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L’Italia e l’Europa nell’economia globale. Quale futuro?

Di Rosario Cerra e Francesco Crespi

Un dollaro speso in R&S genera negli Usa 9,6 dollari di maggiore Pil, in Italia 4,29. È infatti sulla ricerca, l’innovazione e la sovranità tecnologica che bisogna puntare secondo i dati dell’ultimo studio Ced. L’intervento di Rosario Cerra, fondatore e presidente del Centro economia digitale e Francesco Crespi, direttore ricerche del Centro economia digitale, Università Roma Tre

Trasformare la forte ripresa registrata in Italia nella fase post-pandemica in crescita economica di natura strutturale è la vera sfida dei prossimi anni.

Il ritmo di crescita strutturale dell’economia italiana è, infatti, molto debole ormai da troppo tempo, tanto che tra i principali paesi occidentali il nostro è l’unico che a fine 2021 non aveva ancora recuperato il livello di Prodotto interno lordo precedente alla crisi del 2008.

Questo avviene in un contesto in cui secondo le proiezioni di lungo periodo dell’Ocse, siamo di fronte a un significativo cambiamento della geografia dell’economia mondiale.

 

Nel 2010 gli Stati Uniti e i paesi dell’area Euro rappresentavano le due principali aree economiche a livello globale. Ma in assenza di interventi decisi, la tendenza prevista al 2050 è quella di un ridimensionamento del peso delle principali economie occidentali nei confronti di Cina e India. La prima potrebbe contare addirittura per oltre un quarto del Pil mondiale, mentre l’India per il 16,2%. La riduzione più sostanziosa sarà registrata dalla nostra Europa, dove i paesi dell’area Euro vedranno ridotta la propria quota dal 17,2% al 10%.

Una tendenza che rappresenta, ovviamente, un cambiamento estremamente significativo anche nei rapporti di forza sul piano geostrategico, e che andrà contrastata con urgenza attraverso efficaci politiche per la crescita a nostra tutela.

Come evidenziato nel Rapporto Crescere insieme appena realizzato dal Centro Economia Digitale con la collaborazione dei suoi soci Enel, Eni, I Capital, Leonardo, Open Fiber, Tim, Tinexta, gli investimenti in Ricerca e Innovazione rappresentano il principale motore della crescita economica e quelli su cui strategicamente è più opportuno puntare. In particolare, i risultati dell’originale analisi econometrica sviluppata all’interno nel Rapporto mostrano chiaramente come la spesa in R&S eserciti un effetto positivo e rilavante sul Pil, anche se con significativa eterogeneità tra i paesi.

In risposta a un incremento di spesa totale in R&S, infatti, il moltiplicatore medio risulta essere pari a 9,60 negli Stati Uniti, e significa che, negli Usa, per ogni dollaro aggiuntivo speso in R&S vengono generati 9,60 dollari in termini di maggiore Pil.

Il valore del moltiplicatore della spesa in R&S per i paesi europei studiati è pari a 5,29, un valore inferiore a quello stimato per gli Usa ma comunque molto rilevante. Nel dettaglio, il valore medio del moltiplicatore risulta essere pari a 4,29 nel caso dell’Italia, 4,89 nel caso della Francia e 6,08 in Germania.

L’analisi econometrica del Centro Economia Digitale ha inoltre evidenziato come, tra i paesi analizzati, il modello statunitense sia quello più capace di attivare un circolo virtuoso tra investimenti pubblici e privati. Nel caso degli Stati Uniti entrambe le leve, sia pubblica (10,88), sia privata (9,09) risultano essere capaci di generare stimoli importanti e di intensità analoga per lo sviluppo dell’economia. La differenza con la leva pubblica in Europa (6,18) è rilevante e la performance del settore privato statunitense risulta particolarmente significativa se paragonata a quella europea (3,81).

Per affrontare i grandi cambiamenti in atto, e per sostenere un processo di crescita continuo nel tempo, sarà quindi necessario un cambiamento strutturale fondato sulla capacità trasformativa dell’innovazione e della diffusione delle tecnologie digitali con particolare attenzione alla Sovranità Tecnologica al fine di ridurre eventuali dipendenze strutturali su tecnologie e produzioni ritenute di natura strategica.

Un nuovo progetto di sviluppo in cui il Pnrr, pur con le note difficoltà, è, e deve rimanere, l’occasione per trasformare il Paese, e il suo sistema produttivo, per affrontare le sfide e la forte competizione globale che avremo di fronte nei prossimi decenni.

Va tuttavia riconosciuto che l’attuale congiuntura non è favorevole.

La crisi energetica e la crescita dell’inflazione hanno determinato un forte deterioramento del quadro macroeconomico. A questo si aggiunge la reazione da parte delle banche centrali che stanno velocemente innalzando i tassi di interesse che induce un aumento dell’onere del debito pubblico.

Sarà per questo ancor più fondamentale distinguere tra spesa pubblica produttiva o meno.

E per quanto abbiamo dimostrato con la nostra analisi gli investimenti in Ricerca e Sviluppo rientrano appieno nella prima categoria.

Un risultato che potrebbe tornare utile in considerazione dei prossimi cambiamenti nel framework di governance economica nell’Unione Europea. Sebbene infatti nel documento di riforma del Patto di Stabilità presentato dalla Commissione Europea non sia prevista nessuna “golden rule” per gli investimenti, gli Stati membri potranno proporre un periodo di aggiustamento di bilancio più lungo, se questo è sostenuto da impegni di riforma e di investimento che sostengano la crescita e quindi la sostenibilità del debito.

Nei prossimi anni sarà, quindi, fondamentale puntare su questo argomento nell’interlocuzione con la Commissione per ottenere “tutti gli spazi fiscali possibili” al fine di rendere più forte e competitivo il nostro sistema della Ricerca e dell’Innovazione.

È un obiettivo che il Paese è in grado di realizzare, intervenendo con decisione su politiche che puntino al rafforzamento della sovranità tecnologica e digitale in Italia e in Europa.

Servirà tuttavia anche un ulteriore cambio di passo in Europa. L’Inflation Reduction Act negli Stati Uniti rappresenta infatti un punto di svolta. Si tratta di un piano da centinaia di miliardi di dollari per lo sviluppo di un sistema energetico e industriale del futuro. Il pacchetto Fit for 55 dell’Ue e il piano REPowerEU hanno aperto la strada in questa direzione, ma l’entità delle azioni intraprese altrove, non solo negli Stati Uniti, e l’impatto per certi versi irreversibile della crisi energetica in Europa richiedono una nuova coraggiosa strategia di politica industriale dell’Ue.

È giusto che l’Italia spinga in questa direzione, e per essere credibili occorre dimostrare nei fatti, e con i numeri, di sapere utilizzare in modo produttivo le ingenti risorse a noi già destinate.

Ricerca, innovazione e sovranità tecnologica sono, quindi, la terapia per tornare a crescere come Paese e per avere un posto di rilievo nel futuro scacchiere mondiale.

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