Le visite ai contingenti militari italiani schierati all’estero del presidente Meloni e dei ministri di Esteri e Difesa, Tajani e Crosetto, non sono una semplice formalità, ma danno l’impressione di un cambio di paradigma, con un ritorno sincero di attenzione ai temi della Difesa e una vicinanza effettiva al personale in uniforme della nostra Repubblica. Il punto del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare
Non è una novità che, sotto le feste, un’autorità di governo si rechi a visitare le truppe italiane dislocate nei disparati teatri di operazioni, ne abbiamo alcune decine aperti, non vi è che l’imbarazzo della scelta. La novità semmai è l’empatia che si avverte – netta – nell’interlocuzione di questo governo con le Forze armate, a svariati livelli ed in circostanze diverse ma tutte perfettamente pertinenti, senza stonature.
Eravamo abituati, ahimè, ad autorità di vertice di questa Repubblica in ascolto dell’inno nazionale con le mani sprofondate nelle tasche di pantaloni sgualciti, a ex-presidenti del Consiglio, contraddistintisi nel loro mandato per l’inaccettabile sottovalutazione del comparto sicurezza e difesa e per il cimentarsi, a termine mandato, in una incredibile opera di classificazione delle armi in offensive e difensive e, su questo infantile e insensato assunto, plasmare la posizione del loro partito ampiamente rappresentato in Parlamento.
Per tutti costoro l’apprezzamento per le Forze armate, pronunciato in circostanze in cui era inevitabile, è stata pura forma, e in quelle non sporadiche occasioni in cui l’adempimento del dovere ha comportato per i nostri soldati l’estremo sacrificio, hanno dato l’impressione di versare solo lacrime di coccodrillo.
Ora invece la percezione è di tutt’altra natura.
Sarà anche deformazione professionale, ma sentire Giorgia Meloni, a Piazza del Popolo per le celebrazioni dei dieci anni di vita del partito, pronunciare semplici ma genuine espressioni di cordoglio per la perdita di un nostro giovane pilota a Trapani, caduto nell’adempimento del dovere a bordo del suo Eurofighter, è stata una novità assoluta che personalmente, dopo più di sessanta anni tra servizio attivo e non, mi ha colto di sorpresa, quasi incredulo.
Sono tutti questi comportamenti, inequivoci ma sinora solo formali, il segno che l’incultura della Difesa sia destinata ad un progressivo indebolimento o ci troviamo veramente di fronte ad un interesse nuovo per le questioni di sicurezza e difesa nazionali? Troppo presto per dirlo ma le indicazioni sono promettenti.
Il presidente del Consiglio si è recata in Iraq a visitare i nostri soldati. Ancora una volta, come detto, non ci troviamo di fronte a una novità assoluta, ma la sensazione che non siamo di fronte al solito evento a beneficio dei media è forte. La speranza è che tutto sia coerente con una visione e una interpretazione nuove del mandato parlamentare e governativo.
Le missioni multinazionali sono la conseguenza di una scelta di fondo operata oltre trenta anni fa. Una scelta felice che ci ha sempre visti presenti negli scenari di ogni tipo e che oggi sono il fattore pressoché unico a spiegazione della solidità del nostro strumento militare, di una professionalità sempre al passo con i tempi che rendono merce pregiata la partecipazione italiana ad ogni tipo di missione. Cose queste certamente risapute nel mondo degli addetti ai lavori, meno conosciute nel comparto politico domestico che è parso occuparsene, superficialmente, solo in occasione del voto parlamentare di approvazione dei vari decreti missione.
Ecco perché l’attenzione a questi temi, che pare sempre più prendere forma con questo governo, non solo è benvenuta ma quantomai necessaria laddove si pensi alle fosche prospettive di questi tempi nel cuore dell’Europa. E al fatto che questa partita di poker che altri stanno giocando facendosi carico anche dei nostri interessi non ci veda solo inerti spettatori ma parte attiva nella determinazione delle nostre sorti.