Gli scienziati della National Ignition Facility (California) sono riusciti a estrarre più energia da una reazione di quanta non ne abbiano immessa. Se confermato, il risultato rappresenta una svolta attesa da decenni nel campo della fusione nucleare: la dimostrazione che questa fonte di energia pulita può alimentare la società
Martedì pomeriggio la segretaria statunitense all’energia Jennifer Granholm e la sottosegretaria alla sicurezza nucleare Jill Hruby annunceranno “un’importante scoperta scientifica” al Lawrence Livermore National Laboratory, sede della National Ignition Facility. Il dipartimento non ha voluto fornire ulteriori dettagli sui risultati del centro di ricerca californiano. Peccato che qualcuno abbia già spifferato l’evento alla stampa – ed è un passo in avanti notevole nel campo della fusione nucleare.
Secondo quanto raccontato al Financial Times, gli scienziati della Nif avrebbero raggiunto uno degli obiettivi-chiave nel cammino verso il “sacro Graal”: produrre più energia di quanta non se ne sia immessa nel reattore, passo fondamentale per la fattibilità (anche commerciale) della fusione nucleare. I risultati preliminari di un esperimento recente, quello che dovrebbe essere annunciato martedì se i dati sono confermati, indicano che la reazione in esame ha prodotto circa 2,5 megajoule rispetto ai 2,1 MJ immessi per riscaldare il plasma.
La Nif ha confermato il successo di un esperimento avvenuto nelle ultime due settimane, ma ha aggiunto che l’analisi dei risultati è ancora in corso. “Il rendimento [energetico] esatto è ancora in fase di determinazione e al momento non possiamo confermare che sia superiore alla soglia”. Due persone a conoscenza dei risultati hanno spiegato a FT che l’energia emessa è stata maggiore del previsto, il che ha danneggiato alcune apparecchiature diagnostiche, complicando l’analisi. La scoperta, hanno aggiunto, è già stata ampiamente discussa in campo scientifico.
Per l’anno 2022 si tratta del secondo grande risultato della Nif, un istituto creato con l’apposito scopo di studiare il processo noto come “accensione” (ignition), ossia lo stadio in cui il plasma diventa tanto incandescente da riscaldarsi autonomamente e la reazione, di fatto, si auto-sostiene. Obiettivo che il centro californiano ha raggiunto a gennaio dopo decenni di ricerca, “bombardando” tramite 192 laser una quantità minuscola di combustibile (idrogeno) racchiuso in una capsula delle dimensioni di un pallone da calcio.
Il processo è noto come fusione a confinamento inerziale e differisce dai reattori su cui stanno scommettendo la maggior parte degli enti di ricerca pubblici e privati, che si basano sulla fusione a confinamento magnetico – riscaldando e facendo girare il plasma sospeso tramite magneti in una “ciambella” detta tokamak. È in campo anche Eni attraverso la startup del Mit Commonwealth Fusion Systems, che nel settembre del 2021 ha costruito i superconduttori necessari per confinare il plasma, mentre altre realtà italiane contribuiscono al maxi-esperimento internazionale Iter (nel sud della Francia) volto a dimostrare la fattibilità della generazione di energia pulita tramite fusione.
La battuta che gira dagli anni Cinquanta è che la fusione sia sempre a vent’anni di distanza. Ma negli ultimi due anni si sono moltiplicati i risultati promettenti. Il potenziale di questa tecnologia – specie sullo sfondo della crisi energetica che attanaglia l’Europa – è difficile da ignorare. La fusione utilizza quantità minime di elementi iper-diffusi come l’idrogeno, non emette CO2, non produce scorie radioattive. Il reattore non rischia di esplodere (semmai si “spegne”) e può tranquillamente sostituirsi a una centrale energetica esistente senza riconfigurare l’intera rete elettrica.
Raggiungere e sostenere una reazione di fusione nucleare, oggi, non è più un problema tecnico ma ingegneristico. Ne è prova l’attenzione crescente del settore privato, che si sta rapidamente espandendo in un settore che è sempre stato dominato da enti pubblici. Secondo la Fusion Industry Association, nel giro di un solo anno (luglio 2021-giugno 2022) le aziende che si occupano di fusione hanno raccolto 2,83 miliardi di dollari di investimenti, portando il totale degli investimenti del settore privato a quasi 4,9 miliardi di dollari. Una fetta consistente è andata a Cfs, la controllata di Eni, che da sola aveva attirato 1,8 miliardi. E fonti interne all’azienda hanno rivelato a Formiche.net che gli investimenti aggiuntivi hanno portato la somma complessiva più vicina ai sette miliardi di dollari.