Intervistato da “Avvenire”, il leader del Movimento 5 Stelle critica il governo Meloni per il sostegno militare offerto a Kyiv, glissa sulle responsabilità russe e agita il rischio escalation come fa la propaganda del Cremlino. Ecco cosa non torna
Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, è tornato a criticare la postura del governo di Giorgia Meloni sull’Ucraina: il presidente del Consiglio e i suoi alleati “sono assolutamente determinati ad assecondare l’escalation militare e ad ingrassare l’industria bellica”, ha detto ad Avvenire, giornale diretto da Marco Tarquinio, che a inizio novembre era stato ospite di una delle dieci lezioni introduttive della scuola di formazione politica del Movimento 5 stelle assieme a Barbara Spinelli e all’economista Jeffrey Sachs (due figure che non hanno mai fatto mancare le loro critiche alla Nato mentre si sono dimostrati molto più morbidi con la Russia di Vladimir Putin).
LE PAROLE DI CONTE
Ecco i passaggi sull’Ucraina dell’intervista di Conte ad Avvenire.
Tra meno di due mesi arriveremo a un anno di guerra. Il governo ha varato un nuovo decreto per autorizzare futuri invii di armi, voi che posizione avrete in aula?
Intanto voglio ribadire che noi non abbiamo mai autorizzato per cinque volte cinque diversi invii di armi. Una sola volta abbiamo votato il decreto di sostegno all’Ucraina, datato marzo 2022. Poi la situazione è costantemente cambiata. I primi invii servivano a riequilibrare l’asimmetria militare tra Ucraina e Russia. Oggi proseguire su questa strada significa favorire l’escalation. L’unica alternativa alla carneficina è un negoziato per una pace credibile, giusta e duratura. Nessuna resa di Kiev, ma bisogna fermare l’escalation militare.
Quindi voterete no al decreto?
Noi non autorizzeremo nuovi invii di armi.
GLI INVII DI ARMI NEL 2022
In realtà, il decreto a cui fa riferimento Conte nella prima risposta – che non è di marzo ma è il decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14 convertito convertito con modificazioni dalla Legge 5 aprile 2022, n. 28 – prevede, all’articolo 2-bis, l’autorizzazione alla “cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina” “fino al 31 dicembre 2022, previo atto di indirizzo delle Camere”. E ancora: “Con uno o più decreti del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono definiti l’elenco dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari oggetto della cessione (…) nonché le modalità di realizzazione della stessa, anche ai fini dello scarico contabile”.
Ciò significa che, per via di questa norma e dopo l’atto di indirizzo delle Camere (su cui il Movimento 5 Stelle di Conte si è espresso favorevolmente), il governo avrebbe potuto fare uno, due, cinque, dieci, duecento invii fino al 31 dicembre 2022.
Conte ha poi sostenuto che “i primi invii servivano a riequilibrare l’asimmetria militare tra Ucraina e Russia. Oggi proseguire su questa strada significa favorire l’escalation”. È una narrazione, quella della escalation a cui spesso si unisce quella della minaccia nucleare, che Conte continua a sostenere da mesi. Mesi in cui gli invii da parte di molti Paesi continuano e salgono di qualità, mentre lui continua a dire che favoriscono l’escalation.
RUSSIA? NO, GRAZIE
“Nessuna resa di Kiev, ma bisogna fermare l’escalation militare”, ha detto ancora Conte. Neppure in questa intervista ha fatto riferimento all’invasione russa. L’ha spesso pubblicamente condannata in premessa, poi però ha sempre puntato il dito contro l’Occidente che arma l’Ucraina invasa.
“Coloro che sono favorevoli allo stop delle forniture di aiuti militari all’Ucraina per la sua difesa in realtà sostengono la distruzione dell’Ucraina e lo sterminio della sua popolazione”, ha dichiarato un mese fa Yaroslav Melnyk, ambasciatore ucraino in Italia, rispondendo a una domanda di Formiche.net sulle posizioni del leader pentastellato. “È di fondamentale importanza non fuorviare la comunità internazionale e non giocare alla sostituzione dei concetti, mettendo sullo stesso piano la vittima e il suo aggressore. Se l’Ucraina cesserà di difendersi in questa guerra, verrà cancellata dal regime russo”, aveva aggiunto.
IL DECRETO CHE NON C’È
Ultima domanda sul tema: “Quindi voterete no al decreto?”. Risposta: “Noi non autorizzeremo nuovi invii di armi”. In realtà, non c’è alcun decreto da votare. Conte sembra saperlo a giudicare dalla sua risposta, ma non lo fa notare all’intervistatore. Infatti, il decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185 prevede la “Proroga di termini in materia di cessioni di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari” fino al 31 dicembre 2023, “previo atto di indirizzo delle Camere”. Il decreto-legge è ora in fase in conversione e non si prevedono intoppi alla Camere. Le Camere hanno approvato l’atto di indirizzo, con la convergenza tra la maggioranza e alcune parti dell’opposizione (Partito democratico e Azione-Italia Viva).
Intervenendo in Senato per presentare la mozione pentastellata (bocciata) che chiedeva di “interrompere immediatamente la fornitura di armi”, Conte aveva sostenuto che in Ucraina c’è in gioco “la sicurezza da garantire a tutti” e “la tutela delle minoranze russofone”. Queste esistono in Ucraina come in tutte le repubbliche ex-sovietiche. Ma anche questo è un elemento a cui fa spesso riferimento il Cremlino per giustificare la sua guerra.
GIOCO DI SPONDA
Conte aveva anche spiegato che “qui nessuno mette in discussione né la Nato né l’Alleanza atlantica”. Poi l’inevitabile ma: “Ma il tema è la postura dell’Italia in questi consessi. In passato aveva parlato di un’Italia libera, forte e sovrana ma quello che vediamo oggi è incoerente, a noi sembra ci sia una totale acquiescenza nei confronti di Washington e un’accettazione supina della strada dell’invio di armi”. Difficile pensare che Conte ignori il fatto che il contributo militare, umanitario e finanziario italiano all’Ucraina sia in termini economici inferiore a quello di molti Paesi: Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Canada, Polonia, Francia, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. Allo stesso modo è difficile pensare che ignori le implicazioni politiche di un eventuale passo indietro italiano rispetto alla linea dell’Unione europea e della Nato. Una situazione che aprirebbe un’importante breccia nel fronte occidentale che la Russia potrebbe essere pronta a sfruttare a colpire di “pacifismo”, rischi di escalation e minacce nucleari.