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Il bivio dei Popolari. Scrive Merlo

Molti, se non tutti, auspicano che questo processo di “ricomposizione” dell’area Popolare che parte dal basso riporti a ritrovarci sotto lo stesso tetto politico ed organizzativo. Ma, se ciò non capitasse, l’unico elemento che conta in questa fase è quello di ridare personalità e forza alla cultura e al progetto politico Popolare. L’alternativa già la conosciamo… Il commento di Giorgio Merlo

Si è riacceso il dibattito politico, culturale ed organizzativo nella cosiddetta area Popolare del nostro Paese. E questo non solo perché recentemente si è organizzato un incontro all’Istituto Sturzo a Roma ma anche perché, e soprattutto, i Popolari si trovano ormai a un bivio. Ovvero, o i Popolari e i cattolici sociali riescono a ritrovare le ragioni per un rinnovato protagonismo politico e culturale oppure, inesorabilmente ed irreversibilmente, giocheranno un ruolo puramente subalterno e marginale nella cittadella politica italiana. Non si tratta, comunque sia, di ridar vita
all’ennesimo partitino insignificante a livello politico ed irrilevante a livello elettorale. Di quelli ne contiamo quasi una cinquantina nati in questi ultimi anni e solo per rispondere alla voglia di andare sotto i riflettori dei rispettivi protagonisti per qualche mese. Parentesi, appunto, ridicole e grottesche a livello politico.

Al contrario, si tratta di una scelta. Politica e, al tempo stesso, anche di natura organizzativa. E, al riguardo, il rapporto e la presenza nel Partito democratico è emblematico. E cioè, è a tutti evidente che se gli ex Popolari pensano di recuperare un ruolo e una “mission” politica specifica in un partito che ha come esclusivo ed unico obiettivo la ricostruzione e il rilancio della cultura storica della sinistra italiana, il destino è già segnato in partenza. Ovvero, si tratta di un ruolo puramente ancillare e del tutto marginale ai fini della costruzione stessa del progetto politico del
partito. Utile per garantire qualche seggio ai vari notabili del partito e ai loro “cari” – come è avvenuto puntualmente alle ultime elezioni politiche – ma del tutto ininfluente per condizionare il percorso politico e programmatico del partito stesso. Una sorta di riedizione, seppur in forma aggiornata e rivista, dei “cattolici indipendenti di sinistra” degli anni ‘70. Verrebbe quasi da dire, “nulla si crea e nulla si distrugge”, come diceva lo scienziato della chimica moderna Lavoisier.

Altra cosa, invece, è recuperare la specificità e l’originalità della miglior cultura del popolarismo di ispirazione cristiana. Ovvero, cultura progettuale, pluralismo, libertà di movimento, autonomia organizzativa e riconoscibilità politica. Tasselli di un mosaico che fanno dei Popolari non un soggetto ornamentale, periferico o, peggio ancora, testimoniale ma una forza che persegue l’obiettivo di rafforzare la sua personalità politica e la sua specificità culturale nel dibattito contemporaneo. Questa era e resta la vera sfida politica. E anche organizzativa. Non a caso, per fare un solo riferimento storico, quando Franco Marini decise, con gli altri dirigenti Popolari del
tempo, di confluire come Ppi prima nella Margherita e poi, successivamente, nel Partito democratico, non pensava a giocare un ruolo sostanzialmente virtuale nella dialettica interna ai rispettivi partiti di riferimento. Non solo perché non rientrava nelle corde del personaggio ma anche, e soprattutto, perché i Popolari subalterni e marginali non rientrava nella “mission” che era stata decisa dagli organismi dirigenti.

Ecco perché siamo arrivati al dunque, come si suol dire. Adesso saranno soltanto le scelte politiche concrete a dirci quale delle due linee prevarrà. È inutile dire che si registra, oggi, nella periferia italiana una voglia di partecipazione e un rinnovamento protagonismo politico e culturale del mondo e dell’area Popolare. Un protagonismo che molti di noi, Popolari ed ex Popolari, intendono assecondare e favorire per continuare a ridare voce e speranza a mondi vitali,
amministratori locali, gruppi sociali e culturali, movimenti e associazioni dell’area cattolica che lamentano di non avere più una vera rappresentanza politica e, di conseguenza, una presenza nelle istituzioni. Soprattutto a livello nazionale.

Questa, infine, è la vera scommessa attorno alla quale si gioca il futuro e la prospettiva della tradizione del popolarismo di ispirazione cristiana. Certo, molti se non tutti auspicano che questo processo di “ricomposizione” dell’area Popolare che parte dal basso – come nelle migliori stagioni del cattolicesimo politico italiano – riporti a ritrovarci sotto lo stesso tetto politico ed organizzativo. Ma, se ciò non capitasse, l’unico elemento che conta in questa fase è quello di ridare personalità e forza alla cultura e al progetto politico Popolare. L’alternativa già la conosciamo. È quella praticata in questi ultimi anni nella concreta esperienza del Partito democratico. Cioè, appunto, una sorta di “cattolici indipendenti di sinistra”. Senza ruolo e, forse, anche senza dignità politica e culturale.


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