C’è un ripetuto uso “a fini privati” del social, una visione personalistica e ombelicale che trascura clamorosamente la natura di ogni piattaforma. Il cuore pulsante dell’algoritmo non è il codice sorgente, come si potrebbe esser portati a credere, ma è la comunità degli iscritti a pompare sangue nelle arterie. Il commento di Domenico Giordano (Arcadia)
*Aggiornamento: con il 51,8% dei voti favorevoli, il profilo di Donald Trump è stato riattivato da Elon Musk. Per ora ancora non ha twittato nulla, l’ultimo cinguettio risale all’8 gennaio 2021, due giorni dopo i fattacci del Congresso che portarono alla sospensione. Da allora, l’ex presidente ha investito (e fatto investire varie decine di milioni) nel social Truth: un suo ritorno su Twitter farebbe precipitare il valore del suo gruppo mediatico. Come si comporterà?
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Mancano poche alla chiusura del sondaggio che Elon Musk ha lanciato ieri pomeriggio dal suo account Twitter per chiedere agli utenti e ai follower se la piattaforma dovesse riammettere o meno l’ex presidente Donald Trump. Il profilo di Trump, vale la pena di ricordare, venne prima sospeso e poi definitivamente cancellato all’indomani dell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio dell’anno passato.
Twitter, la cui governance non aveva ancora subito la recente lobotomizzazione muskiana, scelse di cancellargli l’account accusando Trump di aver violato le regole della policy sull’incitamento alla violenza: “dopo aver revisionato i più recenti tweet di @realDonaldTrump e averli contestualizzati, analizzando come vengono recepiti e interpretati su Twitter e fuori, abbiamo deciso di sospendere permanentemente l’account per evitare ulteriori rischi”.
Una scelta, peraltro, non isolata che accomunò anche Meta che sospese “indefinitamente” i profili su Facebook e Instagram e Google per l’account attivo all’epoca su Youtube.
Al momento, il sondaggio ha raccolto oltre 10 milioni di voti e vede una leggera preminenza di coloro che sono favorevoli alla riammissione, siamo con un trend consolidato del 52,3%, contro gli iscritti che hanno invece espresso un voto contrario, fermi al 47,7%.
Probabilmente, il risultato conclusivo non ribalterà le attuali proporzioni tra le due comunità militanti fornendo a Musk il pretesto “democratico” per riaprire le porte di Twitter all’ex presidente. Oltretutto, con un tempismo per nulla casuale considerando che il sondaggio segue in perfetta sincronia l’annuncio della ricandidatura alle presidenziali del 2024 fatto dallo stesso Trump dalla sua residenza di Mar-a-Lago in Florida.
Però il sondaggio di Musk, al di là dell’esito che ne rappresenta la parte meno interessante e importante, è un nuovo passo verso quel processo di profonda trasformazione in senso privatistico della piattaforma, avviato dalla fine di ottobre.
C’è un evidente e ripetuto uso “a fini privati” del social, una visione personalistica e ombelicale che trascura clamorosamente la natura e l’essenza ontologica di ogni piattaforma. Il cuore pulsante dell’algoritmo non è il codice sorgente, come si potrebbe esser portati a credere, ma è la comunità degli iscritti a pompare sangue nelle arterie. Ed è questa l’inspiegabile sottovalutazione che Elon Musk ha compiuto dall’inizio della sua recente avventura in Twitter e che porta avanti ancora oggi.
La comunità degli iscritti deve sentire propria la piattaforma, con la quale costruisce e coltiva un rapporto simbiotico e amniotico. Un sentire atomizzato e olistico al tempo stesso che se perde consistenza, come purtroppo sta avvenendo, rischia di spegnere l’intelligenza dell’algoritmo.
Questo rischio si appalesa, ad esempio, quando Musk impone gerarchicamente e in modo padronale ai follower di abbonarsi pagando 8 dollari al mese conservare la spunta blu, cioè quello status che prima non solo era gratuito, ma che è stato creato ascoltando le opinioni della comunità. Oppure, quando minaccia, come ha fatto ancora di recente, di chiudere tutti gli account parodia o, ancora, quando invita gli elettori americani indipendenti di andare a votare per i candidati repubblicani alle elezioni di mid-term.
Il pericolo più grave e meno evidente di questa curvatura dell’info-sfera social di Twitter non è per il modello democratico e neanche per la salubrità dei processi decisionali. In verità, la personalizzazione della piattaforma, a immagine e somiglianza del suo proprietario, potrebbe avere come inattesa conseguenza un esodo massiccio verso nuove isole social, perché spendendo 44 miliardi di dollari Elon Musk ha acquistato solo un algoritmo e non certo i follower.