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La tecnologia Made in Italy viaggia nel mondo e batte i record. Parla Marco Tripi (Almaviva)

Mentre parliamo di sovranità digitale, tocca ricordare che in Italia ci sono solo due grandi aziende Ict a guida e controllo italiano. Una è Almaviva, che quest’anno supererà la soglia di un miliardo di fatturato e registra ordini da Usa, Regno Unito, Finlandia, Arabia Saudita, Belgio, Svizzera. Persino dal ministero della Giustizia in Tanzania. Mantenendo sempre testa e attività in Italia, dove ha 44 sedi e quest’anno assumerà mille persone. Abbiamo chiesto a Marco Tripi come si fa a investire e crescere in questi tempi complicati

Quante sono le grandi aziende dell’Information and communication technology (Ict) a guida e controllo italiano? Tenendosi bassi, si potrebbe dire 20, forse 10? In realtà sono due. In questi anni di golden power, sovranità digitale, autonomia strategica, è notevole registrare che il 90% del nostro mercato Ict è dominato da aziende a controllo straniero. Anche perché non accade in nessun altro Paese occidentale. L’italianità ovviamente non è un valore per se, le idee e l’innovazione non hanno passaporto, ma conta qualcosa quando un imprenditore può investire a medio-lungo termine, sviluppare conoscenze “ancorate” sui territori, assumere più dipendenti nel nostro Paese.

Nel restante 10% c’è il Gruppo Almaviva, che non solo resiste ma si appresta a chiudere il 2022 con un fatturato che supererà per la prima volta il miliardo di euro. I conti, che il gruppo ha appena presentato agli analisti, registrano un margine operativo cresciuto di sei volte in cinque anni (+25% sul 2021). Il backlog di ordini vale tre volte e mezzo i ricavi, un parametro record non solo in Italia ma a livello europeo. S&P ha appena alzato il rating a BB-, e la forza lavoro è aumentata in media di 500 persone l’anno, mentre nel 2022 i nuovi assunti saranno più di mille. Quindi, come diceva Gene Wilder in Frankenstein Junior, “si può fare”. Ma come? L’ho chiesto a Marco Tripi, l’amministratore delegato.

Siete un’azienda tecnologica “Made in Italy”, come è stato appena ribattezzato il ministero dello Sviluppo economico. C’è davvero un valore aggiunto nel controllare il 96% del gruppo e guidarlo dall’Italia?

Non c’è una ricetta teorica perfetta, ma essere allo stesso tempo manager e imprenditori di un’azienda a guida familiare (Alberto Tripi, il padre, ne è fondatore e presidente, ndr) ci permette, se serve, di cambiare strategia rapidamente, seguendo l’evoluzione del mercato e le crescenti esigenze di digitalizzazione, mantenendo comunque un’ottica di lungo periodo. Abbiamo una solida base di know-how che ci permette di proiettarci anche all’estero.

Vi occupate principalmente di innovazione digitale, sicurezza dei trasporti, Intelligenza artificiale. All’estero allargate lo sguardo su altri campi?

Abbiamo due direttrici principali: o investiamo nei settori in cui siamo esperti, o nei due mercati che conosciamo meglio, cioè Italia e Brasile, dove siamo presenti da molti anni. Non ci “buttiamo” in mondi diversi dai nostri solo perché potenzialmente redditizi. Abbiamo vinto gare e appalti, tra gli altri, nel Regno Unito, in Finlandia, Arabia Saudita, Belgio, Svizzera. Una commessa importante è appena arrivata da Washington, nel settore del trasporto ferroviario nel quale siamo leader. Ma se siamo forti in un campo, come quello dell’Intelligenza artificiale, possiamo affrontare anche mercati meno scontati: è di questi giorni il contratto con il ministero della Giustizia della Tanzania per automatizzare trascrizioni e traduzioni delle sedute processuali in swahili e inglese.

Dalla Tanzania alla provincia italiana: qui avete 44 sedi, da Trento a Catania. La pandemia, tra i suoi effetti, ha cambiato il modo di lavorare. Non parlo dell’immagine idilliaca dello smart working in qualche borgo abbandonato e rivitalizzato, ma della possibilità di restare a vivere nel proprio territorio e andare a lavorare in un centro che non sia Roma o Milano (o Londra, o Singapore).

Molti dei nostri dipendenti, soprattutto chi non lavora nelle grandi città, sono contenti di avere un ufficio fisico dove recarsi, incontrare i colleghi, scambiarsi idee, consolidare uno spirito aziendale. Chi deve fare un’ora nel traffico, invece, preferisce avere più flessibilità e lavorare da remoto in certi giorni. Anche in questo, gestendo direttamente i processi aziendali possiamo adattarci in modo totalmente flessibile alle esigenze di chi lavora con noi. Il nostro modello organizzativo ibrido ci permette di puntare molto sulle aree interne e sul Mezzogiorno, eppure siamo attrattivi anche all’estero: cresce la quota di stranieri che fa domanda per lavorare da noi.

Parliamo di criteri Esg. Quest’anno sono stati pubblicati degli studi che in alcuni casi hanno certificato tante chiacchiere ma poca sostanza.

Noi puntiamo su una cultura di impresa “responsabile” da molti anni. Nel 2015 siamo stati una delle prime aziende a riconoscere parità dei congedi matrimoniali alle unioni civili. Nei nostri consigli di amministrazione almeno il 45% dei componenti sono donne. Quest’anno pubblicheremo il nostro primo bilancio di sostenibilità, e i certificati che otteniamo non sono semplici adempimenti ma la prova di un lavoro di integrazione e valorizzazione di attività con impatto positivo sull’ambiente e la società. Come le nostre Academy in azienda, le collaborazioni con le università.

Essere investitori di lungo periodo vi ha dato il tempo e il “lusso” di dedicare tre anni allo sviluppo di una vostra piattaforma proprietaria, Moova, per il settore dei trasporti. In pratica, siete passati dall’essere system integrator a società di prodotti e servizi. E ora quali sono i prossimi passi?

Abbiamo una importante disponibilità finanziaria per acquisizioni e ne stiamo facendo alcune mirate in Italia, nell’alta tecnologia. In questi mesi abbiamo investito in una fintech brasiliana, in due società di trasporti e due di Intelligenza artificiale. Tutto in ottica imprenditoriale, non da fondo di investimento. Certo, diversificare ci permette di essere più tranquilli in un contesto che cambia molto velocemente. Ma, diversamente da altri, non abbiamo intenzione di vendere, bensì di reinvestire e di crescere ancora, per riportare l’Italia a essere una forza anche in campo tecnologico.


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