzioni. 

La pandemia ha innescato una serie di problemi nella supply chain globale, evidenziando alcune debolezze dell’economia moderna basata sull’interdipendenza tra grandi catene globali. Si è riacceso il dibattito sul tema della sovranità digitale e, quindi, sulla capacità degli Stati di raggiungere un certo grado di autonomia nel settore tecnologico e innovativo. Soprattutto l’Unione europea si è avviata verso la ricerca di una terza via che incrocia lo scontro tecnologico Usa-Cina. Cosa è cambiato in questi anni? La sovranità digitale è un obiettivo davvero raggiungibile per l’Europa? 

Oggi l’aspetto più evidente della ricerca europea di una maggiore sovranità digitale è la  sua capacità e conseguente attività regolatoria. L’Ue è infatti un modello in quest’ambito, anche grazie al Gdpr che è diventato un benchmark in termini di tutela della privacy e dei dati personali. Il vero problema, invece, è che l’Europa è oggi schiacciata da due giganti in ambito tecnologico: gli Stati Uniti che sono gli inventori dell’economia digitale e la Cina che si è posta l’obiettivo di essere entro il 2030 la leader mondiale in questo campo.

Noi, come europei, abbiamo dormito e ci siamo persi la prima ondata dell’Ict e ora rischiamo di perderci anche la seconda che è caratterizzata dalla gestione e la capitalizzazione di una gigantesca mole di dati. Dati che sono necessari per l’Industria 4.0 e per i sistemi IoT. E l’Europa è molto indietro da un punto di vista di produzione tecnologica e di creazione di campioni intesi come eccellenze. Per descrivere questa situazione, mi piace fare questo esempio. Immaginiamo di scendere in campo a vedere una partita e fingiamo che le due squadre siano Cina e Stati Uniti. L’arbitro non può che essere europeo. Però, ad oggi, non c’è nessuno che tifa per l’arbitro o che compra la sua maglietta. In nessuna partita, alla fine, l’arbitro vince.

La sintesi è che noi europei siamo esaltati da questa grande capacità regolatoria e da questa abilità di essere dei pensatori. E questa attitudine finisce per essere una panacea: regolando i sistemi innovativi e digitali si arriva a pensare di non aver bisogno della produzione tecnologica e di veri campioni europei. 

Come facciamo a puntare sull’innovazione e sui campioni europei per non farci trovare impreparati per questa seconda ondata tecnologica? 

Sicuramente per anni ci siamo trovati in una sorta di Far West per cui le innovazioni venivano regolate molto dopo il loro ingresso sul mercato. E questo ha portato l’Europa a investire e a concentrarsi molto, troppo, sulla regolamentazione. Si arriva quindi al paradosso per cui  l’Europa è diventata un campione di regolamentazione e un nano di produzione economica, pur avendo tutte le capacità per essere molto più di un Paese come la Cina.

A mio avviso il primo punto debole su cui lavorare è la frammentazione. In Europa esiste un problema di segmentazione sul fronte della dimensione delle imprese. Si costruiscono e si punta, cioè, sui campioni nazionali piuttosto che europei. 

Il percorso della sovranità in ambito digitale segue un modello che io definisco “a rastrello” per cui se un attore ha un solo dente e tira non riuscirà a portarsi dietro granché.  In questo momento il nostro unico dente è la regolazione. Per diventare davvero campioni dobbiamo certamente aggiungere una serie di altri denti che sono inevitabilmente legati alle politiche industriali che, in Europa, devono essere per forza di cose cooperative. Un’azione congiunta, insomma, che sia in grado di fare da massa critica e abbattere i costi anche puntando su politiche di ricerca e sviluppo che abilitino l’accesso al mercato alle Pmi. D’altronde, noi abbiamo già esempi di campioni in Europa, penso al Cern e ad Airbus che sono nati con queste logiche e che sono oggi delle realtà internazionali molto importanti. Dobbiamo iniziare a usare gli altri denti del rastrello altrimenti continuiamo a fischiare i falli. 

Qual è secondo te il modo migliore per regolamentare tecnologie come intelligenza artificiale e Cloud che permette di non comprimerne il potenziale innovativo?

Rispetto alla “miglior” regolazione possibile vedo due temi. Il primo, che non è stato ben interiorizzato da tutto il sistema europeo, è l’idea di essere un mercato molto grande. Si tratta di un aspetto che non è necessariamente un punto di forza strutturale, ma è uno dei punti di forza. Una condizione che rende la sovranità difficilmente applicabile. L’altro si riferisce a quello che dice Pascal e cioè che l’errore arriva sempre dall’esclusione. Quando noi realizziamo processi decisionali in cui escludiamo per incapacità e per prevenzione l’ascolto delle componenti economiche reali è evidente che stiamo commettendo un errore. 

Gaia-X è uno dei tentativi più ambiziosi nel percorso di definizione della sovranità digitale europea. Ci spieghi meglio come funziona questo cloud pan-europeo? Quali sono i modelli di cloud ottimali per un sistema come l’Europa e l’Italia?

Tra le peculiarità di Gaia-X c’è sicuramente il fare delle differenze una punto di forza. Hanno aderito più di 350 aziende a questo progetto che, in pratica, realizza processi di architettura cloud ed edge computing su base nazionale con una condivisione dei sistemi di governance, delle best practices, dei modelli e naturalmente dei valori europei. 

Da questo punto di vista si tratta di una grande opportunità. In Italia hanno oggi ci sono on board più di 60 aziende e sono tutte le più grandi tenendo anche conto che noi siamo la terza nazione dopo Germania e Francia ad aver promosso Gaia-X.  Naturalmente alla base del progetto c’è la sovranità dei dati che sono il motore del futuro. Gestione e proprietà del dato vuol dire che il cittadino deve poter controllare pienamente il dato stesso e deve poter decidere chi vi accede, deve poi poterlo trasferire e deve poter auspicabilmente farlo circolare attraverso entità europee che lo valorizzino. Gaia-X intercetta questa logica aprendosi le proprie “porte” alle Big Tech americane e non solo. Basti pensare che oggi c’è un hub nazionale in Corea del Sud. In Italia, invece, è stato aperto il primo hub nazionale nel dicembre del 2021 con una spinta alla collaborazione tra gli stakeholder attraverso i competence centers e l’individuazione delle aree industriali. 

Questo cloud pan-europeo è certamente uno dei mattoni della nostra capacità di realizzare una data economy. Proprio per quest’importanza ora spetta alle istituzioni gestire e promuovere questo progetto prontamente. Io personalmente individuo due limiti: il coordinamento, che è oggettivamente complesso vista la quantità di attori, e le tempistiche europee non proprio velocissime. 

Ci consigli qualcuno da leggere o seguire?

Consiglio in ambito economico il Centro Economia Digitale anche per la sensibilità e la competenza dei principali soci. Sul tema della sovranità tecnologica  abbiamo scritto un libro lo scorso anno e lo seguiamo tutt’ora con aggiornamenti periodici. Per quel che riguarda le dinamiche politiche e geopolitiche, invece,  consiglio ISPI. Sul piano europeo il mio consiglio è di seguire e monitorare le attività (e anche gli account social) del Commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton. Infine, lato media consiglio Formiche che affronta sia attraverso l’online che con le produzioni cartacee il tema della sovranità tecnologica da diversi punti di vista e prospettive. 

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