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Tempest è il sistema Fcas del futuro. Parla il gen. Camporini

Il progetto anglo-italo-nipponico renderà possibile eliminare la nebbia di guerra sul campo operativo. Sull’alternativa franco-tedesca l’Italia ha dovuto compiere una scelta tra concretezza e incertezza, anche se sarebbe stato preferibile evitare egoismi nazionali. La presenza del Giappone ha un grande peso geopolitico: cerca indipendenza tecnologica davanti alle minacce che arrivano da Cina e Corea del Nord

Un sistema aereo di combattimento di nuova generazione pronto per il 2035. È l’obiettivo presentato con l’intesa sottoscritta dai governi di Italia, Regno Unito e Giappone per sviluppare un caccia congiunto all’avanguardia attraverso il programma Global combat air programme (Gcap), comunemente noto come Tempest. Grazie al progetto, Roma, Londra e Tokyo puntano ad accelerare capacità militari avanzate e vantaggio tecnologico. Ne abbiamo parlato con il Generale Vincenzo Camporini, già Capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della Difesa.

Cos’è il progetto Tempest e perché è così importante?

Chiariamo subito che Tempest non è un sostituto degli aerei attuali, ma è un qualcosa di assolutamente innovativo, un sistema complesso di cui ci sarà una componente che volerà. Un sistema che coinvolge tutta l’info-sfera delle operazioni militari. Nei conflitti si parla di nebbia di guerra: ovvero, chi opera lo fa senza avere piena consapevolezza (spesso senza averne in assoluto) di ciò che sta accadendo intorno. Il che comporta incertezze e rischi ed è alla radice di tutti gli errori che si fanno. La disponibilità in tempo reale di informazioni complete mette il combattente in condizione di operare con la massima sicurezza ed efficacia. Il Tempest sarà parte di questo sistema di informazioni, in modo che tutto quanto accade nell’area operativa venga prontamente recepito, percepito e trasmesso a chi opera sul terreno, in cielo, e sul mare nel modo più rapido possibile.

Come si può leggere l’accordo sul progetto alla luce della difesa comune europea e dell’altro programma franco-tedesco di Fcas?

Questo è un discorso molto serio e delicato e, purtroppo, con un esito non ideale. Noi tutti vorremmo avere un programma pienamente europeo, un solo programma, in modo che le risorse necessarie, sia tecniche sia finanziarie, vengano convogliate in un’unica direzione. Questo non è stato possibile per gelosie tra nazioni (e spesso tra industrie) e quindi si è resa necessaria una scelta. Il programma franco-tedesco è al momento molto claudicante. C’è stata una recente schiarita, ma che arriva dopo un periodo molto difficile della cooperazione tra Berlino e Parigi.

Le prospettive della cooperazione non sono ancora particolarmente concrete. Dovendo scegliere tra la concretezza del programma britannico e l’incertezza del programma franco-tedesco credo che non ci fosse motivo di fare scelte diverse. L’arrivo del Giappone nella compagine è stata una cosa sorprendente, ma estremamente positiva, per le tecnologie particolarmente avanzate che porterà nel progetto.

A questo proposito, vi sono elementi geopolitici nell’ingresso giapponese?

Il Giappone ha un atteggiamento estremamente preoccupato per le ambizioni cinesi nel quadrante orientale, unite alle preoccupazioni generate dall’attivismo della Corea del Nord. Quindi non è strano che Tokyo abbia deciso una politica più capacitiva nel settore della difesa. È chiaro che questo costituisce una novità, ma non si poteva pensare che il Giappone si limitasse a essere soltanto un cliente della tecnologia americana. Ha una voglia di indipendenza tecnologica, ha le capacità e i mezzi finanziari per ottenerla. Il binomio Italia-Gran Bretagna è particolarmente attraente in questo senso.

È possibile che l’interruzione delle supply chain a causa della guerra in Ucraina abbiano ricadute sul progetto? 

Direi di no. Di certo le vicende ucraine sono un campanello d’allarme, non solo in un senso strettamente militare, ma proprio a dimostrazione della concretezza del concetto di indipendenza strategica. Questo concetto che circola da tempo oggi è diventato tangibile e significa disporre delle tecnologie e delle capacità per potere sviluppare le proprie iniziative senza essere vincolati a un fornitore esterno.

Quali sono le prospettive per le industrie italiane della difesa?

Credo che siano prospettive molto concrete. E non solo per quello che potrà fare Leonardo con tutte le sue articolazioni industriali, ma anche e soprattutto per il contributo che possono dare tutte quelle piccole e medie industrie che costituiscono una rete formidabile e spesso poco conosciuta. Le quali si sono conquistate nel tempo una posizione importante sui mercati internazionali.

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