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Come i Balcani potranno contare sull’Italia. Scrive Politi

Se su di noi possono contare, come ha detto Meloni al summit di Tirana, vuol dire che quando ci diranno “ho bisogno” noi dovremo essere in grado di rispondere. In quel caso potrebbe aprirsi una stagione molto interessante anche perché c’è chiaramente un vuoto europeo. L’intervento del direttore della Nato Defense College Foundation

I Balcani possono contare sull’Italia, ha detto il premier Giorgia Meloni in occasione della Conferenza di Tirana. Come rispettare questa parola data? Innanzitutto noi abbiamo leve politiche, soprattutto all’interno dell’Unione, per appoggiare tutti gli sforzi in materia di progressi nell’integrazione. Quindi noi dobbiamo far parte di quella pattuglia di Paesi che vogliono fermamente l’integrazione dei Balcani. Questo significa non solo fare una petizione di principio, ma sviluppare una comunicazione strategica che sappia parlare anche ai nostri partner europei più perplessi, a cominciare, per esempio, dalla Francia o dal Lussemburgo. Non basta dire “adesso dobbiamo farlo”, ma occorre spiegare come l’Italia intenderà agire per i Balcani insieme ai partner europei.

Del tema si discuterà nel seminario promosso dal NATO Defense College Foundation a Roma il 7 dicembre prossimo, dal titolo “Balkan and Black sea Perspectives 2022”.

Promesse e azioni

Quindi, ogni volta che l’Onorevole Meloni parla, non si rivolge più alla sua platea di casa, ma a tutta l’Europa come minimo. Inoltre significa agire all’interno del Consiglio europeo, agire all’interno della Commissione, dedicare i fondi, dedicare energie e personale qualificato italiano nell’assistere questi Paesi, pagandolo in modo congruo e puntuale.

Questo impegno si traduce in un’azione da condurre nelle istituzioni europee dove poi si decidono i tempi e le modalità: ovvero sostenere non solo economicamente i Paesi in questione, ma affiancarli nel negoziare in modo adeguato i capitoli che restano da chiudere, perché l’adesione non è un cammino a senso unico. Ovvero non è una concessione dall’alto, ma occorre una spinta, una pressione, una moral suasion dietro le quinte perché certe cose accadano e non siano lasciate, come dire, alla dinamica dei potentati locali: in questa direzione l’Italia può fare molto di più di quello che fa.

Sostegno alle Pmi

Le nostre imprese, anche le piccole e le medie, non devono essere lasciate sole, ma adeguatamente sostenute: non dovremmo inventarci alcunché di nuovo, soltanto mettere in pratica buone prassi, così come altri fanno. Questo non vale soltanto per i grossi attori, ma sarebbe utile rinforzare la nostra presenza operativa diplomatica in questi Paesi anche per le Pmi, che rappresentano la maggioranza del tessuto italiano. Penso ad azioni che riportino gli strumenti delle varie politiche estere italiane a regime, cioè ad esempio che le ambasciate non siano sotto organico.

Questo significa l’insieme delle persone che ruotano intorno all’ambasciata, quindi addetti militari, rappresentanti di polizia, addetti commerciali che sappiano muoversi. Se vogliamo cambiare paradigma, dobbiamo fare una politica che non è silente sulle grandi questioni, né comunica solo per qualche titolo in più, ma perché vuole dare un messaggio dietro cui c’è l’azione dello Stato italiano.

Impegni e rischi

Ovviamente un maggiore impegno porta in grembo anche un maggiore rischio, il che implica non “pigliarsi delle responsabilità”, bensì affrontarle. Le responsabilità non sono un self-service, ma sono la conseguenza di scelte politiche fatte. Se i Paesi dei Balcani possono puntare sull’Italia e su di noi possono contare, vuol dire che, quando ci diranno ‘ho bisogno’, noi dovremo essere in grado di rispondere. In quel caso potrebbe aprirsi una stagione molto interessante anche perché c’è chiaramente un vuoto europeo. La prova del nove non è data solo dagli investimenti, ma dalla direzione politica che indirizzerà quei soldi.

Alla luce di questo elemento e alla luce del macro scenario complessivo, sarà utile gestire, sia dal punto di vista UE/Nato ma anche dal punto di vista italiano, le penetrazioni balcaniche di Paesi esterni come Russia e Cina.

Tensioni

E prima dell’esterno dobbiamo curare l’interno. C’è una tensione interna all’Alleanza tra Turchia, Stati Uniti, Grecia. La politica italiana può servirsi della diplomazia e di altri strumenti per cercare di aiutare i diversi alleati ad arrivare a un punto di maggiore concordia. Magari ci sono problemi che non sono risolvibili, ma un conto è aspettare che due persone spengano l’auto in fiamme da soli, un conto è passare loro un secchio d’acqua. Si tratta di passaggi che vanno fatti fuori dai riflettori e senza darne conto sui social.

Questo aiuterebbe molto perché l’Italia è un Paese che ha un capitale politico tanto con i greci quanto con i turchi, quanto con gli Stati Uniti. Abbiamo inoltre dei crediti da spendere: quando qualcuno dice che l’Italia è una media potenza e conta politicamente meno dei cosiddetti grandi europei, sta mantenendo un alibi. C’è un interesse nazionale che va difeso, asserito e va promosso anche con gli alleati. I turchi, ad esempio, non si sono mai posti il problema di essere isolati: quando rompono il consenso, lo rompono e basta. La loro diplomazia sa che cosa significa avere un’assertività imperiale ed è meno complicato da fare di quanto si tema.

Diplomazia italiana

Per bisogna fare in modo che greci, turchi e americani abbiano la possibilità di ridurre questa divaricazione. La Turchia è un alleato importante della Nato ed è un alleato che ha fatto molto non solo per la Nato, ma anche per gli interessi occidentali in senso lato. Lo ha fatto in Ucraina, lo ha fatto in Siria, lo ha fatto anche in Libia, rispondendo ovviamente ai suoi interessi nazionali, al suo stile di politica interna… su questo siamo tutti d’accordo. Però, come dire, è inutile che arrivi qualcuno a dire che i turchi non si comportano da vero alleato: perderemmo di vista la strada maestra della coesione alleata, sorvolando su altri comportamenti che sono stati altrettanto inutili e a volte hanno portato a conseguenze più gravi.

Ad esempio, il riconoscimento non concordato di Slovenia e Croazia danneggiò a suo tempo l’Europa e la Nato. Allora sì, certo che ci sono dei problemi tra alleati. Queste cose, nei modi e nei tempi opportuni, si possono discutere. Se certa stampa internazionale dipinge i turchi come se fossero il male assoluto, non è rispondente ai fatti. È vero che minacciano sulle isole dell’Egeo, impediscono le esplorazioni energetiche con navi da guerra e continuano ad avere rapporti con Putin, ma sono anche loro che mantengono chiusa la rotta balcanica. Quindi, nella valutazione, bisogna valutare il complesso.

L’arte della politica e della diplomazia fa sì che la controparte alla fine venga a metà strada e in questo modo le cose già potranno cambiare. Aggiungo che la Turchia fa parte integralmente dei Balcani, per tradizione storica e per presenza indiscutibile: per cui più noi riduciamo le nostre divergenze, più togliamo spazio alle influenze negative.

Kosovari con visti

A proposito di esserci: fare in modo che i kosovari abbiano il visto europeo sarebbe un passo importante e noi italiani potremmo sostenere la presidenza ceca dell’Unione. È un modo concreto di dire che agiamo per i Balcani. Per vent’anni, dal 1999 ad oggi, abbiamo tenuto questi Paesi fuori e sono stati per noi un peso. Forse, cambiando politica, diventeranno un peso minore e la prova controfattuale è chiara a chiunque: se non avessimo avuto in Italia la Cassa del Mezzogiorno, adesso cosa sarebbe il nostro sud? In condizioni altrettanto gravi quanti altri Sud nel mondo.

Quindi il Governo farà le sue scelte, contrastando le mene russe e gestendo la relazione con la Cina in quello scacchiere in modo concreto, professionale ed equilibrato, visto che il 17+1 con Paesi dell’Europa centrale e sudorientale sta perdendo colpi. Abbiamo un ruolo, mezzi e stazza, basta che il comandante desideri reggere il timone verso la rotta scelta.

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