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Intelligence Week, un bilancio geopolitico

Di Federica De Vincentis

Dal 23 al 30 novembre a Palazzo delle Stelline di Milano si è tenuta la III Edizione dell’Intelligence Week, una produzione iWeek, joint venture di Vento & Associati e Dune, che ha affrontato una tematica di estrema rilevanza nell’attuale e futuro assetto geopolitico mondiale, quello della sicurezza energetica. Il titolo: “Cercando il visibile nell’invisibile. Nuove sfide nella transizione energetica”

Dal 23 al 30 novembre a Palazzo delle Stelline di Milano si è tenuta la III Edizione dell’Intelligence Week, una produzione iWeek, joint venture di Vento & Associati e Dune, che ha affrontato una tematica di estrema rilevanza nell’attuale e futuro assetto geopolitico mondiale, quello della sicurezza energetica, con l’accattivante titolo “Cercando il visibile nell’invisibile. Nuove sfide nella transizione energetica”. 6 talk, 32 relatori, 15 aziende coinvolte, seminari in presenza e dirette streaming: questo un bilancio numerico, ma le conclusioni che sono scaturite dai dibattiti sono fondamentali e destinate a caratterizzare i prossimi appuntamenti della iWeek.

La diversificazione nella transizione energetica e il nuovo ruolo del Mediterraneo allargato

La prima considerazione è che il cosiddetto Mediterraneo allargato si prepara a giocare un ruolo di primordine in questa fase di approvvigionamento delle fonti energetiche, rinnovabili e non, tornando ad essere un centro di produzione di ricchezza e di stabilità. Ma ci sono anche incognite. “Appare chiaro, da questa edizione, come i recenti eventi sullo scacchiere geopolitico determinino un positivo riavvicinamento dell’Europa, anche in materia di sicurezza energetica, in due direzioni: da un lato verso gli Stati Uniti; dall’altro guardando il Mediterraneo allargato, ed in particolare verso Israele” ha ricordato Andrea Vento, Ceo di iWeek.

“Gli effetti della rincorsa all’approvvigionamento energetico – ha ricordato – non sono però materia da sottovalutare, poiché potrebbero diventare arma a doppio taglio: da un certo punto di vista, si configurano come fattore di stabilità dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, poiché costretti a trovare nuove modalità di accordo e dialogo; dall’altro, adottando una visone più critica, un riassetto inatteso dei pesi e contrappesi dell’area mediterranea, potrebbe causare lo scoppio di nuovi conflitti e l’emergere di attori caratterizzati da attitudini prevaricatrici”. Ma andiamo per punti.

L’asse transatlantico: la Task Force Stati Uniti-Europa per l’LNG

Il consigliere delegato della American Chamber of Commerce in Italy, Simone Crolla, si è soffermato sull’asse transatlantico in materia energetica, evidenziando due importanti effetti scaturiti dalla crisi russo-ucraina: il primo concerne l’eccezionale accelerazione che il conflitto ha dato alla transizione verde, rimasta fin troppo sul piano ideologico negli anni passati e rivista oggi anche alla luce delle vere priorità strategiche e di sicurezza di ogni singolo Stato; il secondo riguarda il prorompente avvicinamento dal punto di vista commerciale, ma anche in campo strategico-militare, tra il blocco europeo e il blocco americano che si è tradotto – ha affermato Crolla – “in una task force congiunta, riunitasi recentemente a Bruxelles per fare un punto sui piani di investimento, sulla costruzione di rigassificatori, sul decoupling dalla Russia e su una politica commerciale per portare in Europa LNG americano”.

Quest’ultimo, come ha spiegato Leonardo Bellodi, autore del libro “Gas e potere. Geopolitica dell’energia dalla Guerra fredda a oggi”, ha cambiato gli equilibri geopolitici tra Stati Uniti e paesi fornitori, in particolare con L’Arabia Saudita. “LNG – dichiara Bellodi – cambia il panorama perché gli USA diventano il primo produttore e consumatore di gas e da poco anche un grande esportatore; ora sono meno vincolati e i rapporti con i Paesi del Golfo sono tesi”.

Successivamente Bellodi si interroga su come LNG americano possa aiutare l’Europa a ridurre la dipendenza dal gas russo e seguendo una logica predittiva afferma: “Il gas americano per quanto economico non potrà mai essere ai livelli del gas russo, algerino e libico: sarà sempre più caro e non è sufficiente per rimpiazzare le vecchie forniture. Due ulteriori considerazioni vanno fatte. La prima riguarda l’Italia, la quale, anche volendo sostituire i gasdotti con LNG, non ha abbastanza infrastrutture di rigassificazione e questo limita la nostra flessibilità. La seconda riguarda l’amministrazione americana che sta attenta agli interessi nazionali, aiutare l’Europa, ma anche a quelli domestici, ossia non esportare troppo per non far aumentare i prezzi per il settore industriale”.

In realtà l’Europa non è l’unica che preme e si preoccupa di reperire nuove fonti di energia, in quanto, come fa notare Gianni Murano, Presidente di ESSO Italiana, la domanda energetica globale è destinata ad essere crescente per evidenti ragioni economiche e demografiche. Lo dimostra un rapporto estrapolato dal World Energy Outlook 2022 della IEA, arricchito di dati dall’energy outlook della stessa ExxonMobil. A tal proposito Gianni Murano sostiene che: “Quello che vedremo è che ci sarà una crescita della popolazione mondiale (10 miliardi di abitati nel 2050), in particolare della popolazione media, la quale avrà più capacità di spesa e, di conseguenza, ci sarà un aumento della domanda energetica a livello a globale, specialmente nei paesi in via di sviluppo”.

Murano spiega infatti che in tali aree del mondo un miliardo di abitanti non ha accesso all’elettricità e cucina usando quello che trova, per questo “a loro non interessa se si genera CO2, difatti ci sarà bisogno di tutte le componenti dell’energia: fossili, rinnovabili e anche il nucleare”.

Il Mediterraneo allargato: area strategica per una rete di gasdotti “punto a punto”

Sul tema dell’LNG e della necessità di avere un mercato il più possibile differenziato si è soffermato anche Nicola Monti, Ceo di Edison, il quale sostiene che: “Un mercato solido ha punti di accesso sia con gas liquido, sia più vincolati attraverso i gasdotti che garantiscono la disponibilità di volume dal paese produttore al paese consumatore, salvo problemi geopolitici come quelli relativi al conflitto russo-ucraino”. Secondo Fabio Tambone, director of External International Affairs di ARERA, “prima della guerra il gas era percepito come una risorsa in discesa – ricordiamo la grande discussione che c’era stata in Parlamento Europeo fino all’adozione nel marzo 2022 dell’atto delegato sulla tassonomia – mentre oggi vediamo il gas come una risorsa assolutamente necessaria. Ed il Mediterraneo diventerà sempre di più un importante centro di interessi”.

Per quanto concerne strettamente il ruolo del gas nel futuro, Umberto Quadrino, Presidente di Tages, ha affermato: “Guardando gli obiettivi europei si dice che nel 2050 dovremmo arrivare al Net Zero, quindi essere neutrali sulle emissioni e le rinnovabili dovrebbero costituire oltre il 50% del totale della generazione elettrica. In una visione più realistica, del gas ce ne sarà bisogno per i prossimi 50 anni. Il vantaggio di avere le rinnovabili rispetto ai combustibili fossili non è solo ecologico, ma è anche economico e strategico: non si deve più importare da paesi come la Russia, l’Algeria, l’Egitto e l’Azerbaigian, che presentano problematiche di carattere strategico o geopolitico”.

Anche Quadrino si è soffermato sul Mediterraneo che “offre la possibilità di costruire, più del passato, una rete di gasdotti punto a punto: abbiamo collegamenti con la Libia, con l’Algeria, con l’Azerbaigian tramite la Turchia e verranno stabiliti collegamenti con Israele e Cipro verso l’Europa. Le connessioni punto a punto, però, hanno un difetto: creano una dipendenza biunivoca tra chi riceve e chi fornisce e se il collegamento entra in crisi, si ripercuote sull’intera fornitura. Oltre i collegamenti punto a punto, molto importanti saranno gli impianti di liquefazione e rigassificazione del gas. Ci sono intere zone geografiche che non possiedono il gas e se vogliono utilizzarlo non hanno altra strada che approvvigionarsi di LNG”.

Il ruolo di Israele nella stabilizzazione

“Un progetto fondamentale per Edison – ha continuato Nicola Monti – è il gasdotto East-Med, che noi sviluppiamo da diversi anni e ha una valenza strategica unica: permette un collegamento diretto tra paesi occidentali, consentendo di non dipendere da paesi di transito. Tuttavia, questo progetto presenta delle complicazioni geopolitiche: da un lato, appena si arriva a Cipro si accende una luce da parte della Turchia; dall’altro quest’ultima si propone come hub del gas nel Mediterraneo. Credo che l’interesse degli Stati europei sia l’opposto, ossia svincolarsi dai paesi di transito, specialmente quelli inclini all’instabilità”.

Su questi temi è intervenuta Barbara Pontecorvo, Partner Deloitte Legal e Responsabile Desk Israele, che ha sviluppato un focus importante su Israele, nuovo player nel mercato del gas: “Le recenti scoperte di gas nel Mediterraneo orientale hanno determinato un riassetto degli equilibri geopolitici e strategici del tutto inaspettati ed è sorprendente la posizione che Israele ha acquisito negli ultimi anni. Due sono le risorse di gas per Israele: uno è il sito operativo dal 2013 di Tamar; l’altro è il Leviathan, operativo dal 2019. A quest’ultimi si aggiunge una nuova fonte di gas, il bacino di Karish operativo dal 2021, ottenuto dall’accordo recente con il Libano. Tali scoperte hanno permesso ad Israele di diventare il fornitore dei propri vicini, siglando un accordo con l’Egitto e la Giordania. L’attuale riserva offshore di gas di Israele si stima essere pari a circa 900 miliardi di metri cubi; ciò rende il paese autosufficiente sia per le forniture esterne all’intera regione, sia per l’export nei confronti dell’Europa, la quale vede Israele come possibile partner strategico”.

Malgrado le condizioni politiche e socioeconomiche di alcuni paesi che si affacciano sul Mediterraneo allagato rappresentino un campanello d’allarme per la comunità internazionale, alcune possibili soluzioni sono state vagliate in relazione alla questione energetica, come fattore in grado di favorire il dialogo, anche tra rivali storici.

In tale direzione si è espresso Emanuele Fiano, già deputato del Pd, il quale ha evidenziato un nesso fondamentale tra energia e stabilità: “Mai come in questo tempo possiamo osservare come l’energia sia diventata l’elemento di scambio del quadro geopolitico internazionale, in particolare dell’area mediterranea. L’accordo di confinamento tra Israele e il Libano è stato formidabile se pensiamo che ha ricevuto l’approvazione anche di Hezbollah, un nemico giurato dello stato di Israele. Bisogna ritrovare nel Mediterraneo la possibilità, per ognuno degli attori principali, di ottenere la propria indipendenza energetica e tutto ciò è positivo, anche sotto il punto di vista della stabilità dell’area”.

Crisi idrica fattore scatenante delle future tensioni mondiali

La III Edizione dell’Intelligence Week ha dedicato un Workshop anche all’acqua, con particolare riferimento al ruolo geopolitico che sta giocando in questo momento storico. A tale proposito Stefania Craxi, Senatrice Forza Italia e Presidente Commissione Esteri Senato, ha individuato tre criticità che riguardano l’acqua. In primo luogo, la distribuzione delle risorse idriche non è uniforme nel mondo, determinando una accentuata competizione tra Stati.

In secondo luogo – continua la Presidente Craxi – “Una serie di studi elaborati dall’ International Food Policy Research Institute (IFPR) ha previsto che rapportandoci ai tassi di crescita demografica e di consumo idrico attuali, entro il prossimo quinquennio il fabbisogno di acqua aumenterà dell’oltre 50% e gli agricoltori saranno i più colpiti, specialmente quelli nei paesi più poveri”. Infine – chiude Craxi- “Vivere in queste aree del mondo, minacciati dalla siccità e da fenomeni metereologici estremi, diventerà sempre più complicato, anche in termini di approccio alla questione migratoria, che segnerà i prossimi decenni”.

Maurizio Bezzeccheri, Head of Latin American Region di Enel, ha spiegato, forte della propria esperienza internazionale, che “serve un appropriato utilizzo dell’acqua, soprattutto per i problemi antropici legati all’agricoltura, considerando inoltre che nel 2050 il 67% della popolazione mondiale vivrà nelle città.  Per questo le reti idriche vanno utilizzate in modo circolare: l’Oman, ad esempio, tratta il 100% delle proprie acque e le riutilizza per il 70%”.

Il World Resources Institute ha inoltre classificato i territori, definendo il grado di stress idrico, sulla base della relazione tra i prelievi idrici, domestici, industriali, zootecnici e agricoli, e la disponibilità rinnovabile di acqua superficiale e sotterranea, collocando così il Qatar come primo paese con lo stress idrico più elevato. L’Italia è stata collocata invece al 44° posto dopo l’Egitto. Molti, dunque, i Paesi del Mediterraneo oltre l’Italia, che andranno incontro ad un aumento della scarsità della risorsa, in particolare Spagna, Grecia, Cipro e Turchia.

Idrogeno verde e metano sintetico quali fattori di stabilizzazione di Mediterraneo e Sahara

La iWeek si è conclusa con un seminario dal titolo “Green Hydrogen: una soluzione energetica sostenibile”, realizzato in collaborazione con Deloitte Legal. Il dibattito si è aperto con le note introduttive di Carlo Gagliardi, Managing Partner Deloitte Legal Italy, il quale ha spiegato che, sebbene l’idrogeno sia stato oggetto di discussione nelle analisi di esperti fin dagli anni ’70, oggi finalmente il dibattito sta trovando un riscontro concreto, poiché l’idrogeno è effettivamente la fonte di energia più pulita, più affidabile e più economica del mondo e si stima possa aprire un mercato dal valore di circa 11 trilioni di dollari.

Gagliardi afferma inoltre che “stiamo assistendo ad una evoluzione estremamente significativa degli investimenti a partire dagli Stati Uniti che hanno stanziato quasi 500 miliardi di dollari, molti dei quali sono destinati all’energia pulita e all’idrogeno. Giappone e Corea puntano al Net Zero entro il 2050 e la Cina entro il 2060. L’Europa, che si pone all’avanguardia, punta a raggiugere il 55% degli obiettivi di emissioni entro il 2030”.

Proprio nell’ambito della realizzazione di programmi concreti, Andrea Gibelli, Presidente esecutivo FNM S.p.a, illustrando il progetto Hydrogen Valley, afferma che si è trattato “di una sfida che è diventata l’occasione per sottoscrivere un contratto e che tra qualche mese, attorno all’estate del 2023, inizieranno le corse di prova e all’inizio del 2024 partirà il servizio commerciale. Il vantaggio oltre a quelli noti – continua Gibelli – è che si utilizzano infrastrutture esistenti, fatte da binari e gallerie concepite più di un secolo fa per locomotive a vapore, oggi a gasolio, e sono perfette per l’idrogeno e quindi, in termini di sostenibilità, è a costo zero”.

Gibelli poi sottolinea come “il nostro paese, in tale cotesto europeo, si colloca tra i primi per una volta, non arrivando a ruota di esperienze”. Il CEO di TES-H2, Marco Alverà, tra i massimi esperti nel campo dell’idrogeno verde, ha spiegato “come l’Italia possa svolgere un ruolo chiave nella transizione energetica, creando un possibile ponte verso il Nord Africa, che ha un enorme potenziale di energia rinnovabile sia per il consumo locale che per l’esportazione, contribuendo a ridurre significativamente il costo della produzione di idrogeno verde”.

Anche il CEO di TES-H2 è tornato sul rapporto tra Stati Uniti ed Europa: “serve – ha detto – accelerazione a livello europeo per recuperare il terreno perduto con gli Stati Uniti, che hanno avanzato grazie all’Inflation Reduction Act, destinando quasi 400 miliardi di dollari prevalentemente su rinnovabili e solare. Mi aspetto che nel primo trimestre del 2023 la Commissione esca con delle regole chiare sui sussidi e sui criteri di produzione ed importazione di idrogeno”. Per Alverà l’obiettivo è “convertire l’idrogeno in metano sintetico e questo lo possiamo fare nel Mediterraneo, in particolare in Egitto, in Marocco e in Algeria. Noi siamo oggi in grado di produrre metano che è totalmente rinnovabile – poiché verrebbe utilizzato il sole del Sahara – e allenterebbe quella tensione tra transizione energetica e costo dell’energia”.

Alverà ha poi spiegato che si tratta di “una transizione energetica che abbassa il costo dell’energia, crea nuovi posti di lavoro e aiutando l’Africa a fornirsi di energia a buon mercato è un modo anche per gestire, in parte, i flussi migratori. l’Africa subsahariana, che avrà più di un miliardo e mezzo di abitanti da qui a fine secolo, non ha abbastanza energia e quindi il Sahara potrà servire per l’Europa, ma potrà servire anche all’Africa subsahariana per alimentare infrastrutture, case e megalopoli”.

A tal proposito va senz’altro menzionato il recentissimo progetto di Eni in Tunisia, volto alla costruzione di un impianto fotovoltaico all’avanguardia, che ha una capacità installata di 10 MW e fornirà alla rete elettrica nazionale oltre 20 GWh all’anno di energia. Si tratta di una delle tante iniziative che vedono Eni fortemente impegnata nelle aree nordafricane e nell’ offshore mediterraneo, in particolare per la gestione del gasdotto Transmed, che collega l’Algeria all’Italia attraverso la Tunisia. In conclusione, occorre evidenziare che la strada che si staglia davanti rimane incerta e ricca di sfide.

L’africa subsahariana, in particolare la regione saheliana, è nota per i suoi macroscopici problemi di sicurezza legati alla presenza di organizzazioni terroristiche di matrice jihadista. L’eventuale realizzazione nel Sahara di un’area dotata di pannelli solari potrebbe diventare un obiettivo sensibile di questi gruppi non statali armati e ciò non costituirebbe una novità, dato che nel gennaio 2013 un gruppo di miliziani jihadisti ha attaccato e sequestrato un impianto di estrazione di gas naturale di In Amenas, Algeria.

Il deserto è anche una rotta migratoria, e non è chiaro se sia possibile prevedere un allentamento dei flussi grazie agli ingenti investimenti previsti in campo energetico. Le analisi predittive si dovranno concentrare sul trade off tra presenza di pannelli solari nel deserto, tensioni tra una vasta gamma di attori non statali, presenza di storiche rotte carovaniere utilizzate, ancora oggi, per spostare illecitamente merci e persone.


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