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Mismatch, la parola da mettere in cima alle priorità per il 2023

“Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti e le diseguaglianze aumentano”, ha detto Papa Francesco. È la sfida del nostro tempo: recuperare la corrispondenza tra competenze e bisogni del sistema produttivo, e conservarla negli anni. L’intervento di Romana Liuzzo, presidente Fondazione Guido Carli

Si chiama “mismatch” la parola che l’Italia deve appuntare sul calendario, in cima alla lista delle priorità per il 2023. È uno degli incontri mancati più pericolosi di sempre: quello tra domanda e offerta di lavoro. A dicembre, secondo il bollettino del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal (l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), il mismatch nel nostro Paese risultava assestato al 45,3%, contro il 37,5% di un anno fa. Significa che i datori di lavoro italiani hanno difficoltà a reperire le professioni di cui hanno bisogno quasi in un caso su due. Una débâcle che investe il sistema formativo e quello economico, travolge le aspettative delle giovani generazioni, mina la costruzione del futuro.

La serie storica delle rilevazioni racconta un fenomeno in crescita preoccupante, con uno scollamento sempre maggiore soprattutto sul fronte delle professioni tecniche, indipendentemente dal livello di qualificazione alto o medio-basso: dagli ingegneri agli informatici, dagli specialisti in scienze della vita ai meccanici. Spesso sono introvabili, talvolta non vengono giudicati sufficientemente preparati per poter essere assunti in azienda. Un disallineamento che l’Italia, con il suo tasso di occupazione salito sì al 60,5% ma sempre fanalino di coda in Europa insieme alla Grecia, non può permettersi.

“Due persone non possono incontrarsi neanche un giorno prima di quando saranno mature per il loro incontro, mature nell’intimo, secondo i dettami di una specie di legge astronomica inoppugnabile”, avverte in uno dei suoi libri più celebri lo scrittore ungherese Sándor Márai. Sembra che sul mercato del lavoro italiano questa maturità sia merce rara. Gli effetti sono paradossali: continuano ad aumentare le offerte di lavoro scoperte, nonostante un esercito di quasi cinque milioni tra disoccupati e scoraggiati. Tra loro, purtroppo, tanti giovani e tante donne. Un giacimento potenziale di ricchezza e benessere che rimane inesplorato e che con il tempo rischia di perdersi.

Perché? Che cosa non sta funzionando? Dove sta l’immaturità che impedisce il contatto? Volendo restare nella metafora sovviene Roland Barthes, l’autore dei “Frammenti di un discorso amoroso”: “Il discorso amoroso è oggi d’una estrema solitudine. (…) È forse parlato da migliaia di individui, ma non è sostenuto da nessuno”. L’estrema solitudine sembra attanagliare i mondi che dovrebbero unirsi e invece non si parlano, o si parlano male: la scuola, l’università, il lavoro. I percorsi formativi continuano a essere autoreferenziali, sganciati dalle esigenze del mercato e poco aggiornati rispetto alla velocità con cui procede l’innovazione tecnologica. Le Stem – le materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche – non sfondano: l’Italia conta il 6,7% di laureati, contro una media europea del 13%. I test Invalsi ci dicono che solo il 54% dei maturandi raggiunge la soglia minima di competenze in matematica. Gli istituti tecnici superiori, i cui iscritti vantano un tasso di occupazione dell’80% a un anno dal diploma, sono ancora al palo rispetto a Paesi a noi vicini, come la Germania.

Bisogna accelerare, favorire il dialogo e la contaminazione, combattere la povertà educativa che agisce come una trappola, perché il rischio di cattive condizioni economiche e di esclusione sociale risulta maggiore per gli adulti con bassa istruzione e per i loro figli. Lo strumento c’è: il Piano nazionale di ripresa e resilienza scommette sull’orientamento per migliorare la transizione dalla scuola all’università o al mondo del lavoro. Sono attese a giorni le nuove linee guida del ministro Giuseppe Valditara che dovrebbero introdurre moduli di 30 ore annuali alle medie e nelle ultime tre classi della scuola secondaria di secondo grado, con l’individuazione di docenti tutor. L’orientamento permanente serve per ridurre la dispersione scolastica, ma anche per accompagnare le studentesse e gli studenti a capire le trasformazioni del mercato del lavoro, a conoscere le storie e i valori della nostra industria e a comprendere le proprie inclinazioni non in astratto, ma nel concreto delle opportunità che si aprono.

“Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti e le diseguaglianze aumentano”, ha detto Papa Francesco. È la sfida del nostro tempo: recuperare la corrispondenza tra competenze e bisogni del sistema produttivo, e conservarla negli anni. Non in modo asettico. Quelle competenze e quei bisogni sono le gambe su cui camminano i sogni che animano le persone e le imprese. È la dignità del sentirsi utili alla comunità. È la fiducia che mio nonno, Guido Carli, mi ha insegnato a coltivare come il bene più prezioso. La chiave dell’incontro, la soluzione per il match.

 

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