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Lo Stato Stratega. Così Urso coniuga politica industriale e interesse nazionale

Il ministro delle Imprese e Made in Italy parla a Formiche.net sottolineando l’importanza del contesto atlantico e occidentale anche per le scelte strategiche. Nel giorno della riunione Ue sui chip dice: “Qui siamo in ritardo, abbiamo lasciato che la Cina crescesse”. Intel in Italia? “Stiamo monitorando, l’ultima parola spetta all’azienda”. Sul 5G: “Non possiamo passare da una dipendenza energetica dalla Russia a una tecnologica dalla Cina”

Tim, Ita, Ilva. Sono numerosi i tavoli di crisi che pur riguardano settori industriali strategici per il Paese. Come coniugare la tutela dell’interesse nazionale con la dimensione del libero mercato? Negli anni, con governi di tutti i colori, si è sempre lavorato per fare salvataggi e altre operazioni di nazionalizzazione. Quale ricetta per provare a risolvere queste crisi che nascono da lontano? Di questo, ma anche di altre scelte strategiche per il Paese, abbiamo parlato con Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, senatore di Fratelli d’Italia.

Può esistere una idea di politica industriale o è solo una forma retorica?

Questo governo ha una chiara visione di politica industriale che coniuga le vocazioni del nostro Paese con le sue peculiarità frutto di oltre due millenni di storia, con le esigenze economiche e produttive che la transizione ecologica e digitale ci impone. Questo si esplica in ogni atto che realizziamo, nella politica commerciale in Europa così come nell’affrontare i tavoli di crisi e i dossier strategici che gli altri governi non hanno voluto o saputo indirizzare. Stiamo predisponendo un provvedimento di ampio respiro strategico proprio per coniugare al meglio le esigenze di sicurezza nazionale con quelle del libero mercato e della necessaria competitività del Paese, frutto anche della mia precedente esperienza al Copasir. Sui dossier da lei citati, daremo soluzioni a breve, in alcuni casi colmando ritardi decisionali di mesi e talvolta di anni, secondo la visione che deve avere uno Stato stratega.

Non ci sono solo le crisi, per fortuna. L’Italia eccelle in settori industriali ugualmente strategici, dall’aerospazio alla farmaceutica. Oltre alla promozione del Made In Italy quale approccio immagina per andare oltre il protezionismo e consolidare le alleanze con l’Europa, gli Stati Uniti e Paesi asiatici come la Corea del Sud, il Giappone e l’India?

Serve seguire il principio della realtà e la visione dell’interesse nazionale. I rapporti tra gli Stati e nei confronti dei mercati non vanno affrontati con i paraocchi delle ideologie, siano esse neo-stataliste o vetero-mercantiliste. Dovrebbe valere anche per alcuni commissari europei che non tengono conto della realtà. Per esempio nelle modalità della transizione ecologica: è assolutamente necessaria ma va coniugata con le potenzialità e i tempi del sistema produttivo. Per fare un altro esempio, nella ministeriale Esa di Parigi sono riuscito a salvaguardare e rafforzare le posizioni della nostra industria della Spazio in una logica europea, come emerge dal documento di indirizzo che ho sottoscritto con i colleghi francese e tedesco sui lanciatori europei del futuro, alla vigilia del vertice, e che ha influito nelle conclusioni della ministeriale, che, a giudizio di tutti, sono state estremamente positive per l’Italia soprattutto in riferimento ai gravi timori dei mesi scorsi. Tra l’altro, i primi risultati sono arrivati martedì con la commessa della Commissione europea sui cinque vettori Vega C per il progetto Copernicus.

Si parla sempre più spesso di autonomia strategica. Questo concetto deve essere declinato sul piano nazionale, europeo o transatlantico?

L’autonomia strategica è assolutamente fondamentale, anche per rendere più salda la costruzione europea. I nostri padri fondatori l’avevano compreso già nel dopoguerra quando pensarono di iniziare dalla difesa europea con la Ced e dalla indipendenza energetica con la Ceca. Ma l’una fu affossata dal parlamento francese e l’altra si esaurì presto per scelte autonome di alcune nazioni. Ora dobbiamo costruire quelle fondamenta allora negate per reggere l’edificio comune, con la autonomia strategica nel campo della difesa, dell’energia e aggiungo oggi anche del digitale, a fronte della competizione della Cina e degli stessi Stati Uniti. Ovviamente nel quadro della nostra area atlantica e occidentale.

Come farlo?

Per fare questo ci vuole una vera revisione del Patto di stabilità per consentire di realizzare una politica industriale europea che metta in campo gli stessi strumenti che recentemente ha dispiegato il presidente statunitense Joe Biden anche con l’Inflation reduction act. Ci preoccupa, però, assistere alla pantomima europea sul gas che dura da oltre sei mesi. La montagna di Bruxelles ha partorito il topolino che è già finito nella gabbia russa. Mi sembra che si riproponga il gioco di San Pietroburgo.

Un ambito fondamentale per la sicurezza della supply chain e del confronto con la Cina riguarda l’industria dei semiconduttori. L’Unione europea ha varato l’European Chips Act e gli Stati Uniti il Chips and Science Act. La microelettronica può rappresentare una priorità anche per l’Italia?

Oggi a Bruxelles si tiene il Consiglio Competitività e tra i punti all’ordine del giorno c’è il Chips Act. Primo atto importante che l’Europa prende. Qui siamo in ritardo, abbiamo lasciato che la Cina crescesse. E il rischio è quello che l’economia si fermi senza questi componenti che ormai sono la base di molti prodotti.

Come procede l’investimento di Intel in Italia?

L’Italia ha fatto i compiti a casa. I dossier presentati dalle Regioni sono stati fatti con attenzione e grandi capacità. Ora sta all’azienda decidere, come governo stiamo monitorando. Ma l’ultima parola spetta a loro. È il mercato.

La politica industriale è sempre più tema di sicurezza nazionale e la sicurezza nazionale è un motore importante per la politica industriale a sua volta. Che cosa ha portato con sé al ministero dall’esperienza al Copasir come membro prima e presidente poi?

La grande consapevolezza che serva una visione strategica, una idea di sviluppo che riesca a tenere insieme la variegata realtà economica del nostro Paese. Da troppi anni non abbiamo una strategia industriale. In questo primo mese ho incontrato molte persone, associazioni di categoria, i cosiddetti stakeholder, ma poi tocca all’autorità politica decidere con il Parlamento espressione della volontà democratica. Mi auguro venga fatto con una visione strategica che non cambi al cambio dei governi o al cambio di legislatura. Già nei prossimi giorni indicheremo la direzione con precisi atti normativi.

Nel 2019 il Copasir, di cui lei allora era membro, approvava all’unanimità una relazione che suggeriva al governo il bando dei fornitori cinesi del 5G. Recentemente gli Stati Uniti hanno varato ulteriori restrizioni nei confronti di Huawei e Zte. Quale sarà la postura del suo ministero verso queste aziende?

Non possiamo passare da una dipendenza energetica dalla Russia a una tecnologica dalla Cina. Considerazioni geopolitiche si coniugano con interessi strategici industriali.

A settembre, il ministero da lei oggi guidato (allora dello Sviluppo economico) ha avviato un Tavolo tecnico sulle materie prime critiche assieme all’allora ministero della Transizione ecologica (oggi dell’Ambiente e della sicurezza energetica). Come si muoverà l’Italia su diversificazione, riciclo e approvvigionamento interno?

L’Italia si muoverà nel solco della strada prevista dall’Europa e dai partner atlantici sulle materie prime critiche perché il tema è così ampio da non poter che essere gestito con una visione geopolitica. Oltre agli accordi con Stati Uniti, il Sud America, l’Africa e il Medio Oriente. Il buon senso sta portando anche a chiedersi se non sia doveroso guardare al proprio sottosuolo rilanciando l’attività estrattiva, fatta in modo sostenibile, così come gli impianti di energia rinnovabile, e incrementando ovviamente tutte le azioni di riciclo e di recupero per aumentare economia circolare. Il Mimt sta facendo la sua parte con numerosi strumenti a disposizione finanziati sia con fondi Pnrr sia con altre risorse a sostegno dell’autonomia e della resilienza del sistema produttivo nazionale ed europeo.

Prima ha citato la recente intesa in sede Esa con Francia e Germania sui lanciatori Ariane e Vega. Può rappresentare per l’Italia un’occasione di rafforzare il triangolo Roma-Parigi-Berlino?

Italia, Francia e Germania sono i tre grandi Paesi fondatori dell’Europa. Siamo “obbligati” ad andare d’accordo. Come ho evidenziato, ho voluto subito incontrare i miei omologhi e firmare con loro una dichiarazione congiunta a Parigi perché solo rilanciando il dialogo tra di noi possiamo rafforzare l’Europa. Rafforzare l’Europa significa poi rafforzare l’Italia, soprattutto nello spazio dove abbiamo sempre avuto aziende player mondiali è una filiera di Pmi che il mondo ci invidia.

C’è ancora spazio per investimenti pubblici in questo settore che si è rivelato critico, sia in ambito civile sia militare?

Non direi che si è rivelato critico, ma strategico. Faccio un esempio chiarissimo: avere una mappatura con software di ultima generazione che sappiano in tempo reale vedere gli spostamenti è stato fondamentale per l’Ucraina. Penso che gli investimenti in questo settore siano fondamentali, pubblici e privati. Certo il nostro problema, rispetto agli Stati Uniti, è che l’effetto moltiplicatore degli investimenti è basso rispetto ad altri ecosistemi. Dobbiamo lavorare con università, centri di ricerca e incentivi affinché si inverta la rotta.

Con l’omologo francese Bruno Le Maire ha concordato la necessità di rafforzare il rapporto industriale bilaterale su alcuni temi (energia, microprocessori, moda, siderurgia e automotive) e di dar seguito ai gruppi di lavoro tematici già previsti dal Trattato del Quirinale. Quali geometrie geopolitiche immagina per l’industria italiana?

Il colloquio con Le Maire è stato un momento importante perché ho trovato un interlocutore attento e propositivo. Abbiamo deciso di attivare da subito il Tavolo di consultazione per le politiche industriali previsto nel Trattato del Quirinale. Abbiamo condiviso di rafforzare il rapporto industriale bilaterale soprattutto in alcuni settori, come quello dell’energia, dei microprocessori, dell’industria della moda, della siderurgia e dell’automotive alle politiche di difesa, energia e spazio. Domani parteciperò al vertice delle Confindustria italiana, francese e tedesca proprio per confermare la necessità di agire insieme per i nostri sistemi produttivi, perché solo insieme possiamo fare gli interessi delle nostre imprese.

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