Pubblichiamo un estratto della biografia di Francesco Merloni, “Il secolo dello sviluppo”, di Giorgio Mangani (ed. Il lavoro editoriale), in cui si racconta l’avventura asiatica del gruppo marchigiano. Partendo da un convegno dell’Asean del 1978, passando per l’apertura di uffici a Singapore e Hong Kong, fino alla produzione in loco a partire dal 1997. I successi e i problemi: 25 anni per vedersi riconosciuto il diritto a non subire il mercato delle contraffazioni…
Ancora prima di consolidare la leadership nel mercato europeo la Merloni Termosanitari si era avventurata nell’esplorazione delle opportunità di sviluppo offerte dal mondo asiatico. È una delle prime aziende italiane a farlo e in questo orientamento pesa in qualche misura l’attenzione culturale ed economica per quei paesi di Francesco Merloni, che lo porterà più tardi a costituire l’“Osservatorio Asia” dell’Arel.
Nel 1967 cinque paesi del Sud-Est asiatico, Indonesia, Thailandia, Malesia, Singapore e Filippine, avevano creato l’Asean (Associazione delle nazioni del Sud Est Asiatico) come organismo intergovernativo rivolto a promuovere gli scambi, la crescita economica e la collaborazione reciproca nella fase geopolitica più difficile per quella regione, coinvolta dal 1970 da numerose crisi. La difesa dal pericolo comunista era certamente uno dei collanti che portarono, nel 1992, dopo la stabilizzazione, a creare un’area di libero scambio e all’ampliamento del network a dieci paesi (con l’aggiunta, cioè, di Myanmar, Cambogia, Laos, Vietnam, Brunei).
Il modello che l’Asean voleva imitare era la Comunità Economica Europea e Merloni, da sempre europeista e sostenitore del libero scambio, seguì l’evoluzione del progetto con molta attenzione.
Dal 1995 si registra nelle relazioni ai dirigenti del Gruppo con sempre maggiore frequenza l’intenzione di investire a Est. Ma è già a fine anni Settanta che questo orientamento ha preso corpo. Prova del vivo interesse per questa regione del mondo è la proposta di legge 125 del 21 giugno 1979 che Francesco Merloni, insieme ad altri, presenta alla Camera dei Deputati per offrire assistenza e diritto di asilo ai profughi della guerra del Vietnam, conclusasi nel 1975.
“Nel 1978 – ricorda Merloni – partecipai a un convegno promosso a Giacarta, la sede dell’Asean, in Indonesia, da alcune banche italiane, nel quale feci la scoperta del vivace sviluppo delle economie della Corea, del Giappone, della Thailandia e della Cina. Avevano chiaramente bisogno di tecnologie europee, ma rappresentavano anche un mercato enorme”. Nel 1990 viene sperimentata una joint venture con la coreana Hyundai per la produzione di vasche da bagno in acciaio, iniziata nel 1992. Viene anche creato uno stabilimento a Seul, in Corea del Sud, ma poi l’orientamento si muove verso una presenza più diretta in Cina e in Vietnam.
“Sicché decidemmo, ricorda Merloni, di aprire un ufficio a Singapore con un paio di persone che cominciarono a girare per quei Paesi. Inizialmente l’obiettivo era vendere i nostri prodotti esportando attraverso Hong Kong, dove arrivammo a vendere trecentomila scaldabagni l’anno, ma si capiva bene che i costi di trasporto e le complessità doganali impedivano di sviluppare un mercato remunerativo. Bisognava quindi trovare il modo di produrre in loco”.
“La prima fabbrica fu così creata in Cina in un Parco industriale di proprietà di Singapore, a Wu Xi, 140 km da Shanghai, inaugurato nel 1999, dopo aver utilizzato dal 1997 uno stabilimento preso in affitto. Si può dire che fummo dei pionieri. Il problema era che i nostri prodotti venivano replicati, persino con il nostro marchio contraffatto, da altre aziende locali che li copiavano senza la possibilità di far valere legalmente le nostre ragioni”.
Questa tutela giuridica arriva infatti molto tempo dopo, solo nel 2011, quando il Tribunale di Shanghai ha riconosciuto ad Ariston Thermo la “high reputation” che dà diritto al marchio di essere tutelato dalle contraffazioni, condannando la ditta concorrente che l’aveva commercializzato in maniera illegale. Ma succede dopo venticinque anni di presenza nel mercato cinese.
L’avvicinamento precoce a questo mercato dà comunque alla Merloni un vantaggio competitivo, che è soprattutto cognitivo e culturale: acquisire la capacità di comprendere una cultura diversa ed un ordinamento giuridico-commerciale lontano dai modelli occidentali.
Il 17 maggio 2007, in occasione del meeting di Confindustria ceramica a Sassuolo sul tema “Si può vendere in Cina?”, Francesco Merloni racconta quanto la Merloni Termosanitari ha imparato, dopo venti anni, del mercato edilizio cinese, cui si indirizzano i propri prodotti per riscaldamento.
Il cosiddetto real estate cinese – chiarisce Merloni – ha abitudini molto diverse da quelle occidentali. Si compone sostanzialmente di tre segmenti che corrispondono a diversi tipi di offerta. L’undecorated prevede l’acquisto delle sole mura degli appartamenti, che dovranno essere completamente dotati di impianti dopo l’acquisto; il semidecorated, nel quale sono già disponibili gli impianti principali (riscaldamento, acqua, elettrico) e il fully decorated, che corrisponde alla versione “chiavi in mano”, le cui dotazioni vengono però concordate con il cliente in corso d’opera. Come si può immaginare, il primo modello è quello più economico e diffuso (circa il 75% del mercato), il secondo pesa per il 20%, il terzo solo per il cinque.
Queste abitudini di acquisto impongono di organizzare le vendite non solo nei confronti delle aziende e dei professionisti, ma anche nel settore cosiddetto retail, che offre le diverse tipologie di apparecchi ai consumatori in grandi catene distributive che filtrano la maggioranza degli ordini. Nel caso degli scaldacqua per l’80% dei volumi.
Questo spiega l’attenzione della Merloni non solo per la produzione e l’innovazione, ma anche per la distribuzione e i servizi postvendita. È comunque abbastanza chiara la necessità di conoscere i comportamenti culturali e le abitudini locali. Lo scambio culturale e cognitivo funziona però da entrambe le parti.
Nel 1999 comincerà infatti la fase di formazione tecnica di alcuni lavoratori cinesi che viene fatta in Italia, mentre viene creato in Cina un centro di progettazione che consente allo stabilimento di essere autonomo nella produzione e di gestire anche i componenti.
C’è anche una non trascurabile ricaduta sulla cultura locale. La Merloni Termosanitari introduce in Cina, infatti, uno strumento fino a quel momento sconosciuto: lo scaldacqua elettrico di piccole dimensioni e portata, inizialmente di dieci/quindici litri, poi ampliati a ottanta, che diventa non soltanto un prodotto di successo, ma assume proporzioni prometeiche portando l’acqua calda a un mondo contadino di enormi dimensioni che non aveva mai avuto prima la possibilità di usufruire di questo servizio, fino a quando gli scaldacqua erano alimentati a gas e quindi limitati ai centri urbani.
Lo stabilimento cinese produce e vende, nel 2003, oltre cinquecentomila scaldacqua portando la Merloni al secondo posto nel mercato cinese in poco tempo, con un fatturato in Cina, nel 2004, di decine di milioni di euro, offrendo anche una capillare rete di distribuzione e di assistenza.
Lo stabilimento del 1999 viene poi ampliato tre volte (nel 2002, nel 2005 e nel 2007), con un investimento nel 2005 di trentasei milioni di euro, arrivando ad avere millecinquecento dipendenti e a coprire, alla fine, novantamila metri quadrati. Dal 2001 la produzione degli scaldacqua si amplia ai componenti elettrici, i collettori solari, le caldaie murali di fascia più alta, preparandosi alla nuova domanda indotta dalla metanizzazione del Paese in corso.
È davvero curioso constatare come l’ambiente culturale e l’antropologia cinese incontrino con facilità il favore della Merloni Termosanitari, nonostante non solo la distanza delle tradizioni culturali, ma anche la lunga egemonia del collettivismo comunista.
Alla base dell’entusiasmo che Francesco Merloni testimonia nelle sue valutazioni dell’esperienza cinese (della quale è stato, in azienda, tra i più convinti sostenitori sin dall’inizio) c’è ancora una volta la “flessibilità”, una specie di spirito guida aziendale, e l’ambizione cinese a “fare futuro”, che magari una certa fiducia leninista nel progresso può aver favorito.