Da quando è stato riconfermato a capo del Pcc circa un mese fa, il presidente ha iniziato un forsennato tour di incontri bi- e multilaterali in cui si mostra pacifico e conciliante con i leader stranieri (a parte il rimbrotto a Trudeau). Una strategia diplomatica e comunicativa dal duplice obiettivo: consolidare il consenso interno presentandosi come politico di grande caratura e proporre la Cina come una potenza stabilizzatrice del caos generale scatenato dalla Russia. Senza però entrare davvero nei negoziati
Il presidente cinese Xi Jinping sembra aver abbandonato lo stile aggressivo della “diplomazia del lupo guerriero” per abbracciare uno stile comunicativo più morbido verso i leader che incontra. Il Washington Post fa notare che i tre anni di chiusura causa Covid-19 erano stati caratterizzati da una grande assertività cinese in politica estera. Oggi Xi si mostra conciliante principalmente a causa delle contingenze e necessità internazionali: evitare lo scontro diretto con gli Usa e tentare di portare ordine nel mondo caotico scatenato dalla Russia per perseguire gli obiettivi cinesi.
Dunque, il presidente sorride e stringe mani in Indonesia, in Tailandia, al G20 di Bali, in tutte le più recenti visite formali, sfoderando quella che alcuni hanno chiamato “Xiplomacy”. Da quando è stato riconfermato a capo del Partito Comunista Cinese (Pcc), sei settimane fa, ha incontrato almeno 26 capi di stato da tutti i continenti. Al primo ministro tailandese, Prayuth Chan-Ocha, Xi ha detto che dovrebbero incontrarsi “spesso quanto i parenti”; ha proposto un bilaterale al primo ministro australiano Anthony Albanese; ha detto a Morris Chang, fondatore di Tsmc e inviato di Taiwan al summit dell’Apec, che sembrava in forma nonostante la recente operazione all’anca.
Mentre nelle principali città cinesi si scatenano le proteste, il leader della Repubblica Popolare ha incontrato l’omologo mongolo Ukhnaagiin Khurelsukh (oggi anche in Mongolia ci sono stati disordini, legati alla Cina) e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Il fatto è che il mondo sta cambiando, e il punto, per la leadership cinese, è evitare a tutti i costi lo scontro diretto con gli Stati Uniti. Uno scontro che sarebbe devastante per entrambi i contendenti, ma per questo c’è bisogno di sorrisi e di mostrarsi concilianti.
Se si escludono le affermazioni fatte durante il vertice della Shanghai Cooperation Organization, dove però non c’erano occidentali, probabilmente la prima occasione di mostrarsi pacifico e conciliante con i leader europei era stata l’accoglienza a Pechino del Cancelliere tedesco Olaf Scholz. In quel frangente Xi aveva fatto espliciti riferimenti all’impossibilità di tollerare ricatti nucleari e alla necessità di costruire un ordine internazionale basato su regole condivise. Ovviamente riferendosi alla Russia in Ucraina.
Non è un santo, gli obiettivi di Xi rimangono sempre gli stessi: assicurarsi legittimità in patria e spianare la strada all’ascesa della Cina come superpotenza globale. Per quanto riguarda la legittimità interna, il presidente deve far fronte alla crescente insoddisfazione popolare per la sua politica zero Covid. Un ostacolo che il regime è convinto di superare, ma il punto rimane quello di mostrarsi come un politico di grande caratura, che intrattiene buone relazioni con il resto del mondo.
Il meeting del G20 è stato in questo senso un palcoscenico perfetto, fatta eccezione l’aver ripreso il canadese Trudeau come uno scolaretto. Xi ha incontrato il primo ministro indiano Narendra Modi, la prima volta che i due leader si parlavano in pubblico dagli incidenti alla frontiera del 2020, che avevano lasciato diversi morti sulle montagne sino-indiane. L’incontro con Albanese è avvenuto dopo anni di deterioramento delle relazioni con l’Australia, con i media cinesi che si riferivano al Paese come “una gomma da masticare appiccicata alla scarpa della Cina”.
L’incontro con il presidente statunitense Joe Biden è stato naturalmente quello su cui tutti gli occhi erano puntati. Anche lì Xi ha mostrato la carota piuttosto che il bastone. Certo, qualche giorno prima era apparso in uniforme militare dicendo che l’esercito cinese dovrebbe essere pronto a fare la guerra, ma quelle immagini erano verosimilmente a uso interno. Come ricorda Amanda Hsiao, senior analyst dell’International Crisis Group: “La Cina vede se stessa proiettata nello scontro gli Stati Uniti, ma allentare le tensioni in questo momento aiuta Pechino a competere con Washington nel lungo periodo”.
Insomma, nell’attuale congiuntura internazionale, con i critici all’estero (e in qualche misura anche all’interno) che accusano Xi di aver fatto regredire il Paese, gli incontri con i leader stranieri hanno lo scopo di contribuire a legittimare il suo potere. A riprova di questo fatto, l’enorme risonanza mediatica che i media cinesi assegnano a questo genere di cose.