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Come Xi Jinping vorrebbe raccontare la sua Cina al mondo

Il viaggio di Scholz in Cina ha riportato l’attenzione sull’immagine che Pechino vuole dare di sé all’estero. Una potenza pacifica e stabilizzatrice dell’ordine internazionale, come quando dice che le armi nucleari non possono essere utilizzate in Ucraina. Ma dalle relazioni con Taiwan alle tensioni geopolitiche che coinvolgono tutto il sud-est asiatico, fino ai problemi interni, il compito non è semplice

L’incontro tra il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente cinese Xi Jinping ha riacceso i riflettori sul tema dell’immagine che la Repubblica Popolare vuole dare di sé stessa al resto del mondo, con Pechino impegnata in uno sforzo internazionale in tal senso.

Da quando Xi è in carica, la popolazione cinese è stata sempre più isolata sia culturalmente che fisicamente dalle influenze esterne, ma, al contrario, il suo presidente ha ripreso a viaggiare dallo scorso settembre, dopo la pandemia. Prima il forum di Samarcanda, il vertice della Shanghai Cooperation Organization, poi l’incontro con Scholz; tra una settimana il G20 a Bali e successive tappe in Cambogia e Vietnam, oltre al summit Tailandese della Asia-Pacific Economic Cooperation.

Insomma, un’agenda internazionale piuttosto fitta. Scholz è arrivato a Pechino nel pieno delle controversie riguardanti la cessione di una parte del porto di Amburgo a operatori cinesi. Verosimilmente, il cancelliere ha discusso con la controparte delle future relazioni commerciali tra i due Paesi in un momento in cui gli Stati Uniti chiedono ai propri alleati di sciogliere i legami con la Cina. Ma il risultato che qui ci interessa è il fatto che Xi abbia per la prima volta preso pubblicamente posizione sulle minacce nucleari russe in Ucraina.

La comunità internazionale – che per Xi significa la Cina, gli Usa e in secondo luogo altri Paesi minori – dovrebbe “fare pressioni perché le armi atomiche non vengano utilizzate, perché una guerra nucleare non sia scatenata, per prevenire la catastrofe nucleare”. L’intervento stona con i moniti statunitensi secondo cui Pechino sarebbe in un abbraccio sempre più intimo con Mosca. Ma in ogni caso segnala che il segretario generale del Pcc vuole dare un’immagine della Cina come potenza stabilizzatrice dell’ordine internazionale, e si dà da fare in questo senso.

L’ultima notizia è quella, poco rassicurante, del presidente in tenuta mimetica che afferma che la Cina si trova “in una posizione di instabilità e incertezza” e deve prepararsi a “vincere una guerra”. Lo scatto apparso sul Quotidiano del Popolo è probabilmente una risposta alle affermazioni del presidente Joe Biden sul non voler fare concessioni su Taiwan, e sembra possibile derubricarla a propaganda interna.

Non sarebbe la prima volta che Xi Jinping alterna il bastone e carota in un mondo che sempre più si delinea come bipolare, diviso tra il campo atlantico e quello cinese, in cui nessuno dei due attori vuole lo scontro frontale con l’avversario (o con il “rivale sistemico” nella definizione della Strategia di Sicurezza Nazionale statunitense). Dunque si compensano le pesanti minacce a Taiwan con discorsi sul non-utilizzo del nucleare; si supporta la Russia nei fori internazionali e acquistandone le materie prime, ma si inviano lettere dai toni melliflui alle riunioni del National Committee on Us-China Relations.

C’è poi un’ulteriore considerazione da fare, e riguarda la storia personale di Xi Jinping. L’attuale presidente ha costruito la propria immagine sulla falsariga di quella di Mao Tse Tung. Gli epiteti, la ritualità pubblica, le politiche economiche, l’ascesa cinese e ora la riconferma del terzo mandato sono gli elementi che lo fanno accostare al Grande Timoniere.

Ma Xi non è Mao, la gigantesca differenza tra i due è l’origine del potere. Mao derivava il proprio potere dalle masse povere contadine e ha scatenato il caos della Rivoluzione Culturale anche per colpire i propri nemici, mentre Xi proviene dall’élite del Partito, in cui ha sfruttato i legami familiari per fare carriera. Questo elemento non è da sottovalutare quando si pensa alle propensioni caratteriali del leader, probabilmente poco incline a scatenare fenomeni come le purghe in stile maoista.

Certo, la strada da fare per ripulire l’immagine è piuttosto lunga. L’attuale leadership ha ricevuto pesanti critiche internazionali per avere taciuto sull’epidemia di Covid-19 nel 2019-2020 e poi per la sua gestione recente con la zero Covid policy. Quasi tutti i Paesi confinanti, forse a eccezione di Cambogia, Bangladesh e Corea del Nord, soffrono l’ingombrante presenza del vicino, con l’intera regione asiatica zeppa di dispute territoriali e marittime. Per non parlare della competizione tecnologica con gli Stati Uniti che ha assunto toni da guerra fredda.

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