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La frenata cinese è un guaio per l’economia mondiale. Fanizza (AfDB) spiega perché

Di Gianluca Zapponini e Gabriele Carrer

Intervista con il direttore esecutivo per Italia, Regno Unito e Paesi Bassi presso l’African Development Bank. “Non bisogna guardare al futuro con il timore del cambiamento, al contrario cercare di sforzarsi di indirizzare il cambiamento in direzioni favorevoli e coglierne le opportunità”

Il maggior rischio per l’economia mondiale oggi è che “il rallentamento della crescita in Cina a causa delle strette politiche contro la pandemia faccia cortocircuito con le condizioni precarie del mercato immobiliare, con conseguenze che sarebbero davvero difficili da gestire”. A spiegarlo a Formiche.net è Domenico Fanizza, direttore esecutivo per Italia, Regno Unito e Paesi Bassi presso l’African Development Bank, già direttore esecutivo per Italia, Portogallo, Grecia, Malta, Albania e San Marino presso il Fondo monetario internazionale.

Dalla pandemia alla crisi energetica e alla conseguente esplosione dei costi delle materie prime, gli ultimi tre anni hanno cambiato il mondo e i suoi equilibri. Ripensare l’economia globale è forse doveroso, ma da dove partire?

Non ci sono dubbi che entrambi gli shock hanno avuto un impatto e conseguenze eccezionali, alcune delle quali destinate a durare nel tempo. Io partirei dalla constatazione che l’economia globale ha dato prova di resilienza inaspettata. La risposta delle politiche economiche alla crisi pandemica è stata molto efficace, riuscendo a cancellare lo spettro della deflazione che nei 12 anni precedenti aveva assorbito le preoccupazioni dei policy-maker. Nessuno più parla del pericolo di “giapponizzazione”. Naturalmente questo non vuol dire che le politiche seguite non abbiano avuto delle “conseguenze non-intenzionali” avverse, prima fra tutte l’inflazione che si è manifestata con virulenza, non appena si è materializzato uno shock d’offerta come risultato dell’aggressione contro l’Ucraina.

Dire che siamo di fronte a un quadro di grande incertezza è senz’altro vero, ma anche un po’ banale. Non bisogna guardare al futuro con il timore del cambiamento, al contrario cercare di sforzarsi di indirizzare il cambiamento in direzioni favorevoli e coglierne le opportunità. In termini concreti, il nuovo quadro geopolitico vede il Mediterraneo al suo centro, dopo molti anni in cui l’attenzione si era spostata altrove. Il rapporto tra Europa e Africa diventa fondamentale, non solo per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, ma anche per le opportunità offerte da un mercato in rapida crescita, il bisogno di accorciare le catene del valore, e non ultima, la necessità di gestire al meglio i flussi migratori. 

L’ondata inflattiva globale ha polverizzato nel giro di pochi mesi diversi punti di Pil un po’ in tutto il mondo, soprattutto per quanto riguarda il 2023. Quanto è reale, a questo punto, lo spettro di una crescita zero dopo un rimbalzo post-pandemico che ha premiato, più di altri Paesi, l’Italia stessa?

Al momento il rischio più grosso per l’economia mondiale è che il rallentamento della crescita in Cina a causa delle strette politiche contro la pandemia faccia corto circuito con le condizioni precarie del mercato immobiliare, con conseguenze che sarebbero davvero difficili da gestire. A questo, aggiungerei il fatto che molti Paesi emergenti hanno perso accesso ai mercati finanziari internazionali a causa sia del debito eccessivo accumulato, sopratutto ma non solo, durante la crisi pandemica e il rialzo dei tassi di interesse che riflette il nuovo corso delle politiche monetarie a fronte della non ancora sopita fiammata inflattiva.

Da poche settimane è tornato alla Banca africana di sviluppo. È un continente è fortemente indebitato, soprattutto con la Cina, e la pandemia non ha certo aiutato le economie in via di sviluppo. A questo punto, sbagliare non è più possibile, pena il ritorno a un passato fatto più di sussistenza che di vera crescita. Una road map in tal senso?

Il continente, prima della pandemia, ha attraversato quindici anni di crescita favorevole, aumenti del reddito pro-capite e riduzione significativa della povertà. Risultati importanti, troppo spesso non sottolineati. Condizioni finanziarie eccezionalmente favorevoli hanno senz’altro aiutato questa performance. Molti Paesi non hanno però fatto grossi progressi nel mettere in opera le riforme necessarie a una crescita duratura. È stata una occasione mancata! Per di più, durante l’emergenza pandemica il sostegno sia a livello multilaterale che bilaterale, giustamente, non è mancato, ma senza legami con programmi di riforma precisi, il che ha portato a ulteriore crescita del debito. La via di uscita è la ripresa delle riforme economiche. Il sostegno sia delle istituzioni multilaterali che a livello bilaterale non può mancare, ma deve essere chiaramente legato alla rimozione degli ostacoli che rallentano la trasformazione economica e sociale, spesso legati alla protezione di interessi particolari. Per di più la trasparenza del debito contratto con qualsiasi partner deve rispettare i migliori standard.

Che impatto ha avuto la guerra in Ucraina sul continente?

L’Africa è incredibilmente vasta e diversa. Perciò la risposta dipende da quali Paesi prendiamo in considerazione. I Paesi produttori di idrocarburi hanno avuto impatto favorevole. L’esempio più evidente è l’Algeria, ma anche Mozambico e Angola. Un grosso produttore, però, la Nigeria, non riesce a trarne vantaggio a causa di politiche che , da un lato, mantengono sussidi al consumo estremamente alti, e, dall’altro lato, non riescono a garantire un aumento della produzione petrolifera necessari a finanziarli. Paesi non produttori di idrocarburi sono stati immediatamente colpiti dal prezzo più alto delle loro importazioni energetiche. La maggior parte dei paesi importano cibo, sopratutto grano. L’aumento dei prezzi è stato sostanziale. Questo non solo ha complicato a posizione di bilancia di pagamenti di molti Paesi, ma ha peggiorato le condizioni di vita delle porzioni di popolazione più deboli e vulnerabili allargando la povertà. Come risultato della posizione più restrittiva delle politiche monetarie molti Paesi hanno di fatto perso accesso alla possibilità di finanziarsi sui mercati internazionali. Perciò, lo spazio per l’utilizzo di politiche di bilancio a sostegno degli strati di popolazione più colpiti dal costo della vita più alto si è estremamente ridotto.

Come può il G20 aiutare i Paesi più fragili?

Il G20 ha preso molte iniziative in questa direzione. Ne voglio indicare tre, partite tutte nell’ambito della presidenza italiana del 2021. Primo: l’accordo per l’emissione speciale di 650 miliardi di dollari in Diritti Speciali di Prelievo (SDRs) da parte del Fondo Monetario Internazionale. Questa emissione ha fornito liquidita immediata a tutti i Paesi membri del Fondo. I Paesi più fragili ne hanno beneficiato immediatamente. Inoltre, i Paesi avanzati si sono impegnati a riciclare una parte consistente (20-30 per cento) degli SDRs ricevuti verso i Paesi più poveri e vulnerabili. Secondo: la definizione di un quadro comune per facilitare la ristrutturazione del debito dei Paesi che incorrono in difficoltà finanziarie. Questo quadro comune stabilisce che le stesse condizioni di ristrutturazione del debito concesso dai creditori ufficiali membri del Paris Club debbano applicarsi ai creditori ufficiali non membri del Paris Club (Cina, India e Russia, per esempio) e ai creditori commerciali. Per Paesi in difficoltà finanziarie (cioè debito insostenibile) raggiungere un accordo di ristrutturazione del debito condizione necessaria a ottenere il sostegno delle istituzioni finanziarie internazionali e delle banche di sviluppo regionali. Terzo: la richieste alle banche di sviluppo multilaterale di ottimizzare l’uso del loro capitale per fornire il più ampio sostegno possibile ai Paesi più vulnerabili.

Resilienza climatica e transizione energetica sono sfide cruciali per l’Africa. Quale ruolo possono svolgere i Paesi europei, a partire dall’Italia?

Prima di tutto bisogna riconoscere che l’Africa contribuisce a meno del due per cento delle emissioni globali di CO2. Allo stesso tempo è esposta alle conseguenze climatiche del riscaldamento globale più di altri continente. Perciò, gli sforzi devono rivolgersi principalmente verso l’adattamento, che è la priorità principale. Questo, non vuol dire che non bisogna puntare sulle energie rinnovabili. Al contrario, l’Africa ha adesso l’opportunità di non ripetere gli errori commessi dai Paesi industrializzati, con un uso dissennato delle fonti energetiche e scarso rispetto per l’ambiente. Le ciminiere non possono essere il modello di sviluppo. La transizione energetica in Africa costituisce un’ottima opportunità di partnership con il sistema produttivo italiano, che è senz’altro in grado di fornire competenze, per esempio, nella costruzioni di infrastrutture con resilienza agli shock.

La digitalizzazione è un’altra sfida cruciale per l’Africa. Come si possono sviluppare politiche ispirate alla trasparenza per evitare vincoli politici?

Molti Paesi nel continente hanno già sviluppato livelli di digitalizzazione notevoli. Si pensi al settore finanzario e alla “mobile banking revolution” che ha aperto accesso ai servizi bancari a milioni di persone prima escluse. Molti Paesi hanno anche sviluppato sistemi di assistenza ai più bisognosi sfruttando metodi di pagamento basati sulla telefonia mobile. La digitalizzazione ha anche un ruolo molto importante da svolgere nel migliora la trasparenza e la gestione delle risorse pubbliche. L’approccio a riguardo deve essere chiaro: i Paesi africani non possono permettersi di sprecare risorse pubbliche molto scarse. Non c’è alternativa alla trasparenza.

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